Newsletter Sinistrainrete 20231229

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Sergio Fontegher Bologna: Toni Negri | Toni Negri vincente

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Toni Negri | Toni Negri vincente

di Sergio Fontegher Bologna

Operai e Stato 1200x600.jpgMi riesce difficile scrivere un necrologio. Forse perché ne ho scritto troppi in questo horribilis 2023. Troppi, da quello per Danilo Montaldi su “Primo maggio”, 1975. O forse perché Toni continua a vivere. L’energia che ha sprigionato e si è accumulata ha prodotto una forza inerziale che chissà quando si spegnerà.

Ogni volta che muore un compagno si apre un nuovo capitolo di “politica della memoria”, strumento indispensabile per proteggere la continuità. La prima cosa che mi viene da dire è: liberiamo la figura di Toni Negri dalla divisa di carcerato del 7 aprile! Anche se si continua a evocarla per cancellare la maschera del “cattivo maestro” (lui era orgoglioso di essere chiamato così), o per demolire il teorema Calogero, è pur sempre un modo subalterno di parlare di lui, è il terreno su cui ci fa scendere l’avversario e lì saremo sempre perdenti, sempre in difesa. Lo ha capito Cacciari, che ha parlato, da par suo, degli scritti di Negri, evitando di cadere nel troppo frequentato genere “devozionale”.

Vale la pena invece scoprire il lato vittorioso dell’azione militante di Toni Negri. Dobbiamo ricordare che l’operaismo per un periodo ha visto avverarsi le proprie previsioni, ha assaporato, almeno per qualche anno, la vittoria. Toni Negri ha avuto la fortuna di vedersi incarnare la sua immagine della “moltitudine”: una forza non massificata ma composta di innumerevoli individualità che un giorno convergono in un unico grido, che è di protesta ma anche di programma, convergono in un’unica volontà di vita contro un modo di produzione che ormai è capace solo di morte e distruzione. Toni ha avuto la soddisfazione di vederla passare sotto le sue finestre, la moltitudine, durante le grandi manifestazioni francesi della primavera 2023.

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Nicola Licciardello: L’ansiosa metafisica di Cacciari

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L’ansiosa metafisica di Cacciari

di Nicola Licciardello

Recensione a Massimo Cacciari, Metafisica concreta, Adelphi 2023

140939042 4be9314f eaaf 4507 8312
4cc9461dac51.jpgSe, come dichiara il risvolto di copertina, “quest’opera conclude l’esposizione del suo sistema filosofico, avviata con Dell’inizio (1990), proseguita con Della cosa ultima (2004) e Labirinto filosofico (2014)”, non abbiamo più chances di comprenderlo meglio. Userò lo spazio concessomi solo per evocare certe costanti del filosofo-scrittore Cacciari e le novità relative di questo libro. Queste ultime forse quasi più interessanti, per cui corro il rischio di iniziare da qui.

Il titolo: Agli spartiacque del pensiero. Lineamenti di una metafisica concreta doveva intitolarsi l’opera complessiva di Pavel Florenskij: di cui Cacciari qui cita la prima edizione italiana (1974) de La colonna e il fondamento della verità a cura di Elémire Zolla. Riprende Florenskij nel finale del libro: luminoso esempio di Philosophia perennis “come un sì alla vita”. Di Zolla cita anche Lo Stupore infantile, a proposito del simbolo: “Il mito è l’esegesi del simbolo, la sua dilatazione narrativa, che ha però una funzione speculativa”. Se anche non elaborate queste sono novità, Cacciari aveva sempre evitato di poggiare il suo discorso filosofico su un esoterismo trans-culturale (cioè l’indagine di un archetipo, esempio la Madre, la Guerra, etc. in differenti culture). Ancora più rilevanti sono gli accostamenti al sanscrito delle Upaniśad: di Giorgio Colli cita l’identificazione fra il greco “essere” tò ón e il brahman (p.45), pur distanziandosene – ma in prima persona enuncia poi una serie di radici comuni, come sat satya, omologia sanscrita di Essere e Verità, o affinità come sukha, “piacere” e il latino succus (p.297-300), oppure āyus “salute” ed eternità (greco aieiaienaion, p.323). Ancor più pregnante una citazione diretta da quella che definisce tout court “sophia upaniśadica”: dal finale del quarto adhyāya della Bṛhadāraṇyaka, la più antica (coeva forse dell’Iliade): “In verità questo grande e increato ātman, senza vecchiaia o morte, senza paura, è il brahman. In verità il brahman è felicità e diventa il brahman stesso colui che così conosce” (p.305)Questa “sophia” transculturale (greco-sanscrita) è direi innovativa per il nostro.

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Vladimiro Merlin: Sulle contraddizioni

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Sulle contraddizioni

Alcune riflessioni sui contributi di Mao Tse-tung allo sviluppo del pensiero marxista

di Vladimiro Merlin

1961 mao zedong reading
peoples daily in hangzhou 1.jpgMao, riprendendo gli studi di Marx ed Engels e di Lenin sul materialismo dialettico, sviluppa e approfondisce l’analisi della contraddizione.

In particolare sviluppa i concetti di contraddizione principale e contraddizioni secondarie e, sul concetto di principale, tra i due opposti di una contraddizione.

Categorie, queste, che non fissano una volta per tutte, in modo permanente e statico le caratteristiche di una contraddizione, ma sono anzi destinate a mutarsi e anche a capovolgersi nel corso del tempo e in base allo svilupparsi della contraddizione.

Una contraddizione che in un dato momento è la principale, in una situazione che è cambiata può diventare secondaria, mentre una che era secondaria può diventare principale in una fase successiva.

Secondo il pensiero di Mao, fare una analisi corretta e adeguata alla situazione del momento delle contraddizioni che sono in campo è fondamentale per arrivare a una comprensione e a una azione adeguata sulla situazione stessa.

Questo metodo è, per Mao, la giusta applicazione del materialismo dialettico a ogni campo della realtà, dalla scienza alla politica, in particolare in quest’ultimo campo è l’unico modo per evitare di cadere nell’opportunismo di destra o nel dogmatismo settario di “sinistra”.

Mao fa molti esempi di come questi concetti si applicano, in particolare in campo politico, ma non solo; ne cito uno: “Per esempio, nella società capitalistica le due forze in contraddizione, il proletariato e la borghesia, formano la contraddizione principale.

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Enrico Tomaselli: La catabasi imperiale

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La catabasi imperiale

di Enrico Tomaselli

C’è una grande guerra globale in atto che oppone l’impero occidentale a guida statunitense a quei paesi che ne contestano il dominio. A questa guerra, prima o poi, finiranno per ricondursi tutte le piccole guerre in atto nel mondo, quali che ne siano state le cause scatenanti ed è forte il rischio che finiscano per saldarsi in una sola guerra aperta. In questo momento, ci sono due fronti di guerra che sono con ogni evidenza parte di questo scontro: quello ucraino e quello palestinese. Entrambe ci indicano qual è il fattore decisivo su cui si decidono le sorti. L’impero ha fretta, perché teme che i suoi nemici diventino troppo forti e la sua capacità di deterrenza cali. Il resto del mondo ha pazienza e vuole logorare l’impero finché non crolla. La grande guerra globale è una guerra con il tempo.

* * * *

Benché sia una delle cose che capitano più di frequente, non bisognerebbe mai dimenticare la lezione di von Clausewitz, la guerra come proseguimento della politica con altri mezzi. Dunque non solo la guerra – ogni guerra – è già di per sé un atto politico, ma i suoi obiettivi, benché si cerchi di conseguirli attraverso lo strumento militare, sono e restano di natura politica. Dunque, una guerra che fallisce i suoi obiettivi politici è una guerra persa, anche se ha prevalso in ogni battaglia.

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Federico Giusti: Perchè l’Italia è uscita dalla Via della Seta

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Perchè l’Italia è uscita dalla Via della Seta

di Federico Giusti

L’Italia ha consegnato a Pechino la nota del mancato rinnovo del memorandum d’intesa (MoU) sulla Via della Seta, intesa sottoscritta nel 2019 e in scadenza nel marzo del prossimo anno.

Era quasi scontato che l’Italia non avrebbe rinnovato l’accordo con Pechino essendo stato anche il solo paese del G7 a farlo nonostante quasi 150 nazioni abbiano nel frattempo sottoscritto il medesimo Memorandum.

Scontato perché il Governo Meloni è una sorta di carro, intendiamoci, vecchio e malandato, al traino della locomotiva statunitense e ogni decisione viene assunta, in politica estera e non, per compiacere Washington. La uscita dalla Via della Seta, il sostegno a Israele, l’aumento delle spese militari in ambito nazionale e comunitario, sono le prime dimostrazioni della italica sudditanza.

Ci sono tuttavia alcuni aspetti di opportunità economica da prendere in esame anche se la decisione assunta viene spiegata all’opinione pubblica con motivazioni di carattere pseudo politico come quelle sopra evidenziate.

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Elena Basile: Cari “giullari”, c’è anche un occidente per la pace

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Cari “giullari”, c’è anche un occidente per la pace

di Elena Basile

Dovremmo cominciare a non leggere gli editoriali dei giornali principali. È una dura prova psicologica ascoltare i rappresentanti dell’odierna intellighenzia difendere quelli che per loro sono “i valori e gli interessi dell’occidente”. C’è persino chi si commuove all’appello della moglie di Zelensky: “Se non ci date armi, ci lascerete morire!”. Eppure tutti sappiamo che gli Zelensky, dopo avere contribuito alla morte in guerra di 200 mila giovani ucraini, hanno pronto un esilio dorato, in ville e con un patrimonio che hanno guadagnato asservendo il Paese all’imperialismo americano.

COME PUÒ UN EDITORIALISTA ignorare che costringere un popolo a morire per un obiettivo così stupido, quale il rifiuto della neutralità dell’ucraina, è un disegno criminale? Ci accusano di non volere esprimere solidarietà a un popolo aggredito, quello ucraino, dall’aggressore russo e di non voler capire che i valori e gli interessi dell’occidente sono in gioco? Bene, allora chiederei ai nostri intellettuali di guardarsi allo specchio e domandarsi se manderebbero i loro figli al fronte per far entrare Kiev nella Nato e difendere in questo modo il mondo libero. È triste esprimere solidarietà sulla pelle degli altri.

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Paolo Virno: Un congedo silenzioso

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Un congedo silenzioso

di Paolo Virno

Due anni fa, credo, telefona Toni. Sarebbe passato per Roma, mi chiede di vederci. Un’ora insieme, con Judith, in una casa vuota nei pressi di Campo de’ Fiori (un covo abbandonato, avrebbe pensato una canaglia dell’antico Pci). Non parliamo di niente o quasi, soltanto frasi che offrono un pretesto per tacere di nuovo, senza disagio.

Ebbe luogo, in quella casa romana, un congedo puro e semplice, non dissimulato da nenie cerimoniose. Dopo anni di insulti pantagruelici e di fervorose congratulazioni per ogni tentativo di trovare la porta stretta attraverso cui potesse irrompere la lotta contro il lavoro salariato nell’epoca di un capitalismo finalmente maturo, un po’ di silenzio sbigottito non guastava. Anzi, affratellava.

Ricordo Toni, ospite della cella 7 del reparto di massima sicurezza del carcere di Rebibbia, che piange senza ritegno perché le guardie stanno portando via in piena notte, con un «trasferimento a strappo», i suoi compagni di degnissima sventura. E lo ricordo ironico e spinoziano nel cortile del penitenziario di Palmi, durante la requisitoria cui lo sottopose un capo brigatista da operetta, che minacciava di farlo accoppare da futuri «collaboratori di giustizia» allora ancora bellicosi e intransigenti.

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Leonardo Mazzei: Euroconfusione a palazzo

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Euroconfusione a palazzo

di Leonardo Mazzei

VPO
6469 scaled.jpgL’euroausterità bussa prepotentemente alle porte, e manda la politica romana in euroconfusione. Nel giro di 24 ore l’Italia ha pronunciato un irresponsabile sì al nuovo Patto di stabilità imposto dalla Germania, e un giusto per quanto pasticciato no alla riforma del Mes. Roba da batticuore, che ci dice comunque una cosa: l’austerità tornerà alla grande, ma i problemi interni a quella follia chiamata “Unione Europea” sono destinati ad aggravarsi.

Perché questa schizofrenia del governo

La prima cosa da chiedersi è il perché della schizofrenia del governo italiano. Il leghista Claudio Borghi, certamente persona informata dei fatti, così l’ha spiegato a “il Giornale”:
«C’era da decidere se bocciare il Patto o il Mes», perché «entrambe le cose non si poteva» e «abbiamo scelto quella che faceva più danno all’Italia».

In poche parole, il Borghi ci dice tre cose: che bisognava mandare un segnale a Bruxelles, ma anche all’elettorato; che però non si poteva strappare davvero con la cupola eurista; che per l’Italia la riforma del Mes sarebbe stata pure peggio del nuovo Patto di stabilità. Se i primi due punti ci parlano di un equilibrismo politico portato all’estremo, il terzo è sostanzialmente una spudorata menzogna, dato che il nuovo Patto di stabilità farà danni ben maggiori della pur pessima riforma del Mes.

Una volta tanto, le ricostruzioni giornalistiche sono sostanzialmente credibili. Giorgia Meloni, che nei mesi scorsi aveva sempre parlato di “logica di pacchetto”, lasciando intendere che il nuovo Mes sarebbe stato approvato solo dopo che l’Italia avesse ottenuto concessioni sostanziali sul Patto di stabilità, alla fine è stata costretta a ingoiare due rospi in una volta sola.

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Antonio Cantaro: C’era una volta in Italia

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C’era una volta in Italia

di Antonio Cantaro

Libertà e dignità del lavoro nella relazione tenuta il 24 novembre presso l’Università di Teramo al Convegno “Sembra quasi un mare l’erba. Diritto, cultura e società negli anni 70”. Due giornate dedicate al decennio simbolo delle libertà, delle lotte politiche, della creatività e dell’innovazione

17033503170872512859886099243511.jpgPer rispondere alla domanda cosa resta degli anni ‘70 è necessario porsi prima un’altra domanda: cosa sono stati gli anni ‘70?  La risposta, per chi non è accecato dalle cattive ideologie dei giorni nostri, è semplice. Gli anni ’70 sono stati il tentativo di mettere in forma gli anni ’60.  Un tentativo tragicamente chiuso, dal punto di vista storico-politico, il 16 marzo 1978 con il rapimento di Aldo Moro. Un giorno che segna anche la fine della prima Repubblica.

Senza i costituenti anni ’60 e la rabbiosa risposta ad essi dei poteri costituiti non si capisce un bel niente degli anni ’70. Il tema assegnatomi mi aiuta. La libertà e la dignità del lavoro è, infatti, il terreno che in modo esemplare riassume la passione costituente degli anni ’60 e ’70. Costituente persino nel lessico, se un gruppo musicale, come quello che qui celebriamo, porta impresso nel nome un luogo artigianale e operaio. La forneria. Premiata, un auspicio divenuto ben presto, contro ogni previsione dei benpensanti, realtà.

Non la farò lunga. Potete spegnere per qualche minuto i vostri smartphone. Che c’entrano i cellulari? Molto, moltissimo, come dirò conclusivamente.

Prima dell’autunno caldo

Serve fare un passo indietro. Serve un po’ di storia sociale, civile e politica, di storia vissuta e non meramente statistica. Tornare con il cuore alla condizione del lavoro prima dell’autunno caldo.

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Daniela Danna: “La pandemia della paura” di Kees van der Pijl

sinistra

“La pandemia della paura” di Kees van der Pijl

Introduzione di Daniela Danna

Kees van der Pijl: La pandemia della paura. Progetto totalitario o rivoluzione?, curatore Daniela Danna,Asterios, 2023

9788893132572 0 536 0 75.jpgIl libro che avete in mano è uno strumento preziosissimo per orientarsi nella società attuale, in quest’epoca di passaggio al “modo di produzione informatico”1 con la sua promessa – per le classi dominanti – non solo della sorveglianza totale sui lavoratori e cittadini sottoposti, ormai ritornati al rango di sudditi a cui possono in ogni momento essere “sospese” le libertà e i diritti fondamentali, ma anche del trattamento eugenetico di quella che Kees van der Pijl chiama la “biomassa di 7,5 miliardi di persone”, trattata con gli strumenti della zootecnia imponendo preparati sperimentali che ne possono modificare il genoma su scala planetaria. Chiarisco subito, come farà nei dettagli l’autore, perché non vi è mai stata una reale emergenza sanitaria Covid: gli stessi dati dell’Istituto Superiore di Sanità hanno sempre mostrato numeri bassissimi di deceduti solo per questa malattia, ad esempio il 3% di morti senza altre patologie e un’età media di tutti i classificati “morti Covid” di 81 anni al 30 marzo 20202, mentre le stime sulla letalità della malattia, come queste del CDC – Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie statunitense del 10 settembre 2020, ne mostrano la sostanziale irrilevanza pandemica: nella fascia 0-19 anni: 0,00003 (0,003%); in quella 20-49 anni:

0,0002 (0,02%); 50-69 anni: 0,005 (0,5%) 70+ anni: 0,05 (5%)3.

Kees van der Pijl, l’autore del presente testo, è stato professore di Relazioni internazionali all’università di Amsterdam e a quella del Sussex, dove ha diretto il Centro per la politica economica globale. È attivo politicamente: è stato presidente della Resistenza Anti-Fascista olandese (AFVN/BvA), mentre ora è nel movimento per la pace e anti-lockdown.

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Nevio Gambula: Il messaggio suprematista dei sostenitori di Israele

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Il messaggio suprematista dei sostenitori di Israele

di Nevio Gambula*

Non è poi così difficile decifrare il “messaggio” dei sostenitori di Israele; cioè la direzione di senso dell’ideologia liberale e atlantista alle prese con la guerra contro Gaza.

È sufficiente leggere quanto pubblicato quotidianamente dai suoi rappresentanti più fanatici per individuarne gli “stereotipi”, ossia quei “significati” che si ripetono come “grandezze costanti”.

Si tratta, a ben vedere, di un messaggio dannatamente banale, fondato su un “nucleo semantico” immediatamente riconoscibile; e che si presenta su diversi livelli tra loro interconnessi, ognuno contenente almeno due piani, uno letterale, dei significati manifesti, l’altro secondario, quasi invisibile ma comunque decifrabile, quello dei significati impliciti.

Il primo livello di questo “messaggio” è di appartenenza; in esso si concentrano tutte le caratteristiche discorsive tipiche di chi vuole esplicitare il proprio posizionamento: si organizza il discorso – la “narrazione”, se si preferisce – per confermare l’adesione a un gruppo, una tribù politica, una tendenza culturale … Il “messaggio” è il vincolo identitario.

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Pino Cabras: Nuovo Patto di Stabilità: un furto di futuro

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Nuovo Patto di Stabilità: un furto di futuro

di Pino Cabras

La riforma è una grave minaccia per i popoli europei, in particolare il nostro. Rischia di portare a un aumento della povertà, nonché alla deindustrializzazione e alla perdita di sovranità. È necessario costruire una nuova idea di Europa

Dire no alla riforma del trattato del MES da parte di un’occasionale maggioranza di voti in Parlamento è stato un salutare rinvio di una trappola. Il problema è che non era l’unica. L’altra trappola, il nuovo Patto di Stabilità, non ha incontrato argini italiani.

Dobbiamo prepararci alle gravi conseguenze del nuovo Patto di Stabilità e alle implicazioni che esso comporta in termini di austerità. Nel momento in cui sarebbe più che mai necessario uscire dai “trent’anni perduti” in cui la nostra società ha subito un degrado e un declino, sono state messe le premesse per altri decenni perduti, in grado di impoverire drammaticamente i popoli europei. Il nostro più di altri. Un furto di futuro che minaccia già le generazioni che lavorano o sono in pensione, ma che compromette gravemente soprattutto l’intera vita delle generazioni più giovani.

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Piero Bevilacqua: L’Italia impoverita avanguardia dell’economia del debito

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L’Italia impoverita avanguardia dell’economia del debito

di Piero Bevilacqua

L’Italia si può definire un’avanguardista dell’economia del debito. Lo illustrano magistralmente Marco Bertorello e Danilo Corradi in “Lo strano caso del debito italiano. Storia di un anomalia divenuta globale”. Se infatti il debito pubblico è stato al centro dello sviluppo economico italiano anche prima della Seconda guerra mondiale e negli ultimi cinquant’anni escluso qualche periodo di impennata della crescita economica, è diventato normalità in tutto il mondo occidentale dai processi di finanziarizzazione dell’economica, culminati nella crisi finanziaria del 2007-2008, fino a oggi

La prima nota di merito che va al lavoro a quattro mani di Marco Bertorello e Danilo Corradi (Lo strano caso del debito italiano. Storia di una anomalia divenuta globale, Alegre 2023, pp. 362, 18 €) è il coraggio intellettuale con cui i due autori hanno affrontato uno dei più complessi problemi dell’economia nazionale entro un quadro temporale secolare, con sistematici raffronti internazionali, pur senza avere alle spalle le solide istituzioni (Banca d’Italia, Università o gruppi privati) con cui normalmente gli studiosi si avventurano in tali imprese.

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Emiliano Brancaccio: Il diversivo e la cambiale ai posteri

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Il diversivo e la cambiale ai posteri

di Emiliano Brancaccio

Appena pochi anni fa Giorgia Meloni e gli altri «sovranisti» del suo governo ancora sbandieravano l’incondizionato abbandono dell’euro come ricetta salvifica per l’economia italiana. Oggi si trovano con le ginocchia sui ceci a firmare il nuovo patto di stabilità, una cambiale all’Europa liberista persino più insidiosa delle precedenti.

L’approvata riforma del patto sarà una tenaglia, per l’Italia e per gli altri paesi relativamente deboli dell’Unione.

In primo luogo, la proposta di sostituire le rigide regole numeriche sui conti pubblici con degli «standard» più flessibili, timidamente caldeggiata dalla Commissione, è stata sdegnosamente cestinata dal governo tedesco.

Inoltre, il nuovo patto trascura che, come riconosciuto dalle stesse autorità europee, la crisi dell’eurozona esplose per uno squilibrio non dei conti pubblici ma dei conti esteri. Squilibrio alimentato da una Germania che a colpi di ribassi del costo del lavoro inondava di esportazioni gli altri paesi.

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