Newsletter Sinistrainrete 20240104

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Marco Pondrelli: L’economia è politica. Tutto quello che non vediamo dell’economia e che nessuno racconta. Clara E. Mattei

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L’economia è politica. Tutto quello che non vediamo dell’economia e che nessuno racconta. Clara E. Mattei

di Marco Pondrelli

Quotidianamente ci imbattiamo in articoli o trasmissioni televisive nelle quali ci viene spiegato che rispetto al passato tutto è cambiato, se ne deduce che lo studio della storia non ha più senso o può servire solo a sfoggiare la propria cultura recitando a memoria i nomi dei sette Re di Roma o qualche data importante. Il libro di Clara Mattei ci spiega che non è così, se è vero che la storia non si ripete uguale a sé stessa è pur vero che quelle che oggi sembrano novità in realtà non lo sono. Il libro inizia proprio con il resoconto di una riunione che si tenne a Bruxelles e nella quali i tecnocrati li riuniti ‘costruivano un pacchetto di provvedimenti improntati alla più dolorosa austerità’ [pag. 9], quello che potrebbe sorprendere è che questa riunione si tenne nell’autunno del 1920.

Allora come oggi l’obiettivo è quello di ‘depoliticizzare’ l’economia, è lo stesso punto di partenza di Alfredo D’attore per il quale il concetto di ‘politico’ rappresenta la ‘carica di alternativa rispetto all’ordinamento sociale dato’. Se d’Attorre affronta il problema da un punto di vista filosofico, Mattei, da economista, cambia il punto di vista ma non le conclusioni laddove afferma che ‘l’economia è politica’ [pag. 13].

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Enrico Tomaselli: Il ritorno della guerra ‘risolutiva’

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Il ritorno della guerra ‘risolutiva’

di Enrico Tomaselli

La guerra di Corea è probabilmente l’ultima che gli Stati Uniti abbiano combattuto con l’intento strategico e la volontà di vincerla sul campo. Come sappiamo, è finita in un pareggio. Da quel momento in avanti, gli USA – che pure sono certamente il paese più guerrafondaio dell’era moderna – hanno fatto delle forze armate, e quindi della guerra, essenzialmente uno strumento di deterrenza, volto a contenere i nemici comunisti – URSS, Repubblica Popolare Cinese – nella loro espansione politico-ideologica oltre i confini (rispettivamente) dell’est europeo e della Cina continentale.

A partire dalla fine degli anni cinquanta del novecento, gli Stati Uniti non hanno mai preso seriamente in considerazione l’ipotesi di uno scontro diretto con una delle due potenze socialiste; hanno ovviamente ingaggiato un confronto per cercare di raggiungere la supremazia nucleare, e altrettanto ovviamente hanno elaborato strategie e tattiche in funzione di un ipotetico scontro di tal genere, ma si è trattato di pure ipotesi di scuola. Sul piano concreto, questa possibilità non è mai stata veramente considerata possibile, né tanto meno desiderabile.

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Giorgio Agamben: Due notizie (non fra le altre)

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Due notizie (non fra le altre)

di Giorgio Agamben

L’autorevole rivista «Nature» ha pubblicato i risultati di una ricerca di un gruppo di scienziati dell’Università di Cambridge guidati da Anne Willis che dimostra che i vaccini a mRNA, come quelli usati nella recente pandemia, producono proteine non volute, i cui effetti sull’organismo possono essere dannosi. Anche se la casistica delle patologie spesso gravi e persino letali in cui sono incorse le persone vaccinate era già per noi un’evidenza sufficiente, la ricerca ne offre per la prima volta una dimostrazione scientifica.

La seconda notizia è che vi è un notevole aumento rispetto agli anni precedenti di soggetti ammalati per le sindromi influenziali e il Covid (circa 2.552.000 dall’inizio della stagione). Non ci pare illegittimo suggerire che questo aumento potrebbe essere messo in rapporto con i risultati della ricerca appena citata.

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Leila Cienfuegos: NUDM sorpassa il patriarcato a destra

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NUDM sorpassa il patriarcato a destra

di Leila Cienfuegos

Per combattere insieme sia il sistema del patriarcato, sia il capitalismo non si può che essere contro la mitologia della parola d’ordine “sex work is work”, senza giustificare la pornografia e la prostituzione che si fondano sulla discriminazione di classe

Dopo l’oceanica manifestazione del 25 novembre, i boati contro il patriarcato che ancora uccide Giulia Cecchettin e centinaia di altre, la straordinaria mobilitazione di persone sui temi della violenza e disparità di genere di questo momento storico, è veramente spiacevole constatare come, nonostante tutto, all’interno di un movimento come quello di NUDM che è stato in grado in qualche modo di mobilitare ampi strati di popolazione su questi argomenti (anche in connessione con altri, altrettanto importanti, come il genocidio in corso a Gaza) e che si proietta verso lo sciopero del prossimo 8 marzo, risultano egemoni e incontrastate le posizioni che da anni tendono a giustificare la prostituzione e la pornografia con il mantra, a mio avviso insostenibile, inascoltabile, che “sex work is work“, invocandone una regolamentazione contrattuale “come accade con tutti gli altri lavori”.

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Giuseppe Masala: La battaglia di Bab el-Mandeb e il futuro della globalizzazione

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La battaglia di Bab el-Mandeb e il futuro della globalizzazione

di Giuseppe Masala

Molto spesso ho preso a prestito dal Pontefice la definizione dell’attuale crisi geopolitica come la “Guerra mondiale a pezzi”. Credo davvero che raramente nella Storia si sia avuta una definizione più efficace di questa, che è talmente emblematica da descrivere la difficilissima situazione strategica esistente con poche parole, semplici, chiare e dirette.

Una crisi questa che certamente segnerà la fine della cosiddetta globalizzazione, sorta con la fine del socialismo reale, e che probabilmente segnerà anche la fine dell’egemonia assoluta dell’Occidente e del suo paese leader, gli USA, sul resto del mondo. Immagino che tutti stiate pensando che in fondo tutti gli imperi finiscono e che non si può avere la pretesa che a rimanere in eterno sia proprio quello americano e occidentale. Certamente questa visione è corretta; tutto passa; dunque panta rei, anche per l’impero americano. Tuttavia in quella strabiliante definizione del Papa c’è l’individuazione di un altro aspetto davvero peculiare: data la quasi impossibilità di uno scontro diretto tra potenze che potrebbero usare le armi nucleari e rischiare così di porre fine alla civiltà umana sulla Terra, ecco che il conflitto assume una nuova caratteristica, quella di realizzarsi in una catena di conflitti tra loro legati dal fatto che a combattere sono forze ascare (quelle presenti nei paesi in lotta) a loro volta sostenute dalle grandi potenze in lotta.

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Claudio Conti – Guido Salerno Aletta: Wolfgang Schäuble, il Faust dell’euro

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Wolfgang Schäuble, il Faust dell’euro

di Claudio Conti – Guido Salerno Aletta*

Questo non è un necrologio tenero, bisogna dire. Anche nel caso di Wolgang Scaheuble utulizzare il parce sepulto sarebbe stato un insulto all’intelligenza. Degli uomini e dei popoli così duramente colpiti dalle sue paturnie, certo imposte con luciferina fermezza, dall’alto della straripante rendita di posizione tedesca in Europa.

Ma certo altrettanto criminali. Non solo negli esiti – alla fin fine terribili per la stessa potenza che ne aveva tratto i maggiori benefici, la Germania – ma anche sulla capacità dei cervelli di analizzare con serena lucidità i fatti e le teorie economiche che avevano reso credibile un rovesciamento totale del rapporto causa-effetto.

La straordinaria crescita del debito pubblico dei paesi europei più deboli considerata prova del loro amore per l’irresponsabilità contabile, invece che come prezzo pagato alle politiche scriteriate delle banche private tedesche e francesi che ne avevano finanziato la crescita senza badare agli squilibri macroeconomici che la moneta unica a quel punto nascondeva.

Era lo stesso gioco criminale che proprio Schaeuble, insieme a Kohl, aveva condotto contro l’ex Ddr nel processo di riunificazione, l’Anschluss che ancora oggi spinge la povertà e la nazificazione nei lander orientali.

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Ali Abunimah – David Sheen: Nuove informazioni riguardo alle menzogne israeliane sul 7 ottobre

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Nuove informazioni riguardo alle menzogne israeliane sul 7 ottobre

di Ali Abunimah – David Sheen*

Un generale israeliano ha ucciso altri israeliani e poi ha mentito. Prosegue la controinchiesta di Electronic Intifada sulle vittime dell’attacco palestinese ai kibbutz israeliani del 7 ottobre.

Israele morti nei kibbutzVideo e testimonianze recentemente pubblicati dai media israeliani rivelano nuovi dettagli su come le forze israeliane hanno ucciso i propri civili nel Kibbutz Be’eri il 7 ottobre.

La settimana scorsa, il Canale 12 di Israele ha pubblicato un filmato inedito di un carro armato israeliano che sparava contro una casa civile nell’insediamento, a pochi chilometri a est di Gaza.

Le nuove prove dimostrano che il comandante israeliano sul posto, il generale di brigata Barak Hiram, ha mentito a un importante giornalista israeliano su ciò che è accaduto nel kibbutz quel giorno, dopo che i combattenti della resistenza palestinese hanno lanciato un assalto su larga scala alle basi militari israeliane e agli insediamenti oltre il confine di Gaza.

Si tratta di un tentativo di insabbiamento da parte di un alto ufficiale militare, con la complicità dei media.

Ma, lungi dall’essere ritenuto in qualche modo responsabile, Hiram si appresta ad assumere il suo nuovo ruolo di comandante della Divisione Gaza, la Brigata dell’esercito israeliano che è stata sbaragliata dalle forze palestinesi il 7 ottobre.

Hiram risiede nell’insediamento di Tekoa, costruito in violazione del diritto internazionale vicino alla città di Betlemme, nella Cisgiordania occupata.

In un’intervista rilasciata il 26 ottobre a Ilana Dayan, conduttrice del prestigioso programma investigativo Uvda del Canale 12 israeliano, Hiram ha fornito un resoconto falso degli sforzi per salvare i civili a Be’eri.

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Alessandro Somma: Jacques Delors ha reso l’Europa unita un dispositivo neoliberale irriformabile

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Jacques Delors ha reso l’Europa unita un dispositivo neoliberale irriformabile

di Alessandro Somma

Piena occupazione vs stabilità dei prezzi

Secondo la ricostruzione che va per la maggiore, l’Europa unita è nata per assicurare al Vecchio continente un futuro di pace. Ha però visto la luce in un’epoca segnata dalla Guerra fredda, ed è stata pertanto concepita per rinsaldare il fronte dei Paesi capitalisti in lotta contro il blocco socialista. Ciò nonostante, non ha impedito agli Stati di promuovere una precondizione per il mantenimento della pace: una redistribuzione della ricchezza realizzata dai pubblici poteri fuori dal mercato tramite il welfare, e nel mercato con la tutela del lavoro e la piena occupazione.

L’Europa unita, nei suoi primi anni di vita, non era insomma del tutto ostile al compromesso keynesiano. Proprio la piena occupazione veniva del resto menzionata dal Trattato istitutivo della Comunità economica europea tra gli obiettivi che il coordinamento delle politiche fiscali e di bilancio nazionali doveva perseguire. Questi comprendevano però anche la stabilità dei prezzi e dunque la lotta all’inflazione, ovvero un obiettivo incentrato con la piena occupazione: per perseguirla, occorre sostenere la domanda attraverso l’incremento dei salari ed evitare quindi politiche monetarie destinate a contenere la disponibilità di denaro, richieste invece al fine di promuovere la stabilità dei prezzi.

In tutto questo si pensava che i Paesi partecipanti alla costruzione europea non dovevano limitati a coordinare le loro politiche fiscali e di bilancio, ovvero che le avrebbero prima o poi cedute a Bruxelles. Si pensava poi che questo passaggio avrebbe dovuto accompagnare, se non precedere, la creazione di una politica monetaria comune.

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Elisa Lello: Insidie, miraggi e trappole dell’ambientalismo

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Insidie, miraggi e trappole dell’ambientalismo

di Elisa Lello

Le lotte ambientali e sociali non possono essere separate le une dalle altre. Altrimenti si produrranno risposte deboli, prive di consenso e prima ancora battaglie sbagliate in principio, dove la buona fede si lascia incanalare dalla retorica e dagli interessi del capitalismo green

6 Guerra e sostenibilità
ecologica. .jpgL’ambiente è sotto attacco, e questa guerra, mossa dalle élite economiche, politiche e finanziarie del pianeta, è una guerra anche contro di noi, intesi non solo come specie umana indissolubilmente legata alle sorti (e anzi parte) della natura, ma anche – come suggerito dalla prospettiva del Capitalocene – come larga maggioranza di dominati, seppure con differenze fondamentali nel grado di intensità della violenza, spesso legate a latitudine e sfumature della pelle. Difenderci, reagire, non può che significare riconoscere, come cerca di fare l’ecologia politica, che battaglie ambientali e sociali non possono essere separate le une dalle altre. Perché se è vero che nessuno può davvero sottrarsi all’impatto della crisi ambientale, tuttavia le risorse (economiche, culturali, relazionali…) di cui possiamo disporre costituiscono pur sempre – anzi, forse sempre più – un discrimine significativo per la nostra capacità di arginare la violenza con cui le sue conseguenze si abbattono sui nostri corpi, sulla nostra salute e sulle nostre prospettive di vita; e perché inseguendo obiettivi di contrasto alla crisi eco-climatica senza porsi il problema di quali componenti sociali ne pagheranno il prezzo, si rischia di produrre risposte deboli, prive di consenso, e prima ancora di mettere in piedi battaglie sbagliate nel principio, dove la buona fede si lascia incanalare dalla retorica e dagli interessi del capitalismo green.

Prenderò spunto dalle riflessioni emerse a partire da due iniziative organizzate nell’autunno appena trascorso per gli studenti dei miei corsi – le presentazioni di Territori in lotta. Capitalismo globale e giustizia ambientale nell’era della crisi climatica di Paola Imperatore (Meltemi 2022) e Perché non si vedono più le stelle. Inquinamento luminoso e messa a reddito della notte di Wolf Bukowski (Eris 2022) – per proporre una riflessione attenta ai concreti rapporti di forza con cui si misura l’attivismo ambientale, mirata in particolare a localizzare alcune delle secche più insidiose dove questo rischia di incagliarsi.

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Antonio Semproni: Sul pensiero di Jean-Claude Michéa

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Sul pensiero di Jean-Claude Michéa

di Antonio Semproni

Un nuovo paradigma sociale. Natura umana e teoria politica in Jean-Claude Michéa” (Meltemi, 2023) è la fatica tramite cui Bianca Fazio ricostruisce il pensiero del filosofo francese e la sua critica al liberalismo. Lungi dal renderci una scialba e asettica introduzione, l’Autrice discende nella costruzione filosofica, ma sarebbe meglio parlare di “decostruzione”, di Michéa.

Il filosofo francese – e l’Autrice per lui – muove da un’intuizione spesso ignorata o sottovalutata: i moderni Stati liberali e, in seguito, l’ordine mondiale liberale si fondano su una visione antropologica essenzialmente negativa, cioè quella hobbesiana dell’homo homini lupus e della guerra di tutti contro tutti.

Due cause storiche hanno contribuito ad affermare l’egemonia di una simile visione. In primo luogo, le guerre civili di religione che, dopo la riforma protestante e lo scisma anglicano, hanno imperversato in Europa tra il XVI e il XVII secolo: esse, anziché unire la popolazione di uno stesso Paese verso un nemico esterno – come era stato con le crociate –, hanno inasprito le spaccature esistenti tra le classi sociali.

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Piccole Note: Haaretz: la guerra è tutt’altra da quel che ci raccontano…

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Haaretz: la guerra è tutt’altra da quel che ci raccontano…

di Piccole Note

La guerra di Gaza è guerra vera, non la passeggiata prospettata dai generali israeliani. E Tel Aviv rischia di perderla senza un sussulto di realismo

L’ottimismo sull’andamento della campagna di Gaza, propalato a piene mani dai politici israeliani e dalle forze di difesa israeliane (IDF), inizia a mostrare crepe. Le loro dichiarazioni, benché sempre incrollabili sulla certezza della vittoria finale, hanno perso l’iniziale slancio, tanto che iniziano a dire che la guerra durerà mesi e addirittura anni.

Per quanto riguarda l’IDF e tanti politici il prolungamento della scadenza temporale discende anzitutto dalla necessità di dimostrare una volontà ferrea sul conseguimento degli obiettivi e un rigetto totale delle richieste di un cessate il fuoco, ma è frutto anche di una presa di coscienza che gli obiettivi dichiarati all’inizio della guerra erano irrealistici.

Lo denota anche la nuova declinazione di tali obiettivi: non più l’eliminazione di Hamas dalla faccia della terra, ma la distruzione delle sue capacità militari nella Striscia, la sua eliminazione dalla scena politica del post-Gaza e la liberazione degli ostaggi.

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Pier Paolo Caserta: Dall’io metafisico all’io narcisistico

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Dall’io metafisico all’io narcisistico

di Pier Paolo Caserta

L’idealismo tedesco ha rappresentato un momento di fondamentale importanza nello sviluppo della storia del pensiero. Anche i suoi critici più severi hanno dovuto riconoscergli la profondità dell’intuizione filosofica di fondo; e lo stesso Marx mutuò espressamente e con piena consapevolezza dalla filosofia di Hegel l’impianto della dialettica, rovesciandola nella prospettiva storico-materialistica. In cosa è consistito, dunque, il decisivo contributo dell’idealismo tedesco alla storia delle idee? Oltre che nella dialettica, il suo apporto specifico va individuato nell’adozione della prospettiva sistemica. Tra Ottocento e Novecento il corso della Storia si sarebbe incaricato di infliggere un colpo mortale alle ambizioni della metafisica, come anche alle ambizioni previsionali e scientifiche del materialismo storico-dialettico.

Eppure, proprio oggi, nel tempo dell’individualismo narcisistico che ha decretato la fine di ogni punto di vista globale, l’idealismo tedesco contiene ancora una lezione alla quale guardare e dalla quale trarre se non altro ispirazione, contro la miseria dei tempi.

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Leo Essen: Crescita e decrescita demografica. Althusser legge Machiavelli

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Crescita e decrescita demografica. Althusser legge Machiavelli

di Leo Essen

Cosa dice Althusser di Machiavelli? Dice che Machiavelli scopre – pensa – la guerra totale. L’esercito non è un mezzo per raggiungere un fine – l’esercito è il fine. La guerra non è strumento della politica, né tanto meno (a giochi invertiti), la politica è strumento della guerra. Non c’è alcun rapporto strumentale – non c’è strumento. Dunque, non c’è nemmeno quel giochetto tentato da McLuhan tra significato e strumento.

Siamo sotto vento della fenomenologia (intenzionalità e zeug). Soprattutto siamo nel clima della guerra del Vietnam: non una guerra coloniale; non una guerra di occupazione, di interdizione, di posizione; non c’è ricerca di un lebensraum; non c’è ricerca di allargamento delle piste commerciali, del bacino di utenza, eccetera. Si potrebbe dire, rimacinando J. Barth (più che Clausewitz), che siamo alle prese con una Guerra d’esaurimento. Il pianeta delle lettere è stato ampiamente illustrato (conquistato), allora il compito della letteratura è esaurito. No. Non si tratta della fine della frontiera – la fine della frontiera americana, per esempio, o la fine della frontiera geografica.

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