Tendenza internazionalista rivoluzionaria: Nemici giurati, falsi amici e veri alleati della causa palestinese
Nemici giurati, falsi amici e veri alleati della causa palestinese
di Tendenza internazionalista rivoluzionaria
Tocca a noi internazionalisti militanti, nemici irriducibili di ogni potere borghese, dire un’amara verità: se il genocidio di palestinesi in corso a Gaza potrà andare avanti per mesi fino a rendere totalmente inabitabile quel territorio per i suoi abitanti, come ha programmato il boia Netanyahu, questo potrà succedere solo ed esclusivamente per le armi e i dollari amerikani, il petrolio azero, arabo, brasiliano, russo, la complicità degli stati e dei luridi mass media italiani ed europei, e infine per il cinismo degli altri falsi amici della causa palestinese (Turchia, Cina, Iran) che stanno alla finestra a guardare impassibili l’orrendo “spettacolo”, studiando come poter trarre profitto dal sangue versato dai palestinesi.
Con tutte le differenziazioni e le contraddizioni del caso, contro i palestinesi, il popolo più proletarizzato e irriducibile del mondo, si è venuta a saldare un’alleanza di fatto delle più grandi potenze del capitale.
Ad aiutare Israele a portare avanti la sua azione genocida, non c’è solo l’“Occidente collettivo”, nemico giurato della libertà delle masse palestinesi, con gli Stati Uniti del capo-killer Biden in testa. C’è la banda dei Brics, vecchi e nuovi. C’è la Russia, storica grande amica di Israele e soprattutto della sua destra ultra-sionista, disposta a prendere verbalmente le distanze dal massacro solo per darne la colpa a Washington, e proteggere con questo escamotage i gangster al potere in Israele. C’è il Brasile, grande fornitore di petrolio a Tel Aviv. C’è l’India che, a mattanza in corso, ha concluso un accordo di fornitura di manodopera a Israele per sostituire decine di migliaia di proletari palestinesi da licenziare e da sprofondare nella disoccupazione e nella povertà. Ci sono tutti i paesi arabi che – al di là delle frasi di circostanza – non hanno mosso un solo dito per bloccare, e neppure ridurre, le forniture di petrolio essenziali per lo sterminio.
Joe Galaxy: Film da non vedere: “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi
Film da non vedere: “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi
di Joe Galaxy
Recensioni entusiaste, elogi sperticati di amiche e amici, voci che rimbalzano per ogni dove… siamo incuriositi a tal punto che ci siamo decisi: andiamo anche noi a vedere questo mitico film, quello della Cortellesi, “di cui tutti parlano”.
“Fusse che fusse…” e ci trovassimo di fronte a un film che rompe gli schemi ed esce finalmente dai binari del conformismo lecchino e complice, della commediola soporifera e vuota e della soap opera inguardabile e avvilente che intasano i nostri schermi. Andiamo, dunque! Il cinema è persino a cinquecento metri da casa, tutto torna, gli dèi sono con noi, sarà un film bellissimo (o almeno interessante).
Passano due ore (qualcosa in più, a causa del martellamento pubblicitario che precede il film, che non ci molla neanche in questa occasione, figuriamoci…) ed eccoci fuori. Cos’è successo nel frattempo? Se può interessare, ecco le nostre impressioni:
Innazitutto, ‘sto marito che la “corca de bbotte” (per restare al romanesco del film) ci appare subito un po’ troppo marcato. Sicuramente è stato delineato con questi tratti forti perché deve soprattutto rappresentare una sorta di archetipo del maschio patriarca, e simboleggiare un mondo di soprusi intollerabili. Tuttavia questa figura così fortemente caratterizzata rischia di far svanire molte sfumature del dominio patriarcale in famiglia, spesso molto più sottili di una salva di volgari legnate, ma non per questo meno dolorose. Nonché di assolvere a priori la soggettività femminile che invece, spesso, nelle famiglie ha contribuito attivamente a rendere la vita di casa un piccolo inferno (per esempio, accettando senza reagire lo stato di fatto, e anzi mettendoci del proprio) – anche se di solito in modo diverso dal temibile patriarca.
Andrea Zhok: Nuova via della seta e il “sovranismo” della Meloni
Nuova via della seta e il “sovranismo” della Meloni
di Andrea Zhok*
L’Italia di Giorgia Meloni è uscita ufficialmente da ieri dalla Via della Seta.
In sostanza il governo Meloni, quello sovranista, quello che doveva avere a cuore, nelle chiacchiere della propaganda elettorale, il benessere e l’autonomia e la sovranità dell’Italia è riuscita nell’arco di due anni prima a tagliare definitivamente tutti i ponti con il maggior fornitore mondiale di energia (Russia), con cui avevamo tradizionalmente ottimi rapporti, e poi a liquidare i rapporti commerciali privilegiati con il paese con la più grande crescita economica mondiale (Cina).
Difficile immaginare una strategia economica più autolesionista per il paese.
Naturalmente sappiamo tutti che il patto tacito sottoscritto dalla premier con il padrone americano è: “Noi ti lasciamo governare senza metterti i bastoni fra le ruote, tu fai quello che ti diciamo.” Così ci troviamo l’ennesimo governo servosterzo, con la funzione di trasmettere in maniera agevolata l’impulso governativo d’oltreoceano.
Salvatore Bravo: Monadologia della solitudine
Monadologia della solitudine
di Salvatore Bravo
In questo momento storico le oligarchie stanno vincendo la lotta di classe con la “cultura dell’incuria” mascherata da cura/diritti individuali.
La pornografica indifferenza verso l’altro è divenuta la normalità nel tempo dell’integralismo liberista, è la forza titanica del capitale. La coscienza di classe ha la sua dinamica nella comunità solidale e nella cura, l’incuria promuove, invece, la reificazione aggressiva e irrazionale che addomestica i subalterni inoculando in essi il disprezzo narcisistico verso i propri pari. L’individualismo tracotante è separazione dall’altro e mistificazione sulla propria condizione. C si percepisce sempre come parte e mai come un intero. Senza dialettica non vi è progetto politico ma riproduzione meccanica del sistema.
La Monadologia delle solitudini è la vittoria di classe degli oligarchi, si dividono i subalterni, si inquina la capacità di pensare in senso olistico, si separa in nome della libertà d’impresa che promette l’Eden.
Andrea Puccio: Strage di Bucha: il pretesto perfetto
Strage di Bucha: il pretesto perfetto
di Andrea Puccio
La recente intervista di Daniel Arajamia di cui abbiamo dato notizia un paio di giorni fa in cui affermava tra le altre cose che fu Boris Johnson a intimare al governo di Zelensky di non firmare alcun accordo di pace con la Russia riapre anche un altro fatto che in quei giorni monopolizzò la stampa internazionale ovvero la famosa strage di Bucha.
Come ricorderete all’inizio del mese di marzo del 2022 venne attribuita all’esercito russo l’uccisione di decine di ucraini nella città di Bucha, strage che dai primi giorni apparve molto strana soprattutto nei modi in cui venne realizzata. I corpi furono trovati tutti in fila lungo la strada della città ucraina, non vi era sangue per terra e soprattutto molti corpi avevano fori causati da armi da fuoco nella nuca.
Tutti i mezzi di informazione furono concordi nel sostenere la tesi ucraina ovvero che i russi prima di abbandonare la città avessero assassinato cittadini inermi. Fu questo il pretesto per congelare qualunque piano di pace tra Kiev e Mosca. Ora sappiamo da Daniel Arajamia che furono i britannici a impedire a Zelensky di sottoscrivere a poche settimane dall’invasione russa un piano di pace.
Sergio Cesaratto: Danni collaterali del rialzo dei tassi
Danni collaterali del rialzo dei tassi
di Sergio Cesaratto
Con le politiche “non convenzionali”, la Bce ha immesso centinaia di miliardi di euro di riserve. Dopo il rialzo dei tassi, fruttano enormi interessi per le banche commerciali. E probabili perdite per le banche centrali nazionali dell’Eurosistema
Gli interessi sulle riserve bancarie
La Bce e le altre maggiori banche centrali erogano alle banche commerciali un considerevole flusso di interessi sulle cospicue riserve bancarie che hanno accumulato negli anni del Quantitative easing. Nella zona euro, al tasso corrente del 4 per cento, su 3.587 miliardi di euro (al 29/10/2023) fanno più di 143 miliardi all’anno. Per quanto in diminuzione, si tratta di cifre notevoli, soprattutto se cumulate su più anni. Tali costi comportano probabili perdite per le banche centrali nazionali dell’Eurosistema, che azzerano la loro capacità di trasferimento dei diritti di signoraggio ai propri governi, oltre a intaccarne il capitale.
All’estero si è discusso della questione, non altrettanto in Italia. Eppure, l’ampia remunerazione sulla liquidità bancaria sembra andare a vantaggio soprattutto degli istituti dei paesi del Nord, dove si concentra la liquidità in eccesso, e non di quelli italiani.
Roberto Iannuzzi: Ucraina: fine dell’illusione occidentale
Ucraina: fine dell’illusione occidentale
di Roberto Iannuzzi
Kiev sta esaurendo le sue limitate scorte di uomini, armi e munizioni, e l’Occidente non può fornirle ciò di cui ha bisogno. Per americani ed europei è un duro, quanto inevitabile, risveglio
Dopo quasi due anni di guerra estenuante, con una controffensiva fallita malgrado i lunghi mesi di preparazione e i miliardi di dollari spesi dagli alleati occidentali, nella capitale ucraina emergono pericolose divisioni ed è palpabile la disillusione.
Kiev si ritrova a cercare disperatamente di richiamare l’attenzione di Stati Uniti ed Europa, focalizzata sul conflitto di Gaza e sulle rispettive grane interne, mentre un lungo e duro inverno attende le decimate truppe ucraine, ormai ridotte sulla difensiva su gran parte del lunghissimo fronte.
Che l’Occidente abbia distolto lo sguardo dall’Ucraina non è un caso. Il conflitto ha infranto gran parte delle illusioni americane ed europee. A cominciare da quella di poter replicare le controffensive ingannevolmente vittoriose che poco più di un anno fa avevano permesso a Kiev di riprendere territori, a Kharkiv nell’est ed a Kherson nel sud del paese.
La “controffensiva di primavera”, poi rimandata all’estate, nelle aspettative era stata descritta come una campagna potenzialmente decisiva contro l’occupazione russa, che ne avrebbe spezzato il corridoio terrestre che unisce il Donbass alla Crimea, addirittura minacciando il controllo russo di quest’ultima.
Lanciata a giugno, tale controffensiva ha invece intaccato solo marginalmente la linea fortificata delle difese russe, al prezzo di enormi perdite per gli ucraini.
Voci inascoltate in Occidente
Il Rovescio: L’ULTIMO 25 NOVEMBRE. Contro la variante fucsia del disciplinamento sociale
L’ULTIMO 25 NOVEMBRE. Contro la variante fucsia del disciplinamento sociale
di Il Rovescio
Dopo quest’ultimo 25 novembre, proponiamo due testi diversi, che ci sembrano consonanti nel loro essere fuori dal coro. Il primo è della Coordinamenta femminista e lesbica, ed è già stato pubblicato sul loro blog https://coordinamenta.noblogs.org/. Il secondo, scritto da una compagna comunista, è inedito.
Se condividiamo l’allergia di queste compagne verso tutte le proteste comandate, nonché la denuncia della evidente strumentalizzazione istituzionale-poliziesca della vicenda di Giulia Cecchettin (e prima ancora dello stupro di Caivano), aggiungiamo da parte nostra una nota problematica.
Se dietro le mobilitazioni dello scorso 25 novembre (e più in generale dietro la riscoperta di massa, negli ultimi anni, delle questioni di genere) è difficile non scorgere una energica e interessata spinta mediatica, ci pare anche che la questione dei femminicidi e dell’oppressione patriarcale sia tanto reale1 quanto sentita. Mentre a dircelo è innanzitutto la vastità delle manifestazioni, attraversate da centinaia di migliaia di persone di ogni sesso e genere, «le piazze più sincere e arrabbiate» sembrano covare (e a tratti comunicare) anche una eccedenza, un bisogno di stravolgimento degli attuali rapporti sociali. Ce lo dicono sia alcuni slogan (a partire dal «se non torno a casa, bruciate tutto» nato dalle parole di Elena Cecchettin, la sorella di Giulia), sia alcune azioni (come il meritorio infrangimento delle vetrine dell’associazione antiabortista Pro Vita durante la manifestazione a Roma). Insomma, pare che ormai molte persone, specialmente giovani, identifichino come patriarcato la totalità della presente organizzazione sociale, esigendo, in un modo o nell’altro, il suo superamento…
Palestina, laboratorio dell’oppressione anche nelle metropoli imperialisteNico Maccentelli:
Palestina, laboratorio dell’oppressione anche nelle metropoli imperialiste
di Nico Maccentelli
Un ottimo spunto ci viene dall’opera recensita da Sandro Moiso su Carmilla:
Simone Browne, Materie oscure / Dark Matters. Sulla sorveglianza della nerezza, Meltemi editore, Milano 2023, pp. 265, 20 euro.
Scrive Sandro:
“Sostanzialmente la mentalità razzista, che sovrintendeva alla tratta atlantica degli schiavi e all’organizzazione del loro controllo e trasporto da un parte all’altra del mondo, di fatto ha anticipato le norme del controllo sociale contemporaneo attraverso la registrazione, la marchiatura e l’assicurazione sugli stessi per garantirne la proprietà dei “bianchi”. Cosicché l’opera di catalogazione giudiziaria, razziale, economica, sociale, mercantile, di genere e di classe che risulta dagli attuali processi di profilazione diffusa attraverso l’uso di strumenti di controllo non solo polizieschi ma, e forse soprattutto, volontari per mezzo dei social media e delle disparate piattaforme di comunicazione personale e commerciale, trova le sue origine in pratiche messe in atto fin dal XVIII secolo.”
Emiliano Brancaccio: Via della seta addio, prima gli interessi Usa
Via della seta addio, prima gli interessi Usa
di Emiliano Brancaccio
La decisione del governo Meloni di fare uscire l’Italia dalla cosiddetta «nuova via della seta cinese» rappresenta un errore strategico, che non favorisce l’economia nazionale e non aiuta ad allentare le tensioni sullo scacchiere mondiale.
La nuova via della seta è un progetto ormai decennale con cui il governo cinese sta investendo risorse nell’ampliamento delle reti infrastrutturali di trasporto e di connessione verso l’Africa, il Medio oriente e l’Europa, fino alle coste atlantiche della Spagna. L’Italia ha finora partecipato a vari snodi del progetto, riguardanti tra l’altro i porti del mediterraneo e i relativi collegamenti di terra. Dal prossimo anno questi programmi di investimento dovranno essere interrotti o almeno ridimensionati.
Lo strappo del governo italiano è stato caldeggiato per mesi dall’amministrazione statunitense, che ora saluta la decisione con entusiasmo. L’obiettivo di bloccare la via della seta cinese è un tassello della svolta storica che ha portato gli americani ad abbandonare il vecchio liberismo per inaugurare una nuova politica di protezionismo aggressivo, definita friend shoring: vale a dire, ora intendono fare affari solo con gli «amici» occidentali e i loro sodali, mentre puntano a elevare barriere commerciali e finanziarie sempre più alte e selettive contro la Cina, la Russia e gli altri paesi non allineati.
Francesco Prandel: Bulimia cognitiva
Bulimia cognitiva
di Francesco Prandel
Dove basta il dito per indicare, la bocca si chiude, la mano che scrive e disegna si ferma, le facoltà mentali si degradano.
Rudolf Arnheim
Cos’è cambiato negli ultimi quarant’anni? Si fa prima a dire quello che è rimasto uguale. La penna BIC. Forse anche l’accendino. Per il momento non mi viene in mente altro. Del resto, è noto da tempo che “tutto scorre”. E chi lo vorrebbe un mondo che non cambia mai?
Detto questo, mi sento di dire anche qualcos’altro. Una delle cose che mi sembra di capire guardandomi un po’ attorno, e provando a ragionando su quello che vedo, è che ogni cambiamento risolve qualche vecchio problema e ne crea di nuovi. Faccio fatica a immaginare cambiamenti che abbiano il dritto senza avere un rovescio. La domanda che lampeggia, allora, non interroga i cambiamenti che hanno cavalcato il millennio per sapere se sono buoni o cattivi. Vorrebbe piuttosto sapere se questi cambiamenti hanno risolto più problemi di quelli che hanno creato. O se, invece, hanno creato più problemi di quelli che hanno risolto. La questione mi sembra tutta qui.
Giorgia Audiello: Ucraina, la NATO ora lo ammette: “situazione critica, prepariamoci al peggio”
Ucraina, la NATO ora lo ammette: “situazione critica, prepariamoci al peggio”
di Giorgia Audiello
In un’intervista concessa sabato all’emittente televisiva tedesca Ard e ripresa dall’agenzia di stampa russa Tass, il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha ammesso che l’Ucraina si trova in una «situazione critica» e che in futuro bisognerà essere «preparati anche alle cattive notizie» per quanto riguarda la situazione di Kiev sul campo di battaglia. Tuttavia, Stoltenberg ha sottolineato che le guerre si sviluppano in fasi e bisogna essere pronti a «sostenere l’Ucraina sia nei momenti buoni che in quelli cattivi». Il segretario dell’Alleanza ha anche spiegato che serve aumentare la produzione di munizioni e che «i paesi della NATO non sono stati in grado di soddisfarne la crescente domanda». Ha comunque rifiutato di consigliare a Kiev cosa dovrebbe fare: «Lascerò che siano gli ucraini e i comandanti militari a prendere queste difficili decisioni operative», ha detto Stoltenberg. Al contempo, in Ucraina la situazione politica è sempre più instabile, in quanto le opposizioni stanno intensificando le pressioni e le critiche verso il presidente Volodymyr Zelensky che vede sempre più a rischio il suo ruolo istituzionale soprattutto a causa del fallimento della cosiddetta “controffensiva”.
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