Alla scoperta del Capitale

FONTE Monthly Review
Il discorso di Issac Deutscher è stato originariamente pubblicato su Monthly Review nel dicembre 1967 per commemorare i 100esimo anniversario del Capitale di Karl Marx. E’ stato ripubblicato in occasione del 150esimo anniversario del Capitale.

Issac Deutscher 1 dicembre 1967

Le condizioni in cui un giovane intellettuale polacco studiava Das Kapital negli anni ’20 o ’30 erano molto diverse da quelle prevalenti nella maggior parte dei paesi occidentali. Per noi la previsione marxista del crollo del capitalismo non era una visione apocalittica legata solo lontanamente alle realtà della nostra vita quotidiana. Il vecchio ordine sociale si stava sgretolando sotto i nostri occhi. Questo era il fatto schiacciante della nostra esistenza. Non potevamo sfuggirgli. La mia infanzia e la mia adolescenza ne sono state scosse più e più volte. Sono cresciuto a Cracovia e in una piccola città a metà strada tra Cracovia e Auschwitz, su una punta di terra incuneata tra le frontiere di tre imperi. Da ragazzo di dieci e undici anni ho assistito alla caduta delle dinastie dei Romanov, degli Asburgo e degli Hohenzollern. Da un giorno all’altro svanirono gli antichi poteri, le santità e i feticci che avevano tenuto in soggezione il nostro popolo per molte generazioni. Abbiamo sentito l’alito caldo della Rivoluzione Russa. Poi, appena oltre la frontiera, la Comune di Budapest divampò e fu sommersa dal sangue.

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Amiya Kumar Bagchi

Traduzione di
Notes from the Editors
Monthly Review February 2025 (Volume 76, Number 9)

https://monthlyreview.org/2025/02/01/mr-076-09-2025-02_0/

Con la morte di Amiya Kumar Bagchi il 28 novembre 2024, all’età di 88 anni, il mondo intero ha perso uno dei suoi più eccezionali analisti economici (ed economisti politici marxisti). Critico per tutta la vita dello sviluppo capitalista, ha fornito due contributi magistrali alla teoria dell’imperialismo: The Political Economy of Underdevelopment (Cambridge University Press, 1982) e Perilous Passage: Mankind and the Global Ascendancy of Capital (Rowman and Littlefield, 2005). Scritte nei decenni in cui la teoria dell’imperialismo stava calando in Occidente, queste opere non hanno ricevuto l’attenzione che meritavano all’epoca, ma meritano uno studio attento oggi.

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Machina sapiens

Cristianini, Nello
Machina sapiens : l’algoritmo che ci ha rubato il segreto della conoscenza / Nello Cristianini. – Bologna : Il mulino, ©2024. – 159 p. ; 22 cm. – (Contemporanea ; 325).) – [ISBN] 978-88-15-38446-1. – [BNI] 2024-5017.

Il report contiene

Abstract
Indice
Recensioni

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Imperialismo e globalizzazione di Samir Amin

Traduzione di
Imperialism and Globalization
by Samir Amin
https://monthlyreview.org/2001/06/01/imperialism-and-globalization/
Monthly Review 2001, Volume 53, Numero 02 (giugno)

Monthly Review 2001/6 01 giugno 2001)

Argomenti: Imperialismo, Economia politica, Stagnazione,

SAMIR AMIN (1931-2018) è stato direttore dell’Ufficio Africano (a Dakar, Senegal) del Terzo Forum Mondiale, un’associazione internazionale non governativa per la ricerca e il dibattito. È autore di numerosi libri e articoli tra cui Spectres of Capitalism (New York: Monthly Review Press, 1998).
Questo articolo è una ricostruzione degli appunti di un discorso tenuto al Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre, in Brasile, nel gennaio 2001.

ABSTRACT

L’imperialismo è una caratteristica intrinseca dell’espansione capitalistica, non semplicemente una fase successiva. Egli divide la conquista imperialista in tre fasi principali:

  1. La fase mercantilista: Caratterizzata dalla conquista europea delle Americhe, con la distruzione delle civiltà indigene e l’istituzione della schiavitù.
  2. La fase della rivoluzione industriale: Caratterizzata dal colonialismo in Asia e Africa, basata sull’apertura dei mercati e sull’appropriazione delle risorse naturali. Questa fase ha creato una polarizzazione globale significativa, aumentando la disuguaglianza tra i popoli.
  3. La fase attuale: Considerata una terza ondata di devastazione imperialista, guidata dal crollo del blocco sovietico e focalizzata sul controllo dei mercati, lo sfruttamento delle risorse e la supremazia statunitense.

Amin critica la retorica occidentale di “missione civilizzatrice” e “dovere di intervento”, smascherando il doppio standard applicato nella difesa della democrazia e dei diritti umani. Egli contesta la convergenza tra democrazia e mercato, sostenendo che la storia dimostra come il capitalismo tenda a subordinare la democrazia ai suoi interessi economici. L’autore sottolinea che l’espansione dei diritti democratici è stata il risultato delle lotte sociali contro il sistema capitalistico.

Amin mette in guardia contro il culturalismo e l’identitarismo, sottolineando che la democrazia deve essere universalista e non tollerare il particolarismo. L’autore prevede l’ascesa di nuove lotte sociali che si oppongono al sistema globale e mette in guardia dai pericoli dell’autoritarismo, che si annida nel capitalismo, sottolineando come il sistema cerchi di frammentare le forze potenzialmente ostili, favorendo l’identità separata. Amin conclude che la vera democrazia è essenziale per lo sviluppo, ma questo sviluppo deve essere nel contesto di una società post-capitalista, e questa trasformazione richiede sia socialismo che democrazia.


L’imperialismo non è uno stadio, e nemmeno il più alto, del capitalismo: fin dall’inizio, è inerente all’espansione del capitalismo. La conquista imperialista del pianeta da parte degli europei e dei loro figli nordamericani è stata condotta in due fasi e forse sta entrando in una terza.

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La contro rivoluzione di Trump

Chi era Donald Trump. Le analisi del primo mandato per un confronto con quelle della seconda presidenza.

Bolt Rasmussen, Mikkel
La contro rivoluzione di Trump : fascismo e democrazia / Mikkel Bolt Rasmussen. – Milano : Agenzia X, 2019. – 150 p. ; 21 cm. – [ISBN] 978-88-98922-98-7.

Il report contiene: Scheda dell’editore italiano ed Indice

Scheda editore

Il fascismo non è l’opposto della democrazia ma nasce, cresce e trionfa nel suo stesso seno quando una crisi esige di restaurare l’ordine e prevenire l’emergere di vere alternative. Sotto la pressione di una crisi come quella attuale, la forma politica del turbocapitalismo può scivolare dalla democrazia al fascismo, poiché l’aspetto più importante per entrambi è quello di salvaguardare la proprietà privata, rinforzare gli interessi delle grandi aziende e tenere a freno quel proletariato che non può essere integrato nel metabolismo del sistema. In questo modo, la democrazia liberale e il fascismo non sono l’una l’opposto dell’altro: i loro tratti comuni sono più importanti dei loro punti di divergenza. Un libro che analizza l’esercizio del potere di Donald Trump per decifrare la formazione di un’ideologia nemica di ogni cambiamento sociale. Dopo quarant’anni di sviluppo estremo e diseguale, Trump mescola cultura pop e ultranazionalismo nel tentativo di rinnovare la vecchia alleanza tra la classe operaia bianca e quella dominante. All’indomani della crisi finanziaria del 2008, delle primavere arabe, dei movimenti come Occupy e Black Lives Matter, si vuole proiettare l’immagine di un’America minacciata, ma capace di riconfigurarsi come una comunità unita, bianca e patriarcale: Make America great again. Un semplice slogan nel quale il razzismo e il protezionismo si combinano in una forma di fascismo postmoderno, una controrivoluzione globale dotata di un immaginario, un linguaggio e una strategia comune che vede in Matteo Salvini uno dei suoi più fedeli interpreti.

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Imperialismo e colonialismo dei coloni bianchi nella teoria marxista

Traduzione di: Imperialism and White Settler Colonialism in Marxist Theory
by John Bellamy Foster
Montly Review 2025, Volume 76, Numero 09 (Febbraio 2025)
https://monthlyreview.org/2025/02/01/imperialism-and-white-settler-colonialism-in-marxist-theory/

Il concetto di colonialismo di insediamento è sempre stato un elemento chiave della teoria marxista dell’imperialismo, il cui significato si è gradualmente evoluto nel corso di un secolo e mezzo. Oggi il riemergere di potenti movimenti indigeni nelle lotte per la sopravvivenza culturale, la terra, la sovranità e il riconoscimento, oltre alla resistenza al genocidio inflitto dallo Stato israeliano al popolo palestinese nei territori occupati, hanno portato la nozione di colonialismo di insediamento alla ribalta del dibattito globale. In queste circostanze, un recupero e una ricostruzione della comprensione marxista della relazione tra imperialismo e colonialismo di insediamento è un passo cruciale per aiutare i movimenti indigeni e la rivolta mondiale contro l’imperialismo.

Un tale recupero e ricostruzione delle analisi marxiste in questo settore è tanto più importante in quanto un nuovo paradigma di studi coloniali di insediamento, sperimentato in Australia da illustri figure intellettuali come Patrick Wolfe e Lorenzo Veracini, è emerso nell’ultimo quarto di secolo. Questo costituisce ora un campo distinto a livello globale, uno che, nella sua attuale forma dominante nell’accademia, è focalizzato su una pura “logica di eliminazione”. In questo modo, il colonialismo di insediamento come categoria analitica basata su collettivi autonomi di coloni è separato dal colonialismo più in generale, e dall’imperialismo, dallo sfruttamento e dalla classe.1 Il colonialismo di insediamento, in questo senso, è spesso considerato una forza planetaria prevalente in sé e per sé. Nelle parole di Veracini, “Era una potenza coloniale di insediamento che divenne un egemone globale… Le molte occupazioni americane in tutto il mondo sono occupazioni “coloniali”. Ora ci viene detto che non solo le colonie di coloni “pure” o idealmente tipiche degli Stati Uniti, del Canada, dell’Australia, della Nuova Zelanda e di Israele possono essere viste come tali, come originariamente concepite da Wolfe, ma anche “tutta l’Africa”, più gran parte dell’Asia e dell’America Latina, sono state “modellate” in misura considerevole dalla “logica dell’eliminazione”. ” in contrapposizione allo sfruttamento. Piuttosto che vedere il colonialismo di insediamento come parte integrante dello sviluppo del sistema mondiale imperialista, è diventato, in alcuni resoconti, la sua stessa spiegazione completa.2

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Tardo imperialismo di J.B.Foster

Traduzione di
Late Imperialism
Fifty Years After Harry Magdoff’s The Age of Imperialism
by John Bellamy Foster
https://monthlyreview.org/2019/07/01/late-imperialism/
Monthly Review 2019/7 n.71

Cinquant’anni dopo L’età dell’imperialismo di Harry Magdoff

di J.B.Foster

Monthly Review 2019/7 – (01 luglio 2019)

L’opera più influente sull’imperialismo rimane il classico studio di V. I. Lenin di un secolo fa, L’imperialismo: l’ultima fase del capitalismo (meglio conosciuto con il titolo datogli dopo la sua prima pubblicazione, L’imperialismo: la fase più alta del capitalismo).1 Lenin utilizzò il termine imperialismo moderno o semplicemente imperialismo per riferirsi all’epoca del capitale concentrato, durante la quale il mondo intero veniva smembrato dagli stati dirigenti e dalle loro corporazioni, distinguendo la fase imperialista dal colonialismo/imperialismo delle fasi mercantiliste e liberamente competitive del capitalismo che l’avevano preceduta. “La politica coloniale e l’imperialismo”, insisteva Lenin, “esistevano prima di quest’ultima fase [imperialista] del capitalismo, e anche prima del capitalismo”.2

La nuova fase imperialista, iniziata nell’ultimo quarto del diciannovesimo secolo e protrattasi fino al ventesimo secolo, è stata vista come un prodotto della crescita delle gigantesche imprese capitaliste con potere monopolistico, della stretta connessione forgiata tra queste corporazioni e gli stati-nazione in cui sono sorte, e della conseguente lotta per il controllo delle popolazioni e delle risorse del mondo, che ha portato alla competizione intercapitalista e alla guerra. “Se fosse necessario dare la definizione più sintetica possibile dell’imperialismo [come “fase speciale”]”, scriveva Lenin, “dovremmo dire che l’imperialismo è lo stadio monopolistico del capitalismo”.3

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Liquidità gratuita, fusioni e fuoriuscite di capitale, di Craig Medlen

Traduzione di Free Cash, Mergers, and Capital Spillage by Craig Medlen
Monthly Review 2025, Volume 76, Numero 08 (Gennaio 2025)
https://monthlyreview.org/2025/01/01/free-cash-mergers-and-capital-spillage/

(01 gennaio 2025)

La lunga stagnazione iniziata tra la metà e la fine degli anni ’70 e che continua fino ai giorni nostri è evidenziata da un declino secolare a lungo termine del tasso di crescita della produzione, del tasso di crescita dei nuovi investimenti e dell’utilizzo della capacità. Questa stagnazione è stata accompagnata da mezzo secolo di appiattimento dei salari reali per i lavoratori non supervisori e da un drammatico aumento della ricchezza delle classi superiori e delle élite manageriali.1

Associata a questa stagnazione è stata una crescente concentrazione di imprese in un’intera panoplia di contesti industriali e finanziari. Oltre a numerose industrie manifatturiere, potremmo elencare: petrolio, banche, produzione, distribuzione e vendita al dettaglio di prodotti alimentari, compagnie aeree tradizionali, carte di credito, servizi high-tech (compresi motori di ricerca e strutture informatiche), consegna di musica, servizi telefonici e vendita al dettaglio su Internet.2 Questa crescente concentrazione ha consolidato il potere di monopolio in tutta l’economia e, in conformità con la tendenza del potere di monopolio a rallentare la crescita degli investimenti, aiuta a spiegare il generale rallentamento della crescita negli ultimi cinquant’anni.3

Lo scopo di questo articolo è quello di raccontare come questa stagnazione strisciante abbia aggiunto la propria forza nel contribuire al potere monopolistico associato al consolidamento e alle attuali disparità di ricchezza. L’argomento corre lungo due direttrici. Il primo riguarda il modo in cui l’imperativo per la crescita delle imprese incanala i fondi nelle fusioni quando le prospettive di nuovi investimenti rallentano. Il secondo (e relativo aspetto) riguarda la generazione di fondi aziendali in eccesso rispetto ai nuovi investimenti (definiti free cash) che, insieme al debito, finanziano le fusioni. Il denaro libero deriva dai deficit federali derivanti in gran parte da: (1) riduzioni delle aliquote fiscali sui ricchi e (2) sforzi per contrastare la stagnazione e gli episodi di disfacimento finanziario. Fondi di liquidità gratuiti per fusioni e acquisizioni, ma non si è limitato a tali.4 La liquidità libera ha agito come garanzia per l’espansione del debito societario per fornire mega-fondi da riversare sui mercati azionari. Oltre alle fusioni, questa fuoriuscita consiste in dividendi ampliati e riacquisti di azioni. Pari a trilioni di dollari, questa sboccatura di denaro è stata una forza importante per espandere le posizioni di ricchezza dei ricchi.

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Marx e il PCI in Italia

Sulla base di due libri che raccolgono un’ampia panoramica del vivace dibattito tra le diverse scuole del marxismo italiano del dopoguerra intervengono: Vittoria Franco (filosofa), Guido Liguori (Università della Calabria), Sergio Filippo Magni (Università di Pavia)

Un convegno dell’ Istituto Gramsci di Firenze

Le Murate Firenze 19-2-25 ore 17-18,30

I Marx del Pci : Protagonisti, stagioni, scuole a cura, di Lelio La Porta e Guido Liguori. Bordeauxedizioni, 2025.

Attraverso una molteplicità di voci e contributi, questo libro ricostruisce le diverse letture di Marx che nutrirono la cultura dei comunisti italiani, un patrimonio ideale da riscoprire e studiare ancora. I capitoli che compongono il volume sono dedicati ad Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti, Galvano della Volpe (e i dellavolpiani), Lucio Colletti, Cesare Luporini, Valentino Gerratana, Mario Alighiero Manacorda, Antonio Banfi, Nicola Badaloni, Ludovico Geymonat, Biagio De Giovanni, Franco Cassano e Giuseppe Vacca.


La battaglia delle idee : il partito comunista italiano e la filosofia nel secondo dopoguerra / a cura di Matteo Cavalleri e Francesco Cerrato. Luca Sossella editore, 2024

Il rapporto tra il Partito comunista italiano e la filosofia fu tutt’altro che formale o superficiale. La cultura politica del Partito, dei suoi quadri dirigenti e delle sue e suoi militanti, si nutrì spesso di letture e riflessioni filosofiche. Molte filosofe e filosofi italiani furono “intellettuali organici”, altre e altri con il Partito dialogarono, talvolta polemizzarono. Il Pci non si limitò a osservare, ma intervenne attivamente nel dibattito filosofico: pubblicando saggi e recensioni sui propri organi di stampa, organizzando convegni e promuovendo dibattiti.
Quali erano le ragioni di questa vicinanza? Chi furono le protagoniste e i protagonisti di questo confronto?
Il libro esplora la logica, le questioni teoriche e la storia di un rapporto intenso e necessario, complesso e non privo di attriti, sempre incentrato sul tema della pensabilità e praticabilità della trasformazione storica.

Il volume è stato stampato con il contributo della Fondazione Gramsci Emilia-Romagna e del Dipartimento di Filosofia, Alma Mater Studiorum Università di Bologna.

Indice

Idee, mutamento storico e prassi politica. Il Pci e la filosofia / Matteo Cavalleri e Francesco Cerrato

Parte I Il Pci e la filosofia

1.1 Organizzazione e cultura
Storia e storicismo nel pensiero comunista del dopoguerra. Una riflessione sul Togliatti di “Rinascita” / Giulia Bassi
L’egemonia perduta. Rossana Rossanda e la politica culturale del Pci negli anni sessanta / Alessandro Barile
Il Pci di Berlinguer e le politiche della filosofia /Giulio Azzolini
1.2 Tornanti storici
“Dal marxismo ai marxismi”: Partito e intellettuali in Italia dal 1956 al 1967 / Giulia Dettori
Il Partito comunista italiano e Herbert Marcuse: il dialogo a distanza nell’anno degli studenti / Fiammetta Balestracci
Vedove di Lenin o figlie di Irigaray? Il Partito comunista e il femminismo tra emancipazione e liberazione / Carlotta Cossutta

Parte II Intellettuali, filosofia e Pci

2.1 Traiettorie marxiste
Cesare Luporini, la filosofia e il Pci Sergio / Filippo Magni
Dialettica e positivismo nel marxismo italiano post-bellico: la polemica di Luporini con la scuola dellavolpiana / Giorgio Cesarale
Badaloni e la ricerca della libertà (comunista). Note introduttive / Gregorio De Paola
Organizzazione e critica dell’ideologia. Scienza, pratica e lotta politica nel marxismo di Raniero Panzieri / Francesco Cerrato
Mario Tronti e il partito come problema. Fenomenologia del Pci e metafisica del politico / Jamila M.H. Mascat
2.2 Intersezioni filosofiche
Sull’“implacata ‘concordia discorde’” dei filosofi di Milano col Pci / Fabio Minazzi
Norberto Bobbio e il Partito comunista (1951-1955) / Stefano Zappoli
Sbloccare le “verità interne”. Filosofia e politica rivoluzionaria in Franco Rodano / Matteo Cavalleri
Postfazione
Filosofia e trasformazione. La funzione del pensiero critico nell’azione del Pci durante la Prima Repubblica / Alberto Burgio

Modernizzazione in stile cinese

Traduzione di
Chinese-Style Modernization: Revolution and the Worker-Peasant Alliance by Lu Xinyu
Montly Review 2025, Volume 76, Numero 09 (Febbraio 2025)
https://monthlyreview.org/2025/02/01/chinese-style-modernization-revolution-and-the-worker-peasant-alliance/

Modernizzazione in stile cinese: la rivoluzione e l’alleanza operaio-contadina, di Lu Xinyu

(01 febbraio 2025)

ABSTRACT

Dagli anni ’80, scrive Lu Xinyu, in Cina è cresciuta una divisione tra lavoro industriale e agricolo, che si riflette nel rapporto fratturato tra aree urbane e rurali. Il successo della Cina nell’affrontare la questione, conclude Lu, si basa sulla creazione di una vigorosa alleanza tra i contadini rurali e i lavoratori urbani che aiuti a sganciare definitivamente la Cina dal sistema imperialista mondiale. La modernizzazione in stile cinese, conclude Lu, rappresenta un percorso che, pur sviluppatosi in un contesto cinese, “rappresenta le aspirazioni del Sud del mondo di liberarsi dall’egemonia occidentale mondiale”.


Nell’ideologia occidentale, la Cina non è più percepita come un paese socialista, anche se rimangono tracce della sua eredità rivoluzionaria. Secondo questa prospettiva, l’obiettivo della modernizzazione in Cina ha sostituito quello della rivoluzione, che a sua volta ha svolto un ruolo importante nella stabilizzazione del sistema capitalistico globale. In altre parole, l’integrazione della Cina nel capitalismo globale ha contribuito a consolidare il processo di globalizzazione capitalista. Di conseguenza, la modernizzazione e la rivoluzione, così come la globalizzazione e la rivoluzione, sono presentate come dicotomie, simili a quelle della democrazia contro l’autoritarismo, della libertà contro l’autocrazia e dello stato contro la società. Queste dicotomie possono essere viste come l’estensione dell’ideologia della Guerra Fredda alla politica degli anni ’90, sottilmente incorporata nelle teorie della “globalizzazione” e della “modernità”. Oggi, il mondo rimane confinato dal pensiero dicotomico, che è il fondamento della continuità intellettuale e ideologica nella cosiddetta “Nuova Guerra Fredda”, che in larga misura funge anche da confine tra il Sud e il Nord del mondo. Questo modo di pensare, tuttavia, non rende un buon servizio alla comprensione del percorso di sviluppo della Cina verso la modernizzazione socialista e la sovranità nazionale da quando la Repubblica Popolare Cinese (RPC) è stata formata nel 1949.

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