Newsletter Sinistrainrete 20240102

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Giacomo Gabellini: Israele: un “Protocollo Annibale” di massa prolungato nel tempo?

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Israele: un “Protocollo Annibale” di massa prolungato nel tempo?

di Giacomo Gabellini

720x410c50moiufjtrx.jpgConformemente al suo ruolo di spina nel fianco del governo guidato da Benjamin Netanyahu, il quotidiano israeliano «Haaretz» è tornato nuovamente sul tema dell’inadeguatezza “sospetta” manifestata dalle forze militari e di intelligence israeliane nel corso del 7 ottobre, sollevando il delicatissimo tema relativo al cosiddetto “Protocollo Annibale”. Vale a dire una procedura operativa introdotta per impedire la riproposizione di episodi analoghi a quello verificatosi nell’estate 1986, quando Hezbollah rapì e assassinò tre soldati israeliani inquadrati nella Brigata Givati, i cui cadaveri sarebbero stati consegnati a Israele nel 1996 in cambio della restituzione dei corpi di 123 guerriglieri del Partito di Dio.

Pochi giorni dopo il rapimento, il generale Yossi Peled, il colonnello Gabi Ashkenazi – che avrebbe successivamente ricoperto gli incarichi di Capo di Stato Maggiore e ministro degli Esteri – e il colonnello Yaakov Amidror si riunirono presso il quartier generale del Comando Nord per stilare quello che si configura come uno degli ordini operativi più controversi nella storia delle forze di difesa israeliane, che definiva la condotta da tenere in caso di rapimento di uno o più soldati dell’Israeli Defense Force. «Durante un rapimento – recita la direttiva – la missione principale consiste nel salvare i nostri soldati, anche a costo di ferirli. Le armi da fuoco devono essere impiegate per eliminare i rapitori o comunque fermarli. Se un veicolo con a bordo i rapitori non si arresta, occorre bersagliarlo deliberatamente con un singolo colpo di arma da fuoco mirato contro i sequestratori, anche se ciò dovesse significare colpire i nostri soldati. In ogni caso, verrà fatto di tutto per fermare il veicolo e non lasciarlo scappare».

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Gianfranco Pala: Introduzione a Il salario sociale

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Introduzione a Il salario sociale

di Gianfranco Pala

Tratto da Gianfranco Pala, Il salario socialeLa definizione di classe del valore della forza-lavoro, Laboratorio Politico, Napoli, 1995

wages strugglesLa capacità di lavoro, se non è venduta, non è niente.
(Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi)

Ciò che l’operaio scambia con il capitale è il suo stesso lavoro;
nello scambio è la capacità di disposizione su di esso: egli la aliena.
Ciò che riceve come prezzo è il valore di questa alienazione
[Karl Heinrich Marx]

Il salario, per il suo stesso carattere storico, è sociale. Dunque, l’apposizione di quest’ul­timo aggettivo sembrerebbe tautologica, suona come un pleonasmo. L’essere “sociale” del sala­rio, la sua dimensione di classe, deriva direttamente dal suo essere la categoria centrale delle società in cui predomina il modo di produzione capitalistico. L’analisi di Marx sul tema è tal­mente inequivocabile che occorre solo riesporla, con le sue stesse parole, aggiungendo solo quel tanto di attualizzazione, che potrebbe essere perfino ridondante, se non fosse per la dimentican­za e il travisamento in cui è caduta. Numerosi sono i luoghi da cui sono state tratte le parole di Marx; in particolare, tuttavia, si rimanda al Capitale [I-4.8.15.17/19; II-16.20; III-48], ai Linea­menti fondamentali [Q.II-26/28; Q.III-5/16; Q.VI-11.12]; e al Salario [Laboratorio politico, Na­poli 1995]. Con una riscrittura della lezione marxiana troppo spesso ignorata, dimenticata o fraintesa, quindi, si può offrire quella proposizione di concetti, categorie e determinazioni eco­nomiche delle quali è inutile tentare rielaborazioni artificiose. Giacché non potrebbero essere scritte meglio, neppure per l’attualità.

Il salario racchiude in sé la forma necessaria del rapporto di capitale. É una forma di re­lazione, pertanto, che non riguarda il singolo lavoratore e il singolo capitalista. Il lavoratore sa­lariato, la cui sola risorsa è la vendita della sua capacità di lavoro, non può abbandonare l’intera classe dei compratori, cioè la classe dei capitalisti, se non vuole rinunciare alla propria esisten­za.

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Alessandro Visalli: Vincenzo Costa, “L’assoluto e la storia. L’Europa a venire, a partire da Husserl”

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Vincenzo Costa, “L’assoluto e la storia. L’Europa a venire, a partire da Husserl”

di Alessandro Visalli

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lassoluto.jpgIl libro di Costa è del 2023, decisamente un anno di crisi.

Legge questa crisi attraverso la rilettura, tagliente e militante, di un altro libro della Crisi. La “Crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale[1] di Husserl, determinando a sua volta un testo difficile, costantemente in bilico, che cerca la traccia di una lettura, la quale al contempo tradisce/rispetta il testo. Nel quale testo è, in altre parole, cercato un filo interno in grado di leggerlo alla luce del più alto presente al prezzo di qualche tradimento. Mi pare che la chiave sia la tensione a muoversi su un confine esile, un’aporia chiaramente espressa. È, insomma, un libro politico dall’inizio alla fine.

Si tratta degli unici libri che vale la pena di leggere.

Tutto il testo è compreso nell’impossibile obiettivo iniziale: “interrogarsi sull’Europa significa, da un punto di vista filosofico, chiedersi quale sia la sua identità, che cosa la distingua da altre culture[2]. Domanda pienamente legittima, chiaramente, ma dalla risposta quanto mai difficile. Ora, l’interpretazione di Husserl a questa domanda (alla quale si potrebbe rispondere, semplicemente, che a distinguerla è la sua storia, ovvero che non si distingue) riecheggia temi del tempo: “l’Europa non è una storia, ma è la domanda stessa sulla storia”.

Incontrare un testo (nella fattispecie “La Crisi” di Husserl) significa avvertirne il distacco e l’alterità, la distanza, e proporre al lettore quali domande ci siano nel frattempo diventate estranee, ma, al contempo, lasciarsi attraversare dal testo. In modo che, riguardando l’oggi a partire dalla traccia degli anni presenti nelle pagine ri-lette, sia possibile esserne dislocati.

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Alessandro Bianchi: Dove è finita la classe dirigente europea? – Alberto Bradanini

lantidiplomatico

Dove è finita la classe dirigente europea? – Alberto Bradanini

di Alessandro Bianchi

“Tutto quello che ha riguardato l’Ucraina in questi due anni di guerra può essere ricapitolato in un solo termine: menzogna. Si è trattato di una montagna di falsità costruite a tavolino dai detentori del potere mediatico (che sono poi quelli che dirigono il cosiddetto pilota automatico che adotta quelle decisioni che i volti pensosi dei nostri ministri vorrebbero farci credere essere frutto di loro scelte)”.

Per “Egemonia”, con l’Ambasciatore Bradanini – ex ambasciatore d’Italia a Teheran e Pechino – abbiamo ragionato sulla coscienza attuale delle società europee, sulla macchina della manipolazione che plasma le scelte “di cittadini sprovveduti, ingenuamente persuasi” e, soprattutto, sull’indirizzo intrapreso dal continente con il conflitto ucraino. Come mai è scomparsa la classe dirigente europea? Dove si nascondono le élite della vecchia Europa che dovrebbero difenderne gli interessi strutturali dei loro paesi e del continente?

Nel rispondere l’Ambasciatore sottolinea che una classe dirigente europea come tale (vale a dire unita da coesione che vada oltre i singoli interessi nazionali) non è mai esistita.

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comidad: La narrativa aziendalista della cleptocrazia militare

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La narrativa aziendalista della cleptocrazia militare

di comidad

Secondo una certa narrativa, che si ripropone incurante del suo totale irrealismo, il governo dei sedicenti sovranisti si sarebbe arreso alla nuova formulazione del Patto di Stabilità imposto da Germania e Francia, come se questi due paesi fossero oggi nella condizione di farsi prendere sul serio da qualcuno. L’Italietta non ha mai avuto bisogno di farsi insegnare l’austerità dagli altri, e la deflazione (la “lesina”) è storicamente un valore del nostro establishment; per cui i “vincoli europei” hanno sempre svolto la funzione di un alibi e di un paravento per l’avarizia nostrana. Del resto certi precedenti storici rappresentano un unicum italico. Nel 1976 Guido Carli, appena concluso il suo mandato di governatore della Banca d’Italia, andò a presiedere Confindustria; quindi il capo della lobby dei creditori diventava il dirigente di un’associazione di debitori; come a ribadire che la finanza è più importante dell’industria e, se necessario, va sacrificata alla stabilità della moneta ed alla tutela del valore dei crediti. Dal 1976 infatti si è avviata la deindustrializzazione dell’Italia; partendo, come sempre, da Sud. Molte imprese, invece di reinvestire nella produzione i sussidi ricevuti dal governo, li hanno usati per comprare titoli del Tesoro.

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Federico Giusti: La povertà torna protagonista nel continente americano

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La povertà torna protagonista nel continente americano

di Federico Giusti

Premessa: la nuova bolla speculativa immobiliare

Ci siamo avvalsi di contributi autoctoni provenienti da alcuni siti, uno statunitense e altri del Sud America, che analizzano il ritorno della povertà in due paesi: Usa e Argentina.

Dopo la bolla immobiliare del 2008\9 milioni di statunitensi persero le loro case e andarono a vivere in roulottes o finirono nello sterminato esercito dei senza tetto.

Bolla speculativa per altro prevista dall’economista Robert J. Shiller a inizio secolo quando dominava l’euforia dei mercati e della crescita economica alimentata dalle guerre intraprese dagli Usa a partire dai Balcani.

La situazione, per quanto ne dicano i cantori del modello statunitense, a distanza di 24 anni non è migliorata e le enormi difficoltà nel contrarre un mutuo per la prima casa sono da più parti analizzate come si evince anche da una inchiesta di Forbes.

Usa: mutui alle stelle e senza tetto in crescita

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Leyane Ajaka Dib Awada: Attacco per alcuni, difesa per altri. Una sentenza occidentale

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Attacco per alcuni, difesa per altri. Una sentenza occidentale

di Leyane Ajaka Dib Awada*

Concepito ed eseguito come un’operazione militare, l’attacco guidato dalle Brigate Ezzedin Al Qassam di Hamas dalla Striscia di Gaza il 7 ottobre è stato qualificato come attentato terroristico, in Europa come in Israele. Immediato il parallelo con l’11 settembre e il Bataclan, che rende attuale una divisione razziale della sofferenza dei corpi, della violenza legittima e del diritto alla resistenza, sulla base di cosa sia o meno assibilabile all’Occidente.

“È l’11 settembre di Israele, e Israele farà tutto il possibile per riportare i suoi figli e le sue figlie a casa”. Pronunciata 3 giorni dopo l’offensiva lanciata da Hamas e da altre fazioni armate palestinesi contro Israele, questa dichiarazione dell’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Gilad Erdan, è una buona lezione di retorica.

Prima di tutto, l’espressione “schiaffo”: “l’11 settembre” evoca il crollo materiale e psicologico delle sicurezze di cui credevano di godere gli Occidentali, il ricordo doloroso della violenza, lo scandalo dell’ingerenza straniera nei propri contesti nazionali.

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Alessandro Somma: Wolfgang Schäuble: il teorico dell’Europa asservita alla Germania

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Wolfgang Schäuble: il teorico dell’Europa asservita alla Germania

di Alessandro Somma

Germania e morto Wolfgang Schauble ex ministro delle Finanze di Merkel e falco dellAusterita 1.jpgLa morte di Wolfgang Schäuble, il fautore più ottuso dell’estremismo austeritario tedesco, ci consente di mettere in luce le ragioni intime di questo approccio alla costruzione europea: asservire l’Unione alla Germania. Tra i molti riscontri di questa strategia scegliamo di ricordarne uno forse meno analizzato, ma non per questo meno inquietante: le riflessioni dedicate all’Europa a più velocità di cui proprio Schäuble fu un tifoso particolarmente infervorato. Non tuttavia per assecondare i bisogni dei Paesi più deboli del punto di vista dei parametri di Maastricht, ma al contrario per costringerli alla disciplina di bilancio imposta da quei parametri e soddisfare così gli interessi tedeschi. È quanto si ricava da un documento predisposto assieme a Karl Lamers nel 1994, a tre anni dal Trattato di Amsterdam e durante il semestre di Presidenza europea della Germania, quando Schäuble era Presidente del Gruppo cristianodemocratico presso il Parlamento di Berlino[1].

Proprio l’identificazione degli interessi tedeschi occupa l’apertura del documento, che si sofferma sulla collocazione geopolitica particolarmente delicata della Germania: nel punto in cui si incontrano, e sovente si scontrano, la parte occidentale e la parte orientale del continente. Per molto tempo, ricordano Schäuble e Lamers, si sono voluti affrontare i problemi legati a questa collocazione rivendicando un’egemonia sull’area europea, ma tutti i tentativi in questo senso sono miseramente falliti: da ultimo quello che ebbe «come conseguenza la catastrofe militare e politica del 1945». Da ciò una convinzione divenuta «un vero e proprio principio della politica europea» condotta dalla Germania: che le sue forze non siano sufficienti ad accreditarsi come potenza egemonica, e che pertanto «la sicurezza possa essere conquistata solo attraverso una modifica sostanziale del sistema degli Stati europei»[2].

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Andrea Muni: Educazione e violenza: parliamone (con Fanon). Decolonizzare le istituzioni, cedere sovranità

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Educazione e violenza: parliamone (con Fanon). Decolonizzare le istituzioni, cedere sovranità

di Andrea Muni

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L’aggressione coloniale s’interiorizza in Terrore nei colonizzati. Con ciò non intendo soltanto il timore che essi provano davanti ai nostri inesauribili mezzi di repressione, ma anche quello che ispira loro il loro stesso furore. Son stretti tra le nostre armi che li prendono di mira e quelle spaventevoli pulsioni, quei desideri omicidi che salgono dal fondo dei cuori e che essi non sempre riconoscono: giacché non è, da principio, la “loro” violenza, è la nostra, rivoltata, che cresce e li strazia; e il primo moto di quegli oppressi è di seppellire profondamente quell’inconfessabile ira che la morale loro e nostra condannano e non è però che l’ultimo ridotto della loro umanità. Leggete Fanon: saprete che, nel tempo della loro impotenza, la pazzia omicida è l’inconscio collettivo dei colonizzati

(JP. Sartre, “Prefazione ” a I dannati della terra, di F. Fanon)

Il problema posto dall’odierno rapporto tra educazione e violenza intreccia molte delle questioni più scottanti del nostro mondo alla deriva: dalla terza guerra mondiale a puntate in atto alla necessità di ripensare totalmente il modo di fare e diffondere cultura, dal problema dell’appassimento senile delle nostre istituzioni a quello del disciplinamento perpetrato per mezzo di un discorso dominante che si serve di tattiche e strategie, formali e informali, pubbliche e private, sempre più capillari e impercettibili. Tale “discorso” e le sue logiche profonde sono ritrasmessi indistintamente dallo pseudo-progressismo e dal liberal-conservatorismo dominanti nelle nostre élites politiche, professionali e intellettuali. In questo intervento approfondiremo le cause dell'(auto)aggressività strutturalmente prodotta dalle istituzioni (pubbliche e private) della nostra società, che non smettono di colonizzarenormalizzare selezionare internamente i soggetti più adatti a conservarne lo status quo.

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Francesco Bugli: In occasione del centenario di “Storia e Coscienza di Classe”: la dialettica di natura e società tra György Lukács e Alfred Schmidt

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In occasione del centenario di “Storia e Coscienza di Classe”: la dialettica di natura e società tra György Lukács e Alfred Schmidt

di Francesco Bugli

Questo testo è dedicato alla memoria di Roberto Sassi (1960-2023)

Lukacs72.pngParte I

Nell’influente raccolta di saggi Storia e Coscienza di Classe (dalla cui pubblicazione ricorre il centenario), György Lukács si pose un problema metodologico, ovvero se fosse possibile applicare alla natura il metodo dialettico nella formulazione engelsiana. La risposta secondo l’autore è sostanzialmente negativa, ed è già presente nel primo testo della raccolta intitolato Che cos’è il marxismo ortodosso?. Sappiamo che Storia e Coscienza di Classe è spesso considerato il testo fondatore del cosiddetto marxismo occidentale, incarnato da una rosa di autori che interpretano il pensiero di Karl Marx come separato da quello di Friedrich Engels su molte questioni cruciali, a partire proprio da quella metodologica. La separazione di cui parliamo riguarda cioè il metodo con cui si debba indagare natura e società: ciò non era scontato nella vulgata marxista del tempo che sarebbe confluita nel cosiddetto diamat di matrice sovietica. Il testo Il concetto di natura in Marx di Alfred Schimdt è a nostro avviso segnato da una profonda influenza del testo lukácsiano che lo porta a seguire la traiettoria del pensatore ungherese nella valutazione del pensiero di Engels. In questo articolo si traccerà quindi un ponte tra i due autori: un ponte relativo alla loro valutazione del pensiero engelsiano. Inoltre, verrà tenuta al centro la problematica ontologica, mostrando come essa sia declinata dai due autori in modi differenti.

  1. Storia e coscienza di classe: metodo e problemi nella conoscenza della natura e della società

A partire dal primo testo di Storia e coscienza di classe, Lukács poneva il problema della differenza di metodo da adottare nell’analisi della società e in quella della natura[1].

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Fabio Mini: Guai ai salvatori dell’Occidente

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Guai ai salvatori dell’Occidente

di Fabio Mini

Simboli fallimentari. Usa & C. avrebbero ormai dovuto imparare che non tutto si può risolvere con le armi e occorre porre limiti alla guerra prima che, vinta o persa, si traduca in una sconfitta politica e di civiltà

Non c’è rivoluzionario che prima di diventare eroe nazionale non sia stato considerato un terrorista dai regimi che intendeva abbattere.

Ma è raro che un eroe nazionale diventi un terrorista. In entrambi i casi tutto dipende da chi è destinato a vincere o perdere. Dopo otto anni di guerra civile e due di guerra contro la Russia, l’ucraina sembra destinata a perdere. Non è solo una constatazione oggettiva della situazione sul terreno e dei risultati ottenuti dalle forze in campo: le forze ucraine sono agli sgoccioli e dopo aver dilapidato gli armamenti, i soldi e gli aiuti ricevuti non sono nelle condizioni né di avanzare né di sistemarsi a difesa. La Russia, dopo aver iniziato una guerra “al risparmio”, impegnando poche forze e spendendo quelle immediatamente disponibili in penetrazioni tatticamente separate e non coordinate, è passata alla difesa fortificata della linea del fronte contro la quale si è esaurita la velleitaria controffensiva ucraina.

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Sandro Moiso: Elogio dell’eccesso /4: Comontismo

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Elogio dell’eccesso /4: Comontismo

di Sandro Moiso

A.VV. La critica radicale in Italia vol.2°: Organizzazione consiliare Comontismo 1971-1974, Tomo I pp. XV + 405 – Tomo II pp. 470, Nautilus, Torino 2023, 35 euro

Non è forse vero che la lotta degli uomini contro il potere è anche la lotta della memoria contro l’oblio? (Primo Moroni)

Nulla di questo mondo ci appartiene. Solo la rabbia è nostra, la voglia di vivere e questo tempo senza ritorno (Scritta di Paolo Ranieri sui muri del quartiere Gallaratese – Milano 1972)

In tempi bui come questi, non soltanto per colpa del governo delle destre, può far bene alla salute fisica e mentale la riscoperta o la scoperta di quanto una delle fazioni più radicali dell’antagonismo di classe critico produsse in Italia agli inizi degli anni Settanta.

Certo, però, per digerirne il contenuto occorre lasciare da parte qualsiasi riferimento al politically correct o al piagnisteo democratico, ordinativo e istituzionale, o all’antifascismo da loggione teatrale, perché tra le pagine del corposo lavoro pubblicato da Nautilus si veleggia su altri mari e verso altre rive.

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Francesco Dall’Aglio: Qualcosa matura sul fronte orientale, per l’anno nuovo

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Qualcosa matura sul fronte orientale, per l’anno nuovo

di Francesco Dall’Aglio

1 – Forse mi sbaglio, ma non mi pare che il discorso di Putin del 19 dicembre sia stato molto considerato dalle nostre parti. Effettivamente per i nostri media era una location un po’ esoterica (un incontro esteso del Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa) e di discorsi ce n’erano stati altri, e ben più lunghi e pubblicizzati, nei giorni precedenti.

Ma questo mi ha lasciato, devo ammettere, una leggera inquietudine.

Dunque, dopo essersi fatto mostrare da Shoigu e Gerasimov (che ha fatto una pancia notevole) tutta una serie di nuovi dispositivi bellici (allego foto), il nostro si è lanciato in una serie di considerazioni a braccio. Ne traduco una parte, quella più interessante (e inquietante, appunto).

L’unica garante della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina era la Russia. La Russia, quando ha creato l’Unione Sovietica, ha trasferito in cambio di nulla enormi territori storici russi, con un enorme potenziale, investendo grandi risorse in quel territorio.

E i territori occidentali dell’Ucraina, sappiamo tutti come l’Ucraina li ha avuti. Glieli ha dati Stalin dopo la seconda guerra mondiale.

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Salvatore Bravo: Lettera di Natale

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Lettera di Natale

di Salvatore Bravo

Sua Santità le chiedo un suo personale intervento in questo tema. La prego di usare la sua influenza per chiedere il rilascio senza condizioni e senza indugio”. “Le chiedo anche di fare appello alla Croce Rossa di visitare tutti gli ostaggi e consegnare loro medicine vitali”. “Il suo intervento potrebbe far pendere l’ago della bilancia e salvare vite preziose”.

Sono le parole che la moglie di Netanyahu ha scritto al papa pregandolo di intervenire per salvare gli ostaggi israeliani ancora prigionieri dei palestinesi. L’intervento, politicamente secondario, ma che ha ricevuto una discreta risonanza nei media, è meritevole di alcune osservazioni. In una condizione di guerra, in cui “gli aggrediti” reagiscono in modo sproporzionato penetrando nella Striscia di Gaza e massacrando senza differenza colpevoli e innocenti, l’intervento di Sarah Netanyahu non può che sollevare dubbi. Non una parola per i palestinesi che a migliaia cadono vittime sotto i bombardamenti dopo decenni di umiliante condizione. Non una parola per la pace e per la convivenza. La moglie di Netanyahu non può che agire coerentemente con le politiche dell’attuale classe dirigente israeliana, ciò malgrado si resta stupiti dinanzi a una visione della politica e dell’etica che ha “a cuore” solo la vita degli ostaggi.

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