Ascanio Bernardeschi:Con il Mes comanda il capitale
Con il Mes comanda il capitale
di Ascanio Bernardeschi*
Il Mes è un tassello del disegno europeo di affermazione del dominio del capitale sulla politica. Il governo di destra abbandona le promesse sovraniste e cerca di negoziare qualche briciola. L’opposizione di “sinistra” evita di occupare lo spazio di una critica alle devastanti politiche sociali dell’Unione Europea perché è più realista del re. Spetta ai comunisti indicare una diversa strada
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L’economista Emiliano Brancaccio ebbe a dichiarare che con il Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes) siamo di fronte a un disegno di rilancio del dominio del capitale sulla politica. Io più che di rilancio parlerei di accelerazione, perché dall’istituzione dell’Unione Europea (Ue) in poi, fin dal contenuto dei trattati istitutivi, il leitmotiv è stato proprio la sottomissione della politica ai voleri del capitale, fino a stravolgere la stessa democrazia liberale, figuriamoci il compromesso sociale contenuto nella nostra Costituzione.
Per motivare questa affermazione vediamo di che si tratta.
Il Mes, detto anche fondo salva-Stati, non è solo un meccanismo ma un vero e proprio soggetto istituito dall’Ue in sostituzione del Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria (Fesf) che venne varato nel 2010 per fare fronte ai dissesti finanziari conseguenti alla grande crisi mondiale del capitalismo del 2007-8 e che oggi è rimasto in piedi solo per portare a termine le operazioni già avviate nei confronti di alcuni Stati (Irlanda, Portogallo, Cipro e Grecia). Quindi non è l’Ue, per quanto anch’essa fondata su basi ademocratiche, a gestire il meccanismo ma una istituzione apposita che si regge su basi ancor meno rappresentative.
Camillo Chiappino: Althusser e la lepre. Strutture della crisi climatica e pratica politica ecologista
Althusser e la lepre. Strutture della crisi climatica e pratica politica ecologista
di Camillo Chiappino
Spiazzamento, sporgenza ed epistemologia
La forza della riflessione di Althusser[1] è la sua capacità di sporgenza. A dircelo è Balibar, la stella più fedele di quella formidabile costellazione[2] che fu il circolo di allievi che, negli anni ’60, si riunì intorno al maestro Althusser per rileggere e rinnovare la lettura di Marx. Nel 1996, introducendo la nuova edizione in lingua francese di Per Marx, Balibar avverte di non farsi ingannare dalla forma del testo. Pur trattandosi di una riproposizione di alcuni interventi che Althusser aveva già redatto tra il 1960 e il 1965, la scelta di articolarli insieme in una forma unitaria fece di Per Marx una vera e proprio opera, un libro filosofico a tutti gli effetti. Filosofico: perché esce in un periodo in cui la filosofia cambia stile in quanto <<attraverso la storia e l’antropologia, la psicanalisi e la politica, la filosofia si confronta più intensamente di prima con il suo esterno, il suo inconscio, la non-filosofia>>. Un libro: perché non si trattò soltanto di attingere alla verità autentica di Marx (l’esegesi), ma di lavorare su Marx per produrre <<una straordinaria costellazione di strumenti concettuali>>. Forse rischiando di far dire a Marx qualcosa che non aveva pensato, ma comunque aprendo <<alla possibilità di esportare le nozioni e le questioni presenti in Marx all’intero campo dell’epistemologia, della politica e della metafisica>>[3]. Vista dal punto di vista della congiuntura attuale, in cui la crisi climatica come contraddizione tra società umana ed equilibri non umani è lo sfondo su cui si proiettano, innescano e giustappongono crisi sociali ed economiche, dell’immunizzazione biologica e belliche, ecc., rileggere Althusser è, in primo luogo, ripeterne l’atteggiamento filosofico secondo cui la produzione di concetti è un lavoro di sconfinamento tra diversi saperi – nel suo caso la filosofia, la psicoanalisi, la storia della scienza, la critica dell’economia politica – proprio perché siamo di fronte a ordini di problemi in cui la teoria filosofica troppe volte, per dirla con Kant, cade in uno stato di minorità, sia che si tratti di epidemie, sia che si tratti di equilibri ecosistemici.
Enrico Vigna: Un altro Maidan in Serbia?
Un altro Maidan in Serbia?
di Enrico Vigna
In Serbia, dopo le elezioni che hanno visto una schiacciante vittoria delle forze governative, le forze al servizio degli interessi occidentali hanno tentato un Maidan serbo. La Russia ne ha fornito in anticipo i piani alla Serbia
Pur tra mille contraddizioni, limiti e gravi incognite sul futuro del paese e della sempre più esplosiva situazione nel Kosovo Metohija, la maggioranza schiacciante è andata ai partiti che hanno finora gestito questa delicata e complessa fase politica interna e internazionale. Nei fatti un voto di contenimento e resistenza ai diktat occidentali e NATO. Mentre le forze filo occidentali e natoidi hanno subito una nuova sconfitta, nonostante gli ingenti investimenti economici e mediatici occidentali, e ora tentano una sorta di rivoluzione colorata/Maidan serba, assaltando il parlamento e scatenando violenze nelle strade.
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Il 17 dicembre si sono svolte in Serbia le elezioni parlamentari e locali. Secondo i dati della Commissione elettorale repubblicana del paese, la coalizione del Partito progressista serbo (SPP), al governo, con la lista “Aleksandar Vucic – La Serbia non deve fermarsi”, ha vinto le elezioni per il Parlamento della Repubblica avendo ottenuto il 48.02% dei voti. La coalizione dell’opposizione filo occidentale “Serbia contro la violenza” ha ottenuto il 24.23%. Al terzo posto si colloca il Partito Socialista Serbo (già in alleanza e nel governo Vucic) con il 6,74%. Segue NADA/ Alternativa Democratica Nazionale, altra forza di opposizione conservatrice, monarchica ed europeista, con il 5.18%. La vera sorpresa è stata la lista “NOI. La voce del popolo” guidata dallo stimato dottor Branimir Nestorovic con il 4.82%, una nuova formazione che si colloca criticamente su alcuni aspetti, ma rifiuta fermamente ingerenze e pressioni per la svendita del paese a interessi stranieri e difende la sovranità nazionale. Oltre alle liste delle minoranze nazionali.
Claudia Cipriani: Questione AIFA
Questione AIFA
di Claudia Cipriani
Ci sono notizie che fanno fatica a venire a galla ma piano piano, perseverando, anche le storie più scomode trovano il loro spazio per essere raccontate e diffuse. Come quella di un gruppo di 202 medici e sanitari temerari che l’estate scorsa ha fatto causa all’AIFA, l’Agenzia Italiana del Farmaco. Per quale motivo? Per chiedere l’annullamento dell’autorizzazione all’immissione in commercio dei farmaci Cominarty di Pfizer Biontech e Spikevax di Moderna, ossia quelli che comunemente sono stati chiamati vaccini contro il Covid 19. Nella causa si chiedeva anche la revoca di ogni provvedimento connesso a quella commercializzazione e l’obbligo per l’agenzia di concedere ai ricorrenti l’accesso alle documentazioni che avevano richiesto. Le documentazioni in questione erano quelle relative alla dimostrazione che i vaccini anti Covid impedissero la trasmissione del virus e quelle relative alla valutazione rischi/benefici di quei farmaci.
La causa è stata persa, a luglio del 2023, ma dalle motivazioni espresse dai giudici nel rigettare il ricorso si scoprono dettagli importanti e sconcertanti. Si scopre infatti che AIFA non ha prodotto quelle documentazioni perché, come scritto agli atti, “fanno parte del dossier di autorizzazione depositato presso EMA, che AIFA non detiene”.
Etienne Balibar: Negri filosofo: amore e potenza
Negri filosofo: amore e potenza
di Etienne Balibar
La prima cosa che mi ha colpito di lui, oltre alla sua figura incredibilmente giovanile a qualsiasi età, è stato il suo sorriso unico, a volte carnivoro, a volte ironico o pieno di affetto. Mi colpì la prima volta che ci incontrammo, fuori da un seminario al Collège international de Philosophie. Era fuggito dall’Italia grazie a un’elezione che lo aveva temporaneamente liberato dal carcere. Eravamo sconvolti dall’ascesa del reaganismo e del thatcherismo, che avevano mandato in frantumi le illusioni nate dalla vittoria socialista del 1981. Cosa potevamo fare in questo sfacelo? “Ma la rivoluzione!” ci spiegava Toni, raggiante di ottimismo: avanzava attraverso innumerevoli movimenti sociali, uno più inventivo dell’altro. Non sono sicuro di averci creduto davvero, ma ne uscii libero dai miei umori neri, e conquistato per sempre.
Non avevo seguito il famoso seminario sui Grundrisse di Marx, organizzato nel 1978 all’ENS da Yann Moulier-Boutang, che mi avevano detto essere tanto affascinante quanto esoterico. E non sapevo quasi nulla dell’operaismo, di cui era uno delle teste pensanti.
Mario Lombardo: USA-Israele, trappola nel Mar Rosso
USA-Israele, trappola nel Mar Rosso
di Mario Lombardo
Il governo americano continua a ostentare preoccupazione per l’andamento della guerra genocida di Israele a Gaza, sostenendo di adoperarsi per cercare una de-escalation della crisi e convincere il regime di Netanyahu a ridurre i bombardamenti indiscriminati che stanno facendo strage di civili palestinesi. Nel concreto, tuttavia, l’appoggio dell’amministrazione Biden allo stato ebraico resta fermissimo e si è addirittura concretizzato questa settimana nella creazione di una “task force” navale per contrastare la crescente minaccia, da parte del movimento yemenita Ansarallah (“Houthis”), alle rotte commerciali nel Mar Rosso che interessano Israele e non solo.
La dichiarazione ufficiale con cui lunedì dal Bahrein il segretario alla Difesa USA, Lloyd Austin, ha annunciato il lancio del nuovo progetto (“Operazione Guardiano della Prosperità”) ha fatto riferimento all’imperativo di salvaguardare la libertà di navigazione e i flussi commerciali globali. Isolando alcune frasi del comunicato del capo del Pentagono si potrebbe pensare che le attività da contrastare siano quelle criminali di Israele a Gaza. Secondo Austin, quando sta accadendo mette infatti in pericolo vite “innocenti e viola il diritto internazionale”. Si tratta perciò di una “sfida internazionale che richiede azioni collettive”.
Carlo Clericetti: Germanomics, l’idiozia al potere
Germanomics, l’idiozia al potere
di Carlo Clericetti
Il tedesco Christian Lindner ha ottenuto di peggiorare nettamente una proposta di riforma delle regole europee che era già pessima. Alcuni ministri hanno resistito per un po’, ma poi hanno ceduto vendendo il futuro, cioè ottenendo solo di spostare i problemi maggiori sui prossimi governi
L’accordo sulla riforma del Patto di stabilità e (de)crescita è concluso. E’ una buona notizia? No, pessima.
Il nostro ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, si è battuto perché fosse un po’ meno dannoso per l’Italia, e bisogna certo fargliene un merito. Ma ha ottenuto assai poco in una riforma che già dalla proposta di base elaborata dalla Commissione europea si presentava come una prosecuzione, appena un po’ migliorata, della logica del vecchio Patto, quello che ha regalato all’Europa il peggior tasso di crescita tra le grandi aree economiche. Ma per il ministro delle Finanze tedesco, il liberale Christian Lindner, non era abbastanza “rigorosa”. E così, riunione dopo riunione, ha ottenuto di aggiungere regole e regolette che condanneranno i paesi a più alto debito, e specialmente Italia, Francia e Spagna, a politiche di bilancio che uccideranno qualsiasi speranza di crescita.
Mike Whitney: La guerra a Gaza non è per Hamas, è un problema demografico
La guerra a Gaza non è per Hamas, è un problema demografico
di Mike Whitney – unz.com
Ci è stato ripetuto più volte che l’obiettivo dell’operazione di Israele a Gaza è “sconfiggere Hamas”. Ma è vero? Noi non crediamo che lo sia. Non crediamo che una persona ragionevole tenterebbe di sradicare un’organizzazione militante distruggendo vaste aree del Paese e uccidendo decine di migliaia di persone innocenti. Non è così che si raccoglie il sostegno per la propria causa né questa è una strategia efficace per sconfiggere il nemico. Al contrario, è una politica che sicuramente farà inorridire alleati e avversari, minando notevolmente le possibilità di successo dell’operazione. Ecco perché non crediamo che l’attacco di Israele a Gaza abbia a che fare con Hamas. Pensiamo che sia una cortina fumogena usata per distogliere l’attenzione dai veri obiettivi della campagna.
E quali potrebbero essere questi “veri obiettivi”?
I veri obiettivi riguardano una questione che non viene mai discussa dai media, ma che è il fattore principale che guida gli eventi. I dati demografici.
Francesco Piccioni: Due o tre cose che vanno dette su Toni Negri
Due o tre cose che vanno dette su Toni Negri
di Francesco Piccioni
E’ tradizione soprattutto mediterranea, almeno a far data dall’Eneide, quella del parce sepulto, ossia l’invito a non parlar male dei defunti, anche se hanno avuto delle colpe.
L’invito è rispettabile sotto molti aspetti, ma non può essere esteso oltre misura, fino a cancellare ogni critica per quanto fatto o detto o scritto dal dipartito. Altrimenti ogni progresso storico specifico sarebbe congelato come le lapidi di un cimitero.
Nel caso di Toni Negri, in questi giorni, abbiamo visto molte “dimenticanze” da parte dei vecchi o seminuovi protagonisti della stagione dei “movimenti”, i soliti insulti da parte della destra trinariciuta, qualche ricordo non demonizzante anche su alcuni media mainstream.
Ci sta. I ricordi di gioventù sono sempre più dolci che non i sentimenti in tempo reale. E l’odio da parte del nemico spinge a mettere da parte le critiche, a suggerire “compattezza” anche quando questa non c’è stata, neanche in pieno conflitto.
Ma onestà intellettuale vuole che il parce sepulto, nel suo caso, non sia applicabile almeno per quanto riguarda le due principali influenze che a Negri vengono riconosciute: quella sul pensiero politico e sulle pratiche politiche “di movimento”.
Perché la sua influenza è stata – sì – decisamente importante, ma altrettanto decisamente negativa.
E mi sembra necessario che quel poco o tanto di nuova mobilitazione antagonista sia perlomeno informata sugli aspetti più critici, in modo da decidere liberamente su come e se farci i conti. Non c’è infatti nulla di meno rivoluzionario dell’accodarsi a una “narrazione” edulcorata, priva di rilievi critici, accomodante… Inevitabilmente fasulla.
Alfonso Gianni: L’Europa, la sinistra e la necessità di pensieri lunghi
L’Europa, la sinistra e la necessità di pensieri lunghi
di Alfonso Gianni
La discussione che la redazione di Volere la Luna assai opportunamente ci propone concerne la relazione fra l’Europa e la sinistra. Ovviamente questa è oltre modo necessaria, forse persino un po’ tardiva, se si tiene conto che tra il 6 e il 9 giugno 2024 si voterà per il rinnovo del Parlamento europeo. Tuttavia sarebbe sbagliato e riduttivo prendere l’argomento dal lato elettorale, perché confinerebbe immediatamente la riflessione entro l’ambito angusto delle alleanze da combinare per cercare di scavalcare l’asticella del quorum. Per cui tralascio completamente, almeno per ora, questo aspetto del problema.
È invece indispensabile chiarire che cosa si intenda per sinistra. Non per postulare categorie definitive, ma almeno per capirsi tra noi. Quando penso alla sinistra, nel nostro paese come nel più ampio contesto dell’Unione europea, prendo in considerazione quelle forze politiche che, al di là delle loro denominazioni, si pongono sul terreno di un’alternativa al sistema capitalista o quantomeno mantengono tale prospettiva nel loro bagaglio teorico e programmatico, anche se con gradualità e qualche approssimazione di troppo. Ne consegue che escludo da questo quadro quei partiti o formazioni politiche che quella prospettiva l’hanno abbandonata da un pezzo, evidenziando la loro fuoriuscita da quell’orizzonte anche attraverso il cambiamento di denominazione. Riferirsi al Pd è d’obbligo, quale caso di specie, poiché il suo travagliato percorso, segnalato anche da mutamenti di nome, ha evidenziato certamente una crisi di identità tuttora irrisolta, ma soprattutto la fuoriuscita dalla storia politica del movimento operaio. La definizione di partito socialdemocratico non si presta a precisare la natura di questa forza mancandone molte delle condizioni che storicamente hanno contrassegnato la storia della socialdemocrazia europea, in primo luogo un consistente radicamento tra la classe operaia del rispettivo paese.
Alain Badiou: Sulla rivoluzione russa dell’ottobre 1917
Sulla rivoluzione russa dell’ottobre 1917
di Alain Badiou
Tratto da Alain Badiou, Pietrogrado, Shangai. Le due rivoluzioni del XX secolo, Mimesisa, 2023, Titolo originale: Petrograd, Shanghai, La Fabrique Éditions, 2018. Traduzione italiana di Linda Valle
È sempre impressionante vedere, nel breve tempo di una vita umana, un evento storico invecchiare, consumarsi, raggrinzire e poi morire. Morire, per un evento storico, è quando quasi tutta l’umanità ti dimentica. È quando, invece di illuminare e guidare la vita di una massa di persone, l’evento appare solo nei libri di storia specialistici. L’evento morto giace nella polvere degli archivi.
Ebbene, posso dire che, nella mia vita personale, ho visto la rivoluzione d’ottobre del 1917, se non morire, almeno agonizzare. Mi si dirà: non sei così giovane, dopotutto, e per di più sei nato vent’anni dopo tale rivoluzione. Quindi ha avuto comunque una lunga vita! E del resto, si parla dappertutto del suo centenario.
La mia risposta è questa: quasi ovunque, questo centenario, come il bicentenario della Rivoluzione francese, maschererà e mancherà il senso di questa rivoluzione, il motivo per cui per almeno sessant’anni ha scatenato l’entusiasmo di milioni di persone, dall’Europa all’America Latina, dalla Grecia alla Cina, dal Sudafrica all’Indonesia. E perché, allo stesso tempo e in tutto il mondo, ha terrorizzato e costretto a ritirarsi il piccolo manipolo dei nostri veri padroni, l’oligarchia dei proprietari del capitale.
È vero che per rendere possibile la morte di un evento rivoluzionario nella memoria degli uomini è necessario cambiarne la realtà, renderlo una favola sanguinosa e sinistra. La morte di una rivoluzione si ottiene con una dotta calunnia. Parlarne, organizzarne il centenario, sì! Ma a condizione che ci si sia dati strumenti dotti per concludere: mai più!
comidad: I fondi all’Ucraina e a Israele trovano modo di ritornare a chi li ha stanziati
I fondi all’Ucraina e a Israele trovano modo di ritornare a chi li ha stanziati
di comidad
Una cleptocrazia integrale può permettersi di ignorare non soltanto la strategia ma persino la logica più elementare, perciò non c’è da stupirsi se l’Unione Europea prende decisioni senza senso, poiché il vero senso va cercato altrove. Ma, come si dice, procediamo con ordine. Molti media hanno proclamato enfaticamente e senza mezzi termini che l’UE avrebbe approvato l’adesione dell’Ucraina e della Moldavia, mentre in effetti la cosiddetta “vittoria di Zelensky” consisterebbe soltanto dell’avvio dei negoziati per l’adesione. Purtroppo, anche così ridimensionata, la notizia continua a urtare il buonsenso.
Mentre l’Europa festeggia l’ennesimo dispetto fatto a Putin e la ritirata di Orban, il quotidiano statunitense “Washington Post” sembra porre la questione in termini un po’ più concreti, ricordando che l’ingresso di un paese disastrato come l’Ucraina comporterebbe la ridiscussione di tutto l’impianto dell’Unione Europea. L’Ucraina è infatti un paese povero che rischia di prosciugare tutto il bilancio dell’UE, e in più ha un’economia principalmente agricola, i cui interessi contrastano con quelli degli altri agricoltori europei, a cominciare dai polacchi, i quali non potrebbero più vendere il proprio grano a un prezzo remunerativo.
Alberto Fazolo: Yemen. La straordinaria lotta di un piccolo grande paese contro l’imperialismo occidentale
Yemen. La straordinaria lotta di un piccolo grande paese contro l’imperialismo occidentale
di Alberto Fazolo
Lo Yemen dopo decenni di guerre fatte per difendersi dalle aggressioni straniere, oggi lotta in solidarietà con la Resistenza palestinese. Lo fa contrastando gli interessi d’Israele e dell’imperialismo occidentale che incrociano nel Mar Rosso, ha sequestrato o colpito diverse navi di fronte alle proprie coste.
Il traffico marittimo nel Mar Rosso segue due direttrici, la principale è il Canale di Suez (che collega al Mediterraneo) e la seconda è verso il Golfo di Aquaba nella cui propaggine si affaccia Israele con il porto di Eilat. In questo momento il traffico marittimo da e per Suez è drasticamente ridotto, mentre quello verso Eilat è azzerato. Gli armatori preferiscono non addentrarsi nel Mar Rosso per non correre rischi, ma anche perché le compagnie di assicurazioni hanno significativamente alzato i premi. Per questo molte navi sono tornate a circumnavigare l’Africa passando il Capo di Buonasperanza. Tutto ciò si traduce inevitabilmente in un aumento dei tempi e dei costi di trasporto, ma anche in un crollo degli introiti per l’Egitto (cioè, i mancati pedaggi delle navi in transito a Suez), il Cairo già da tempo si trova in una situazione economica estremamente critica e questo colpo potrebbe essere non facile da incassare.
kamo: Arrivederci e buon lavoro
Arrivederci e buon lavoro
di kamo
0. Chi in questo paese non ha desiderato l’insurrezione è un’anima morta che nulla ha vissuto delle passioni della storia – da un vecchio volantino del Settantasette.
«Davanti al gruppone c’è un quarantenne coi capelli brizzolati con gli occhialetti tondi dorati. Una faccia a metà tra il terrorista russo di fine Ottocento e il dirigente d’azienda». Eccolo.
1. Quando scoppia il Sessantotto, e poi il Sessantanove, ha 35 anni, ma già con dieci di militanza. Quaderni rossi, Classe operaia, il Potere operaio veneto-emiliano. Gli scioperi degli elettromeccanici, il Petrolchimico di Porto Marghera, le fabbriche del Brenta. Assemblee, volantini, picchetti con gli operai – senza Movimento Operaio. La conricerca a Torino, con Alquati. Le discussioni a Roma, con Tronti. L’intervento in Emilia, con Bianchini. A 35 anni, ha un prestigioso posto universitario, una moglie, due bambini. Ce n’era abbastanza da tirare i remi in barca, dedicarsi alla carriera, al focolare, alle opinioni rispettabili. Mettersi alle spalle la fatica della lotta – “il mio, l’ho già dato”. Una vita borghese già apparecchiata.
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