Saggi di:
Luciana Castellina, Simone Oggionni, Aldo Garzia, Alfonso Gianni, Vincenzo Vita, Leonardo Casalino, Alfonso Maurizio Iacono, Sergio Dalmasso, Michele Mezza, Franco Astengo, Massimo Anselmo, Mattia Gambilonghi, Diego De Podestà, Massimo Serafini, Gigi Spina, Famiano Crucianelli, Marino Calcinari e Riccardo Bellofiore.
Scritti di Lucio Magri
- Dal ’68 al ’77: la nuova sinistra e il terrorismo
- Scuola, contestazione e rivoluzione in Occidente: il movimento studentesco e la “maturità del comunismo”
- Quale Stato sociale? Oltre la crisi del compromesso keynesiano
Il Report contiene
Scheda bibliografica
Scheda dell’editore
Introduzione dei curatori
Estratto intervento Gambilonghi
Note sugli scritti di Magri
Note biografiche
Link a: Magri,L. Il sarto di Ulm, 2009
Il Report contiene
Scheda bibliografica
Scheda dell’editore
Introduzione dei curatori
Estratto intervento Gambilonghi
Note sugli scritti di Magri
Note biografiche
Link a: Magri,L. Il sarto di Ulm, 2009
Scheda bibliografica
Attualità di Lucio Magri / a cura di Mattia Gambilonghi e Simone Oggionni. – [Roma] : Bordeaux, 2022. – 208 p. ; 21 cm. – Relazioni presentate al Convegno tenuto a Rimini nel 2021. – In appendice: Testi di Lucio Magri. – [ISBN] 9791259631602. – [BNI] 2023-1501. Ebook EAN 9791259631831
Scheda dell’editore
Discutere di Magri a dieci anni dalla sua tragica scomparsa significa qualcosa in più che ricordarne lo spessore politico e intellettuale. Vuol dire anche chiedersi perché un’intera storia collettiva, eretica e corsara, non ha retto all’urto dei tempi. All’urto di una rivoluzione passiva che ha travolto la sinistra italiana e ha trascinato con sé anche le componenti più critiche, più innovatrici, più dinamiche. In appendice rivivono infine alcuni testi magriani, uno dei quali mai pubblicato prima. L’attualità del pensiero di Magri viene indagata, verificata, scavata lasciando al lettore molti interrogativi ma anche fornendo alcune precise tracce di ricerca.
Introduzione dei curatori
«Attualità di Lucio Magri». Abbiamo scelto un titolo essenziale, didascalico, per raccogliere i testi dei diciotto interventi (a cui si aggiungono le conclusioni di Luciana Castellina e un contributo scritto da Riccardo Bellofiore) che si sono susseguiti nel convegno che abbiamo organizzato il 27 e 28 novembre 2021 a Rimini, dedicandolo al pensiero di Lucio Magri a dieci anni dalla sua scomparsa.
Perché è fondamentalmente l’attualità di Magri che ci ha spinti a chiamare a confrontarsi compagni di antica data e altri più giovani, ma culturalmente altrettanto legati alle sue intuizioni e alle tracce della sua ricerca politica e intellettuale.
Meglio: è l’attualità di Magri e il bisogno di verificarla, scavarla, indagarla, per capire cosa sopravvive di uno dei grandi della storia della sinistra italiana in questi tempi così complicati, di spaesamento e di disillusione. Se sopravvive, perché sopravvive, nei temi, nelle sfide e prima ancora nel metodo, nello stile.
Forse allora discutere di Magri a dieci anni dalla sua tragica scomparsa significa persino qualcosa in più che ricordarne lo spessore politico e intellettuale. Significa anche chiedersi senza fare sconti a noi stessi perché un’intera storia collettiva, eretica e corsara, non ha retto all’urto dei tempi. All’urto di una rivoluzione passiva che ha travolto la sinistra italiana e ha trascinato con sé anche le componenti più critiche, più innovatrici, più dinamiche.
In cosa non si è stati all’altezza? Perché non si è riusciti a frenare la mutazione genetica della sinistra comunista e neppure a sollecitarne approdi in grado di salvare il bambino dall’acqua sporca, di correggere quelle tare genetiche che con grande lungimiranza si era riusciti a individuare? Come scrive Aldo Garzia, pur valorizzando il tratto italiano e gramsciano del comunismo di Magri, abbiamo anche noi sulle spalle «tutte le macerie del socialismo reale d’impronta sovietica». E allora perché non siamo stati in grado di rinnovare la nostra cassetta degli attrezzi di fronte a un mondo che crollava e a un altro che, mentre si imponeva, cambiava in profondità, rapidamente e diffusamente?
Il lettore troverà, nelle pagine che seguono, molti interrogativi. Alcune risposte. Diverse risposte agli stessi interrogativi. Tra tutte, la argomentata difesa di Riccardo Bellofiore dell’esperienza del manifesto nei primissimi anni Settanta, quelli della difficile frequentazione della nuova sinistra, fuori dal Pci, sia sul piano sociale sia sul piano elettorale. Che contiene – Riccardo lo scrive espressamente – anche una critica implicita al neo – comunismo che segna l’esperienza del Pdup dal congresso di Bellaria in avanti e la ricerca magriana degli anni successivi.
Nel volume che abbiamo curato trovano spazio però, soprattutto, tracce di ricerca, spunti, stimoli. Ognuno dei quali ha seminato germi contro – egemonici, che riteniamo essenziali per il presente e il futuro.
Luciana Castellina, che del seminario di Rimini e di questo lavoro è ovviamente la madrina e il riferimento costante, ha battuto su due tasti. Il primo è quello della questione ambientale, ripresa con grande enfasi anche da Massimo Serafini, a indicare uno dei tratti di maggiore capacità anticipatrice dell’analisi di Magri. Porre al centro dell’analisi politica il rapporto tra uomo e natura – scrive Luciana – voleva dire già alla fine degli anni Sessanta collocare «all’ordine del giorno la necessità di una trasformazione radicale del sistema capitalistico». Da qui quell’attualità drammatica della rivoluzione, del cambiamento, che porta con sé l’urgenza di nuove forme di democrazia e di partecipazione. Lo scrive Luciana ma lo urlano nelle piazze i ragazzi di Fridays for Future, lo urla la violenza che trasuda dalle cronache di queste settimane: donne prese a schiaffi perché reclamano il proprio salario, uomini uccisi perché neri e poveri.
Alfonso Gianni declina questo bisogno di partecipazione e di trasformazione squadernando l’assillo della soggettività politica. Nota dolente, tasto che fa male, perché è qui che si arrovella Magri negli ultimi anni ed è su questo che misuriamo oggi la nostra peggiore insufficienza.
Famiano Crucianelli e Vincenzo Vita hanno il pregio di elencare gli altri semi: le lotte per il lavoro, il valore dei grandi movimenti pacifisti contro i missili Cruise e Pershing. E ancora: quello del rapporto con i femminismi, il tema «della scuola intesa come luogo di riproduzione e di conflitto nei saperi» e soprattutto un metodo, che tiene conto delle sfumature e delle intercapedini, delle curve e delle zone d’ombra: l’idea che «la critica alla complessità del capitalismo» è, per Magri, «un eterno romanzo di formazione».
Magri è però allergico a ogni dogmatismo, non è allergico all’ideologia. Anzi. È alfiere intelligente del bisogno di un pensiero forte, pesante, articolato, di una visione d’insieme del mondo e delle sue contraddizioni. Lo scrive Alfonso Maurizio Iacono, rivendicando il bisogno di chiudere una volta per tutte «con il discorso sulla fine delle grandi narrazioni e della fine delle ideologie».
Si tratta di rivendicare fino in fondo, come fanno Crucianelli e alcuni altri interventi, la filiazione gramsciana di Magri e mettere alla prova quell’impianto con l’innovazione e i cambiamenti (su cui si concentra in particolare, preziosamente, Michele Mezza) del tempo presente.
Del resto, i testi magriani che abbiamo scelto di pubblicare in appendice sono lo specchio di questa sfida. Una riflessione del 1970 sul rapporto politico e ontologico tra lotta studentesca e lotta operaia. Una analisi retrospettiva, che Magri compie nel 1980, del decennio che dal 1968 porta al 1977, gravida di implicazioni politiche per noi rifondative di uno spazio di critica e di trasformazione avversario della lotta armata e delle sue tristi illusioni. Infine, un testo inedito del 1986, sul welfare e le politiche sociali, trascrizione di una relazione a un seminario interno al nuovo Pci cui Magri aderisce dopo il re – incontro con Berlinguer.
Nel libro c’è spazio per questo e per molto altro. Per ricordi, aneddoti, riflessioni amare, speranze. C’è insomma spazio per uno scorcio di una storia collettiva, non soltanto per la vivisezione del pensiero di un maestro.
Questo nostro lavoro è dedicato a Lucio Magri, ovviamente, perché ne è il protagonista.
Ma è dedicato anche, e in modo particolare, a un amico e a un compagno che più di ogni altro ha reso possibile il convegno di Rimini, ha voluto questa pubblicazione e ancora prima ha costruito negli anni scorsi i nessi e i legami che hanno consentito che nascesse una comunità di riflessione e confronto diversa da quelle degli anni e dei decenni passati. È grazie ad Aldo Garzia se generazioni diverse si sono incontrate, si sono riconosciute, si sono adoperate per mantenere viva qualcosa di più di una memoria e qualcosa di simile a una eredità.
Ad Aldo, allora, con riconoscenza e commozione.
M.G e S.O.
Estratto intervento Mattia Gambilonghi
“Terza via” e rifondazione della sinistra nel pensiero di Lucio Magri
Fra la tradizione comunista italiana e la novità del ’68
di Mattia Gambilonghi*
Ricordare la figura di Lucio Magri a dieci anni dalla sua scomparsa è non solo un atto politico dovuto e obbligato, in quanto volto a preservare e onorare la memoria di un dirigente politico dotato di una profondissima cultura politica e di un’elevatissima capacità analitica e progettuale; ma è, soprattutto, un atto utile e necessario politicamente, per noi tutti e per la più ampia comunità della sinistra italiana: se un futuro e una capacità propositiva ed egemonica per questa disastrata sinistra possono essere immaginati, ciò può avvenire proprio ripartendo da figure dotate della statura di Lucio Magri, raccogliendo la sua eredità intellettuale e tentando di metterla a frutto nell’oggi.
E’ evidente come non sia facile scegliere – vista l’ampiezza delle tematiche affrontate da Lucio e degli spunti di riflessione che nella sua esperienza politica più che cinquantennale ci ha lasciato – da quale nodo e da quale questione partire e muoversi al fine di ragionare sull’oggi e sulle prospettive future della nostra area politica (quella della sinistra).
In maniera forse un po’ ardita, cercherò di ragionare sulla macro-tematica che forse le ingloba tutte, e che proprio per questo ha rappresentato la costante, il grande filo rosso della riflessione teorica di Magri e della sua attività di dirigente politico. Mi riferisco al tema e al nodo (insieme teorico, strategico e politico) che nella storia del PdUP per il comunismo ha preso il nome di “terza via”: il tentativo, cioè, di individuare un nuovo paradigma della trasformazione sociale e della transizione al socialismo
. Un paradigma che, agli occhi di Magri, per riuscire realmente nel suo tentativo di profonda innovazione e ridefinizione della dottrina e della strategia a essa conseguente, necessita di poggiare su una nuova e più avanzata sintesi tra i due principali tronconi in cui è venuto articolandosi il movimento operaio (quello comunista e quello socialdemocratico) e tra le due grandi realizzazioni storiche a cui essi hanno dato vita, traducendosi in concrete esperienze statuali e di governo: l’esperienza sovietica e del “socialismo reale” da un lato, e quella socialdemocratica del Welfare State e del compromesso keynesiano dall’altro.
Si badi bene: nella riflessione di Magri, questa nuova sintesi non può in alcun modo ridursi ad una sorta di incontro a metà strada tra le due tradizioni, in una logica di reciproche concessioni. La sintesi a cui pensa Magri non è la traduzione politica del motto latino in medio stat virtus; ma è, al contrario, la più coerente e conseguente applicazione dell’accezione hegeliana del concetto di sintesi, inteso come superamento dialettico, in grado di inglobare, ricomprendere e portare a risoluzione i limiti reciproci della tradizione terzinternazionalista e di quella secondinternazionalista. In questo contesto, l’enzima e il vettore di questo aufhebung è individuato nel nesso e nella saldatura che a suo parere va operata tra quella che definisce la “lezione strategica del ‘68” ed il corpus teorico-politico ereditato dalla storia precedente del movimento operaio.
L’accoglimento e l’incorporazione teorica del nucleo centrale che a livello teorico e rivendicativo ha segnato l’esperienza del ‘68 permetterebbe infatti di portare a compimento il definitivo superamento di quelli che abbiamo definito i limiti della tradizione storica precedente: ossia, di quello statalismo e di quell’economicismo che, con modalità diverse ma speculari, hanno segnato tanto il filone socialdemocratico quanto quello comunista. Se la caratterizzazione statalistica di quelle tradizioni politico-culturali rimanda a una concezione di tipo giacobino, concezione che ai fini della trasformazione sociale assume come primario ed irrinunciabile il momento statale e il controllo delle leve amministrative che da esso emanano (nella duplice forma della presa del potere, per il bolscevismo, e dell’accesso per via elettorale al governo, per la socialdemocrazia), riconfermando così la natura separata e delegata dello Stato e del potere politico e rinviando sine die o a un futuro mitico e lontano il superamento della scissione tra governanti e governati; l’ispirazione economicista, invece, ha a che vedere con un atteggiamento segnato dalla fiducia quasi cieca nello sviluppo delle forze produttive, nel suo presunto carattere “neutrale” e nella sua funzione, ritenuta in ogni caso positiva ai fini della transizione. Da un lato, quindi, «l’idea della rivoluzione imposta dall’alto, attraverso la conquista del potere politico inteso come un guscio vuoto di funzioni semplicemente da riempire ed esercitare», dall’altro la «fiducia acritica e gradualista nel ruolo meccanicamente progressista e liberatore dello sviluppo delle forze produttive, così come il capitalismo le ha storicamente plasmate»[1].
Il ‘68, con i suoi valori, i suoi obiettivi e le pratiche di lotta da esso sedimentati, avrebbe fornito per Magri un contributo essenziale per superare questa duplice e speculare deformazione: in quanto espressione di una crisi che avviene nello sviluppo e non a causa di un inceppamento dello sviluppo stesso, una crisi che emana innanzitutto dalla maturazione di bisogni divenuti incompatibili con le strutture politiche e sociali di stampo capitalistico, i movimenti espressione del ‘68 renderebbero possibile, per la prima volta della storia, avviare una rivoluzione che sia sociale prima ancora che politica. In ragione, dunque, della simultanea critica alle concezioni quantitative dello sviluppo, alla delega politica e alla rigida gerarchia dei ruoli sociali, la stagione del ‘68 avrebbe espresso in nuce, seppur in forme confuse, disorganiche e acerbe, il nucleo di una nuova strategia rivoluzionaria, «una rivoluzione di tipo nuovo»[2]. In luogo della rivoluzione dall’alto, che separa rigidamente i tempi e le sfere della trasformazione sociale, i movimenti del ‘68 delineano a suo modo di vedere un «processo sociale di articolazione e diffusione del potere e di autotrasformazione delle masse»[3]. Un processo, quindi, dentro il quale «lotta e potere, protagonismo di massa e direzione politica potevano saldarsi in modo ben più compiuto che in altre esperienze precedenti, dando alla rivoluzione un carattere di rivoluzione totale»[4]. Proprio però per via del carattere ancora embrionale e rozzo di questa nuova concezione, e la natura spontaneistica e volontaristica delle avanguardie espresse da quella stagione di movimenti, Magri e il gruppo del manifesto invocano agli inizi del decennio Settanta un incontro e una sintesi tra le sensibilità e le pratiche emerse con il ‘68 e le organizzazioni storiche del movimento operaio, nel quadro di una sua più generale rifondazione.
È in ragione dei nodi e delle questioni sottese a questo anelito rifondativo (critica dello statalismo, rifiuto dell’economicismo, valorizzazione e messa a frutto dei bisogni potenzialmente anticapitalistici, costruzione costante e tenace dei germi di una società comunista) che la riflessione sulla terza via si trova a coincidere con il tema della rivoluzione in Occidente. Il richiamo a quest’espressione di Gramsci non è casuale: tutta l’elaborazione di Magri intorno al tema della nuova strategia rivoluzionaria che deve trovare spazio nelle società prospere e capitalisticamente avanzate si nutre avidamente della riflessione gramsciana sulle ambivalenze e sulle potenzialità che il processo di americanizzazione delle forme di produzione e di consumo porta con sé, così come delle differenze tra Oriente e Occidente sul piano del rapporto tra Stato e società civile. È proprio la specificità della società civile dei paesi capitalisticamente avanzati, la ricchezza e il dinamismo dei bisogni che da questa società civile emergono a rendere possibile per la prima volta una rivoluzione che sia prima di tutto sociale e solo in seguito tale da investire la dimensione politica e statuale: sta qui la maturità del comunismo per Magri, Rossanda e il gruppo del manifesto, e non – come malevolmente o semplicisticamente qualcuno interpretò all’epoca – nell’idea che l’ora X fosse alle porte. Se già nella critica del frontismo e dell’impianto semplicemente antimonopolistico delle riforme di struttura proposte negli anni Cinquanta dal Pci emergeva in Magri la necessità di delineare politicamente una “positività proletaria” in grado di prefigurare istituzioni, valori e logiche di sviluppo alternative, andando avanti, l’elemento di questa trasformazione carsica e molecolare da sviluppare già dentro il capitalismo e anticipando la conquista del potere politico e statale, attraversa l’intera riflessione politica di Magri, maturando verso forme sempre più elaborate e raffinate.
Ne è un esempio uno dei suoi ultimi scritti, il commento con cui recensisce il Gramsci storico di Alberto Burgio, quando parla esplicitamente della “risorsa Gramsci”. In quest’occasione, a mio modo di vedere, il segretario del PdUP esemplifica e sintetizza al meglio il nocciolo teorico dell’idea di “terza via” e il suo rapporto col pensiero gramsciano: l’elaborazione di Gramsci, a parere di Magri, farebbe infatti venire meno l’antica e oramai usurata alternativa tra riforme e insurrezione delineatasi in seno alla Seconda Internazionale fra le diverse anime di quest’ultima, rendendo semmai attuale quella tra una via al socialismo che si adagia sulla prospettiva dello sviluppo delle forze produttive e dell’azione redistributiva da operare, a valle, sui suoi “frutti”; e una via al socialismo che, al contrario, «già prima della piena conquista del potere, elabora e costruisce una critica radicale al modo di produzione e alla permanenza del muro tra governanti e governati, cosicché la conquista dello Stato possa dal primo momento avviare una deperimento dello Stato stesso».
Concepire in questo modo il processo di transizione e trasformazione sociale diviene per Magri tanto più necessario quanto più si aggrava la crisi e l’incapacità di autoriforma dei paesi del socialismo reale: come affermerà a più riprese di fronte alla crisi polacca dell’81, l’esaurimento di quella spinta propulsiva metterebbe radicalmente in crisi l’ipotesi togliattiana di una via italiana al socialismo che si struttura e dipana a partire dal policentrismo che ha oramai assunto il movimento comunista internazionale. Un’ipotesi che, pur prevedendo una specifica dinamica nazionale ed endogena, aveva al contempo uno dei suoi pilastri principali nella spinta e nel supporto esterno esercitati da un “socialismo in marcia”, inteso quale grande processo storico progressivo. Proprio per questa ragione, venendo meno quella spinta propulsiva esogena, diveniva quantomai urgente ed esiziale fondare su una dimensione più profonda, articolata e molecolare il processo di transizione.
Ma, praticamente, in che modo trovano traduzione nella vicenda del manifesto e del PdUP l’idea di terza via e il suo rigetto contestuale di economicismo e statalismo? In quali obiettivi intermedi e in quali pratiche di lotta prende forma questa ambiziosa parola d’ordine? Innanzitutto, nella centralità assegnata strategicamente ai consigli di fabbrica e a tutti gli organismi espressione di una partecipazione politica diffusa e di massa: questi ultimi vengono infatti visti come elementi di auto-educazione e auto-formazione politica, in grado non solo di favorire processi di ricomposizione politica del corpo sociale che riqualifichino la rappresentanza parlamentare, ma tali anche da porre nella pratica e fuori da astrazioni libresche il tema del superamento della natura separata e delegata dello Stato. Secondariamente, negli obiettivi di politica economica che, nei suoi scritti, pone a partire dal 1973 e dalla fine della “breve vita felice di Lord Keynes”. Obiettivi che hanno alla loro base una profonda critica della natura meramente quantitativa del tipo di crescita perseguita dalle politiche anticicliche del “keynesismo realizzato”, obiettivi che accomunano la riflessione di Magri a quella di uno dei più originali interpreti di Keynes, Hyman Minsky, proprio per questa sua estrema attenzione alla composizione qualitativa della spesa pubblica, ai bisogni sociali a cui essa intende rispondere, ai valori d’uso che intende produrre, ai livelli occupazionali che intende salvaguardare. O ancora: l’idea di “terza via” implica anche un preciso approccio al tema della pianificazione e alle modalità secondo cui concepire un governo dell’economia. Un approccio, quello fatto proprio da Magri, che rifugge tanto la logica autoritaria, amministrativa e alla lunga sclerotizzata che ha connotato la pianificazione centralizzata e l’economia di comando affermatasi in URSS, quanto la prassi socialdemocratica invalsa nel compromesso keynesiano e nei regimi di Welfare State, in cui l’intervento dello Stato si realizza perlopiù ex post, agendo a valle dei processi economici reali e risultando proprio per questo di natura essenzialmente compensativa rispetto alle dinamiche di mercato e, di conseguenza, funzionale e subordinato a esse sul piano delle finalità e degli obiettivi perseguiti. Il modello di programmazione economica che dovrebbe sostanziare la “terza via” immaginata e proposta dal PdUP mira, al contrario, a istituire un intervento regolatore che sia tale da imporre una logica propria e autonoma rispetto agli imperativi espressi dai grandi gruppi economici, pur tenendo ferma, al tempo stesso, l’esigenza di una forte e vivace dialettica fra Stato e mercato, fra piano e imprese, nel quadro di un forte e accentuato “policentrismo”: il raggiungimento delle scelte strategiche e delle direttrici di sviluppo individuate dal potere statale non va cioè imposto amministrativamente e burocraticamente, ma delineando un diverso e alternativo sistema di convenienze.
Un’ispirazione di fondo, quella sintetizzata ed esposta sin qui, che non ha caratterizzato solo la fase del manifesto e del PdUP, ma che ha segnato la riflessione e la proposta politica articolate da Magri negli ultimi anni di vita del Pci, specie nel frangente della battaglia volta a contrastare la svolta della Bolognina. Si pensi, ad esempio, alla relazione che apre il seminario di Arco: in quell’occasione, il rinnovamento dell’identità comunista invocato da Magri in quell’occasione non solo non si pone più, come nella tradizione comunista italiana giunta fino a Berlinguer, in una totale “continuità” col proprio passato, richiedendo al contrario una radicale cesura nei confronti di taluni degli elementi caratterizzanti questa tradizione e l’identità che ne deriva. Inoltre, il rinnovamento prospettato non assume la forma del mero volontarismo, di un’operazione astratta e confinata nel cielo delle idee. Al contrario, come dimostrano la raffinatissima e puntigliosa analisi dei diversi processi di trasformazione che tra anni Settanta e inizio Novanta hanno cambiato radicalmente la faccia delle società occidentali e della loro “costituzione materiale”, esso assume una dimensione profondamente “materialistica”, in quanto rispondente ai fenomeni e ai processi reali. «Il problema di una trasformazione dell’identità», afferma a questo proposito, assume la forma della ricerca di un equilibrio «delicatissimo e cruciale», in cui entrano in relazione elementi come «storia, ideologia radicata nel senso comune, sforzo rifondativo»[5]. Mancando una sola di queste componenti, o essendo una di loro sovradimensionate rispetto alle altre, il rischio concreto è quello di scivolare o nella conservazione dogmatica, o nell’eclettismo nuovista imputato alla gestione occhettiana. Un eclettismo che, precisa (e prevede) Magri, anche se animato da intenzioni nobili, può fatalmente condurre – in quanto «ventre molle» – a una totale penetrazione della «cultura corrente» e della «egemonia degli apparati dominanti» nei bastioni organizzati del movimento dei lavoratori.
La “rifondazione comunista” immaginata da Magri non poteva dunque in alcun modo connotarsi come un mero rifiuto o come semplice reazione alla modernizzazione neoliberista che in quegli anni veniva assumendo i suoi tratti più compiuti, dovendo piuttosto – dialetticamente – individuare la propria ragion d’essere nelle nuove e più sottili contraddizioni che quella modernizzazione generava e portava con sé. Da qui il titolo della sua relazione: “In nome delle cose”. Un titolo che richiamava sì l’ormai celebre documentario di Nanni Moretti, ma che intendeva mettere apertamente in luce – proprio attraverso il richiamo ai “fatti” e alle “cose” – la fondatezza e il pragmatismo di una moderna opzione comunista. Quest’ultima può infatti per Magri assumere due diverse connotazioni. La prima, legata a un’accezione che il dirigente comunista ritiene ormai logora e non più in grado di affrontare la battaglia per l’egemonia, è quella che, rigidamente e schematicamente, identifica l’identità comunista con la delimitazione leniniana del primo dopoguerra, con un approccio giacobino e avanguardistico del governo sociale e con una concezione centralizzata e iperstatalista del problema della pianificazione e della proprietà sociale. La seconda, a partire dalla quale è invece possibile per Magri declinare positivamente un’identità comunista per il XXI° secolo, è quella che prende le mosse dalla nozione di comunismo come “movimento reale” che si propone il superamento e la risoluzione delle contraddizioni della società in essere, assumendo quindi come criteri e parametri di un agire non statico, ma dinamico, dei capisaldi teorici come la «critica dell’accumulazione e della crescita quantitativa come unico parametro del progresso; critica del profitto e del mercato come meccanismi assolutamente prevalenti dell’economia e del primato dell’economico su ogni altra dimensione sociale […] critica dell’individualismo come condizione per affermare un vero dispiegamento della soggettività individuale, critica dello stato come macchina separata, della divisione tra governanti e governati, tra “borghese” e “cittadino”»[6].
L’attenzione a questi nodi – centrali per una critica comunista dell’esistente – piuttosto che a formule storicamente delimitate, ha rappresentato come abbiamo l’autentico fil rouge dell’indagine e della riflessione condotta da Magri lungo la sua attività di militante e dirigente politico. In tal senso, credo sia possibile considerare Magri uno degli esponenti maggiormente rappresentativi di quella tensione “tragica” che ha contraddistinto il comunismo italiano per una lunghissima fase: quella tragicità che faceva convivere il mantenimento della tensione verso una società altra e alternativa con la consapevolezza del fatto che il processo di transizione verso quest’ultima non poteva che essere graduale – tale cioè da interessare una lunga fase storica, entro cui si sarebbero alternate guerra di movimento e guerra di posizione – e profondamente attento alle dinamiche consensuali, alle garanzie dell’individuo, alle sue libertà.
* Il presente testo è un estratto del volume Attualità di Lucio Magri (a cura di M. Gambilonghi e S. Oggionni), edito da Bordeaux. Il volume – arricchito in appendice da alcuni scritti magriani inediti – raccoglie gli atti dell’assemblea tenutasi a Rimini nel novembre del 2021, a dieci anni dalla scomparsa di Lucio Magri. La versione in pdf e l’indice del volume sono scaricabili a questo link: http://bit.ly/3EXFWZ0.
Note
[1]Crisi e terza via. Tesi per il congresso straordinario di unificazione Pdup-Mls, “Compagne e compagni”, 1981, p. 33.
[2]L. Magri, Ampia sintesi delle conclusioni. Seminario nazionale su “Ristrutturazione della sinistra e ruolo del Pdup-Mls”, cit., “Compagne e compagni”, 8 novembre 1980, n. 23, p. 23.
[3]Crisi e terza via. Tesi per il congresso, cit., p. 33.
[4]L. Magri, Ampia sintesi delle conclusioni. Seminario nazionale su “Ristrutturazione della sinistra, cit., p
Pubblicato su Sinistrainrete Mattia Gambilonghi: “Terza via” e rifondazione della sinistra nel pensiero di Lucio Magri (sinistrainrete.info)
Note sugli scritti di Magri
Dal ’68 al ’77: la nuova sinistra e il terrorismo
Il testo proposto è una sintesi della relazione, dal titolo ’ 68: lotta nello sviluppo; ’ 77: lotta nella crisi. Nascita e sviluppo della lotta armata , tenuta da Magri al convegno unitario Pdup – Mls sul tema “Sinistra, nuova sinistra, partito armato”, pubblicata integralmente in Compagne e compagni , Agenzia
di informazione del Pdup, 20 marzo 1980, n.17
Scuola, contestazione e rivoluzione in Occidente: il movimento studentesco e la “maturità del comunismo”
1 Il testo è tratto dall’intervento svolto da Magri al convegno del manifesto “Scuola, sviluppo capitalistico, alternativa operaia e studentesca” (Roma 23 – 24 maggio 1970). I materiali sono stati pubblicati nei Quaderni del manifesto, 1971, n.1.
Quale Stato sociale? Oltre la crisi del compromesso keynesiano
Il testo è tratto da L. Magri, Relazione introduttiva alla riunione nazionale di impostazione della nuova “Commissione per le politiche sociali” del Pci, documento dattiloscritto, 1986.
Note biografiche
Massimo Anselmo , laureato in Economia e commercio, aderisce al manifesto nel 1970. Nel corso del decennio successivo ricopre la carica di segretario campano del Pdup e di membro della sua Direzione nazionale. Ha inoltre militato nel Pci, in qualità di membro della Direzione regionale, aderendo, in seguito al suo scioglimento, al Partito della Rifondazione comunista.
Franco Astengo , dopo aver partecipato dalle origini alla vicenda del manifesto , è stato segretario regionale del Pdup per il comunismo per la Liguria dal 1977 al 1984. Non confluisce nel Pci, pur continuando a portare avanti un’attività politica e culturale.
Riccardo Bellofiore , già Professore di EconomiaPolitica all’Uni – versità degli Studi di Bergamo, è stato collaboratore assiduo del – la rivista del manifesto . Tra le sue ultime pubblicazioni, L’ultimo metrò. L’Europa tra crisi economica e crisi sanitaria , con Francesco Garibaldo (2022), Smith Ricardo Marx Sraffa. Il lavoro nella rifles – sione economico – politica (2020), e Ai confini della docenza. Per una critica dell’università , con Giovanna Vertova (2018).
Marino Calcinari , laureato in Lettere Moderne con indirizzo storico all’Università di Trieste, già dipendente di Poste Italiane, insegnante precario, sindacalista in Cgil (Slc e NidiL). Nel Pdup dal 1974 al 1984, poi in Legambiente (dal 1987 ad oggi). Dall’89 nel Pci e dal 1991 al 2016 in Rifondazione Comunista. Fondatore con altri nel 2012 del Circolo del Manifesto di Trieste “Raffaele Dovenna”.
Leonardo Casalino , insegna Civilisation italienne a l’Université Grenoble – Alpes. Studia in prevalenza la storia politica e culturale del NovecentoNovecento e la storia sociale delle idee.
Luciana Castellina , aderisce al Pci nel 1947. Tra i fondatori, insieme a Magri, Rossanda, Pintor e Natoli, del manifesto , viene radiata dal partito nel 1969. Dirigente del Pdup per il comunismo, viene eletta parlamentare nel 1976 ed europarlamentare nel 1979: ruolo, quest’ultimo, che ricoprirà fino al 1999, venendo rieletta sia con il Pci sia con Rifondazione comunista. Attualmente, è membro della Direzione nazionale di Sinistra italiana. Tra i suoi libri più recenti, La scoperta del mondo (2011), Manuale antiretorico dell’Unione europea. Da dove viene e dove va quest’Europa (2016) e Amori comunisti (2018).
Famiano Crucianelli , militante del manifesto e del Pdup; più volte Parlamentare; sottosegretario agli Esteri nel governo Prodi II tra il 2006 e il 2008; esperto Undp nella cooperazione internazionale; dal 2016, presidente Biodistretto via Amerina.Sergio Dalmasso , laureato in filosofia e in storia, per quaranta anni insegnante di scuola media superiore. È stato consigliere comunale, provinciale, regionale. Si è occupato di storia dei movimenti sociali, del movimento operaio, delle formazioni politiche (nuova sinistra, manifesto, Psiup, Rifondazione comunista), di figure della sinistra (Basso, Giolitti, Libertini, Rosa Luxemburg). È stato redattore di diverse riviste storiche.
Diego De Podestà , riminese, aderisce al manifesto nel 1970 e poi al Pdup per il comunismo. Nel 1984 sceglie di non confluire nel Pci. Negli anni Ottanta e Novanta è stato consigliere comunale e assessore a Rimini. Nella vita lavorativa è stato commerciante e dipendente pubblico.
Mattia Gambilonghi , studioso di storia e teoria del movimento operaio, svolge un dottorato di ricerca in Scienze politiche presso l’Università di Genova e l’Université Libre de Bruxelles. Attualmente collabora con l’area“Storia e memoria” della Fondazione Di Vittorio e con transform!europe, think tank del Partito della Sinistra Europea. Tra le sue pubblicazioni, Controllo operaio e transizione al socialismo. Le sinistre italiane e la democrazia industriale tra anni Settanta e Ottanta (2017), e, con Alessandro Tedde, Progettare l’uguaglianza. Momenti e percorsi della democrazia sociale (2020).
Aldo Garzia è stato un militante della prima ora del manifesto prima e del Pdup poi. Giornalista, ha collaborato con svariate testate e periodici, dal manifesto quotidiano a Pace e guerra , passando per Democrazia e diritto e Palomar . Ha diretto il periodico Aprile per la sinistra , organo del Movimento dei Comunisti Unitari e in seguito della sinistra Ds. Tra le sue grandi passioni, oltre alla politica e al cinema, due paesi: Cuba e la Svezia. Fra le sue pubblicazioni, ricordiamo Cuba, viaggio nell’identità di un’isola (1997), La cucina di Fidel (1999), Fårö, la Cinecittà di Ingmar BergmanBergman (2002), Zapatero, il socialismo dei cittadini (2006), Olof Palme: vita e assassinio di un socialista europeo (2007). Sulla figura di Lucio Magri, ha curato, insieme a Luciana Castellina e Famiano Crucianelli, la raccolta di scritti Alla ricerca di un altro comunismo. Saggi sulla sinistra italiana (2012). È stato infine uno dei principali animatori del sito luciomagri.eu, del convegno di Rimini su Lucio Magri e di questo volume, che ne ha raccolto i principali contributi.
Alfonso Gianni , tra i fondatori del Movimento studentesco e del Movimento Lavoratori per il Socialismo (con la carica di vicesegretario nazionale), è stato poi dirigente del Pdup per il comunismo e del Partito della Rifondazione Comunista. Deputato in diverse legislature, attualmente è direttore della Fondazione Cercare Ancora.
Alfonso Maurizio Iacono, insegna attualmente Teoria e Storia dei Sistemi Filosofici all’Università di Pisa. Il suo ultimo libro: S ocrate a cavallo di un bastone , Manifestolibri, Roma 2022.
Gianni Melilla , pescarese, militante del Manifesto, del Pdup e poi del Pci. È stato segretario regionale della Cgil abruzzese. Consigliere comunale di Pescara e regionale dell’Abruzzo, ha ricoperto anche l’incarico di parlamentare per il Pds e Sel.
Michele Mezza , giornalista, docente di epidemiologia sociale alla Federico II, per lunghi anni in Rai, prima come inviato in Urss e Cina poi come ideatore del progetto editoriale di Rainews 24. Fra i vari testi pubblicati, Algoritmi di Libertà (2018); Il Contagio dell’algoritmo (2020); e con Andrea Crisanti, Caccia al Virus (2021), tutti con Donzelli editore.
Simone Oggionni , membro della Segreteria nazionale di Articolo Uno, responsabile nazionale Cultura, Istruzione e Ricerca. Promotore di Esse, associazione politico – culturale, è stato per diversi anni Segretario nazionale dei Giovani Comunisti. Laureato in Storia, è autore di saggi per diverse riviste e di libri, l’ultimo dei quali è Lucio Magri. Non post – comunista, ma neo – comunista (Efesto 2021). Ha lavorato, con i Governi Conte II e Draghi, nel Gabinetto del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Massimo Serafini , ha contribuito fin dalla sua nascita all’esperienza del manifesto e poi alla sua evoluzione nel Pdup per il comunismo. Dal 1983 al 1992 parlamentare comunista, è fra i protagonisti della lotta antinucleare e di quelle per la salvezza dell’Adriatico. Dirigente di Legambiente dal 1992 al 2009, vi collabora ancora.
Gigi Spina , è stato professore di Filologia Classica alla Università Federico II di Napoli. Pratica jazz, tennis e pensieri politici che condivide quasi sempre.
Vincenzo Vita , giornalista, è stato parlamentare e sottosegretario del Ministero delle comunicazioni dal 1996 al 2001. Presiede l’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, nonché l’Associazione per il rinnovamento della sinistra. Collabora con il manifesto e Critica marxista