Newsletter Sinistrainrete 20240106

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Jonathan Cook: Siamo noi i cattivi?

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Siamo noi i cattivi?

Il sostegno occidentale al genocidio a Gaza significa che la risposta è sì

di Jonathan Cook

La disperata campagna diffamatoria volta a difendere dei crimini di Israele mette in luce la miscela tossica di menzogne su cui si regge da decenni l’ordine democratico liberale

Baddies
750x430.jpgIn un popolare sketch comico britannico ambientato durante la Seconda guerra mondiale, un ufficiale nazista vicino alle prime linee si rivolge a un collega e, in un momento di improvviso – e comico – dubbio su se stesso, chiede: “Siamo noi i cattivi?“.

A molti di noi è sembrato di vivere lo stesso momento, prolungato per quasi tre mesi, anche se non c’è stato nulla da ridere.

I leader occidentali non solo hanno appoggiato retoricamente una guerra genocida da parte di Israele contro Gaza, ma hanno fornito copertura diplomatica, armi e altra assistenza militare.

L’Occidente è pienamente complice della pulizia etnica di circa due milioni di palestinesi dalle loro case, nonché dell’uccisione di oltre 20.000 persone e del ferimento di molte altre decine di migliaia, la maggior parte delle quali donne e bambini.

I politici occidentali hanno insistito sul “diritto di difendersi” di Israele, che ha raso al suolo le infrastrutture critiche di Gaza, compresi gli edifici governativi, e ha fatto crollare il settore sanitario. La fame e le malattie stanno iniziando a colpire il resto della popolazione.

I palestinesi di Gaza non hanno dove fuggire, dove nascondersi dalle bombe di Israele fornite dagli Stati Uniti. Se alla fine gli sarà permesso di fuggire, sarà nel vicino Egitto. Dopo decenni di sfollamento, saranno finalmente esiliati in modo permanente dalla loro patria.

E mentre le capitali occidentali cercano di giustificare queste oscenità incolpando Hamas, i leader israeliani permettono ai loro soldati e alle milizie di coloni, sostenuti dallo Stato, di scatenarsi in Cisgiordania, dove non c’è Hamas, attaccando e uccidendo i palestinesi.

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Antiper: Alain Badiou e la rivoluzione

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Alain Badiou e la rivoluzione

di Antiper

Questo intervento è una lettura di un testo di Alain Badiou sulla rivoluzione russa dell’ottobre 1917, tratto da Alain Badiou, Pietrogrado, Shangai. Le due rivoluzioni del XX secolo, Mimesis, 2023

big 165.jpgDi recente è uscita [1] una piccola raccolta di interventi del filosofo francese Alain Badiou dedicati alle due principali rivoluzioni del ‘900: la rivoluzione russa (d’ottobre) e la rivoluzione cinese.

In questi interventi Badiou rivendica integralmente il carattere progressivo per l’umanità di questi “eventi” (per usare un termine del suo arsenale teorico) e anche solo il fatto che un importante filosofo prenda posizione in modo così netto a favore delle rivoluzioni comuniste è una cosa che, di per sé stessa, riveste una grande importanza, in questi tempi di pensiero debole, anzi insulso. In questo intervento vogliamo entrare in dialettica con il breve saggio sulla Rivoluzione d’Ottobre analizzando alcuni passaggi che ci sono sembrati meritevoli di approfondimento.

L’esordio di Badiou è suggestivo e istituisce una linea di continuità rivoluzionaria tra la rivolta degli schiavi guidati da Spartaco e le rivoluzioni del ‘900

“Spartaco, Thomas Müntzer, Robespierre, Saint-Just, Toussaint Louverture, Varlin Lissagaray e gli operai in armi della Comune: tanti “dittatori” calunniati e dimenticati, che Lenin, Trockij o Mao Zedong hanno trasformato in quello che sono stati: eroi dell’emancipazione popolare, punti fermi dell’immensa storia che orienta l’umanità verso il governo collettivo di se stessa.”

Colpisce l’affiancamento di Trockij a Lenin (neppure Trockij, a cui certo non mancava l’autostima, avrebbe osato tanto dopo il 1917); i ruoli di Lenin e di Trockij, infatti, stanno su piani davvero molto diversi. Per intendersi (e sicuramente schematizzando), senza Lenin non ci sarebbe stata alcuna Rivoluzione d’Ottobre e se fosse stato per Trockij non ci sarebbe stato neppure alcun partito bolscevico. Encomiabile, certo, che dopo 15 anni di lotta senza quartiere Trockij, a 1917 inoltrato, si sia avvicinato ai bolscevichi e si sia allontanato dai classici alleati menscevichi, ma da qui ad accoppiare Lenin e Trockij ce ne passa.

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Francesco Dall’Aglio: Ucraina. Cosa “comunicano” i bombardamenti di queste ore

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Ucraina. Cosa “comunicano” i bombardamenti di queste ore

di Francesco Dall’Aglio*

Dunque, quella questione dei missili (e bene ho fatto a non scrivere subito, perché sono poi successe altre cose e ora posso fare un discorso un po’ più completo).

Come al solito, più che i fatti ci interessa capire i motivi dei fatti e provare a interpretarli.

I fatti li sappiamo: prima dell’alba del 29 dicembre la Russia ha scatenato un’incursione di missili su tutto il territorio ucraino che ha provocato danni estesi e vittime civili; la notte successiva l’Ucraina ha risposto colpendo la città russa di Belgorod con gli MLRS (lanciarazzi multipli), facendo pochi danni e un certo numero di vittime civili; infine, poco dopo la mezzanotte del 1 gennaio gli ucraini hanno colpito Donetsk, sempre con MLRS, e nella notte i russi hanno risposto con altri raid missilistici sul territorio ucraino.

Questi, appunto, i fatti. Ora, prima di provare a interpretarli, c’è da fare una premessa che in realtà andava fatta a monte, ovvero dall’inizio della guerra, e che va tenuta sempre presente ogni volta che si discute di quello che succede in una guerra.

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Federico Giusti: Perché cresce il costo del denaro?

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Perché cresce il costo del denaro?

Scenari inflattivi alimentati ad arte per aumentare i margini di profitto

di Federico Giusti

L’innalzamento dei tassi di interessi può essere spiegato con alcuni testi di critica marxista dell’economia che tuttavia resterebbero ostiche per molti lettori, per questa semplice ragione, anche a costo di essere schematici, proviamo a sintetizzare poche argomentazioni per andare oltre a quella nozione del potere assoluto della finanza sull’economia divenuta un luogo comune che non fa comprendere una realtà sempre più complessa e articolata.

  • la politica monetaria con i tassi di interesse ai minimi storici è servita in una fase economica antecedente alla Guerra Globale intrapresa dagli Usa 
  • le banche si sono riprese i loro spazi dopo gli anni pandemici recuperando la redditività di tutte le funzioni di intermediazione rispetto alle imprese e alle famiglie
  • sempre il sistema finanziario guarda con crescente interesse alla crisi di alcuni paesi come l’Argentina per promuovere politiche neo liberiste quali privatizzazioni, pagamenti in valuta estera, acquisizioni di aziende pubbliche, prestiti.

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Redazione: Un piccolo consuntivo geopolitico di questo 2023

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Un piccolo consuntivo geopolitico di questo 2023

di Redazione

Disclosure: tutti coloro che credono che le guerre nel Sahel (Mali, Niger, Burkina Faso, Sudan), in Ucraina, nel Caucaso (Azerbaijan, Armenia e Georgia) e in Medio Oriente (Yemen, stretto di Bab al-Mandab , Siria e Gaza) e che le fortissime tensioni in Moldova, al confine tra Bielorussia e Polonia, nel Baltico e nella penisola Scandinava siano eventi separati e che per parlarne bisogna essere esperti di ogni singolo teatro conoscendone, usi, costumi, storia, antropologia eccetera può anche evitare di leggere quanto scriverò qui sotto. Chi invece crede che tutti questi paesi siano “vittime” di una titanica proxy war combattuta tra le grandi potenze (segnatamente Russia e Cina da una parte e Stati Uniti dall’altra) dove popoli e territori sono sacrificabili all’indebolimento del fronte avversario può anche continuare a leggere. In altri termini, questo è un articolo scritto per chi crede che siamo di fronte a una “guerra mondiale a pezzi” (cit. J.M. Bergoglio), a una concatenazione di conflitti che nasconde come in un Teatro delle Ombre (Tournement of Shadow) quello che è il Grande gioco delle Potenze mondiali…ecco, chi non crede in questo eviti di leggere, grazie.

* * * *

La guerra in Ucraina sta per doppiare il suo secondo anno, e checché ne dicano certi sprovveduti non c’è in vista alcuna fine del conflitto.

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Marco Della Luna: Dopo la morte del settore pubblico

marcodellaluna

Dopo la morte del settore pubblico

di Marco Della Luna

Il settore pubblico è morto, morto di privatizzazione ed espropriazione. Morto sul piano economico-politico e su quello ideale. Rimane la sua vuota armatura. Vuota innanzitutto socialmente e moralmente.

In un mondo che affonda in un debito pubblico e privato inestinguibile sotto il peso di una massa crescente di ricchezza finanziaria costituita perlopiù da promesse di pagamento fuori della realtà, i soggetti privati che si sono presi il potere di creare moneta automaticamente dettano la legge.

Tre gruppi finanziari (Vanguard, Blackrock e State Street) gestiscono 25.000 miliardi l’anno, 1/3 del prodotto lordo globale. Se ne aggiungiamo altri tre dei maggiori, controllano tutte le banche centrali attraverso numerose società intermediarie che però mandano a votare nelle assemblee sempre quei quattro o cinque delegati, perlopiù, in Italia, di un unico studio legale milanese. I gruppi finanziari fanno capo a loro volta a pochissime famiglie, Rothschild e Rockefeller in testa. Praticamente tutto il settore pubblico è ormai caduto in mano a multinazionali finanziarie private, anzi a famiglie dinastiche, le quali, attraverso il finanziamento o definanziamento, e la modulazione del rating, dettano le politiche degli Stati.

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Carlo Formenti: Antonio Negri, un uomo che voleva assaltare il cielo alzandosi sulle punte dei piedi

perunsocialismodelXXI

Antonio Negri, un uomo che voleva assaltare il cielo alzandosi sulle punte dei piedi

di Carlo Formenti

Processo 7 aprile.jpegNel momento in cui l’intero patrimonio di idee, teorie, tradizioni e pratiche politiche del marxismo sembra evaporare nei Paesi Occidentali, mentre rinasce in forme inedite in Asia e America Latina, due eventi distanziati di pochi mesi l’uno dall’altro accentuano la sensazione di vivere la fine di un ciclo storico: mi riferisco alle morti dei due “grandi vecchi” dell’operaismo italiano, il novantaduenne Mario Tronti, deceduto lo scorso agosto, e il novantenne Toni Negri, spentosi poche settimane fa. Commentando la prima su queste pagine (https://socialismodelsecoloxxi.blogspot.com/2023/08/che-cosa-ho-imparato-da-mario-tronti.html) titolavo “Che cosa ho imparato da Mario Tronti”, per commentare la seconda ho scelto, per ragioni che chiarirò più avanti, di titolare “Un uomo che voleva assaltare il cielo alzandosi sulla punta dei piedi”. Qui non troverete parola in merito al disgustoso luogo comune su Negri “cattivo maestro”, che i media di regime hanno prevedibilmente rilanciato, perché le critiche che potrei fare alle sue scelte degli anni Settanta sono marginali rispetto a quelle che intendo rivolgergli qui, riferite piuttosto al suo ruolo – per citare un azzeccato titolo del “Manifesto” – di “attivo maestro”. Non troverete nemmeno i ricordi di un rapporto di amicizia ormai lontano nel tempo (negli ultimi decenni ci siamo incontrati in rarissime occasioni). Non troverete nemmeno valutazioni relative alla sua opera strettamente filosofica, compito che delego agli accademici. Qui discuterò solo del Negri teorico del conflitto sociopolitico e dell’influenza che ha esercitato sulle sinistre radicali post comuniste.

Parto con una affermazione provocatoria: contrariamente a quanto da lui rivendicato (1), penso che ToniNegri non sia stato un comunista (nel senso storicamente riconosciuto del termine).

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Chris Hedges: Il genocidio di Israele tradisce l’Olocausto

comedonchisciotte.org

Il genocidio di Israele tradisce l’Olocausto

di Chris Hedges – chrishedges.substack.com

Oscurando e falsificando la lezione dell’Olocausto perpetuiamo il male che lo aveva caratterizzato

oloc.jpgIl piano generale del lebensraum di Israele per Gaza, copiato dallo spopolamento dei ghetti ebraici da parte dei nazisti, è chiaro. Distruggere le infrastrutture, le strutture mediche e i servizi igienici, compreso l’accesso all’acqua potabile. Bloccare l’invio di cibo e carburante. Scatenare una violenza indiscriminata per uccidere e ferire centinaia di persone al giorno. Lasciare che la fame – le Nazioni Unite stimano che più di mezzo milione di persone stia già morendo di fame – e le epidemie di malattie infettive, insieme ai massacri quotidiani e allo sfollamento dei palestinesi dalle loro case, trasformino Gaza in un obitorio. I palestinesi saranno costretti a scegliere tra la morte sotto le bombe, le malattie, lo stare all’addiaccio, la fame e l’allontanamento dalla loro terra.

Presto si arriverà a un punto in cui la morte sarà così onnipresente che la deportazione – per coloro che vogliono vivere – sarà l’unica opzione.

Danny Danon, ex ambasciatore di Israele presso le Nazioni Unite e stretto alleato del Primo Ministro Benjamin Netanyahu, ha dichiarato alla radio israeliana Kan Bet di essere stato contattato da “Paesi dell’America Latina e dell’Africa che sarebbero disposti a farsi carico dei rifugiati dalla Striscia di Gaza“. “Dobbiamo rendere più facile per i gazesi partire per altri Paesi“, ha detto. “Sto parlando di migrazione volontaria da parte dei palestinesi che vogliono andarsene“.

Il problema per ora “sono i Paesi disposti a farsene carico, e stiamo lavorando su questo“, ha detto Netanyahu ai membri della Knesset del Likud.

Nel ghetto di Varsavia, i tedeschi distribuivano tre chilogrammi di pane e un chilogrammo di marmellata a chiunque si registrasse “volontariamente” per la deportazione.

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Pino Cabras: Mattarellum Para Bellum: nelle istituzioni serve altro

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Mattarellum Para Bellum: nelle istituzioni serve altro

di Pino Cabras

Le omissioni e la tendenziosità del discorso quirinalizio di fine anno. Dobbiamo fare il possibile per riportare parole di pace nelle istituzioni, parole che siano innanzitutto parole di verità e razionalità

Ero curioso di sentire le parole dell’ex ministro della Difesa (nonché ex vicepresidente del Consiglio) di quel governo che nel 1999 partecipò all’aggressione militare di ciò che rimaneva della ex Jugoslavia fino a mutilarla del Kosovo, dunque un esperto del ramo. Da lui, nel discorso di fine anno, mi aspettavo significative parole sul 2023 appena concluso, un anno segnato da alcune vicende belliche di grande peso.

Dopo il vecchio “copia e incolla”, nei nuovi programmi di scrittura sarà inserito il “copia e incensa”: sul suo discorso ho letto decine di commenti di varie personalità politiche, tutti uguali e tutti fervidi. L’intero arco parlamentare ha attinto a tutti gli stereotipi dell’encomio per lodare in coro l’inevitabile e tracimante saggezza quirinalizia. Nel commento di Nicola Fratoianni, che gioiva perché vi ha visto nientemeno che «la riabilitazione della parola pace», mi è sembrato perfino di sentire l’eco del climax di un orgasmo di rara intensità.

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Francesco Dall’Aglio: Scaricare l’Ucraina, usandola ancora. Ma come?

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Scaricare l’Ucraina, usandola ancora. Ma come?

di Francesco Dall’Aglio*

Alcune cose sono successe, durante gli ultimi giorni, e alcune di queste cose presentano motivi di interesse.

La prima è certamente l’editoriale di Serge Schmemann pubblicato il 27 dicembre sul New York Times e intitolato “L’Ucraina non ha bisogno di tutto il suo territorio per sconfiggere Putin” che, come era prevedibile, ha sollevato un bel po’ di discussioni.

I titoli degli articoli, però non sono tutto, anzi sono quasi niente: c’è bisogno del testo.

A prima vista l’articolo (soprattutto, ripeto, se consideriamo solo il titolo) non sembra discostarsi molto dall’idea generale che si sta facendo strada da un po’ di tempo, ossia che una vittoria militare ucraina non sia più ipotizzabile (resto stupito dal fatto che si è davvero pensato potesse esserlo, ma questo è un altro discorso) e sia necessario non solo trattare, ma all’occorrenza trattare da una posizione di debolezza.

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Fabio Marcelli: Vergogne made in Italy

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Vergogne made in Italy

di Fabio Marcelli

Se qualcuno all’epoca mi avesse detto che avrei rimpianto Andreotti e Craxi l’avrei mandato a quel Paese, scrive desolatamente il giurista Fabio Marcelli, ma l’infimo livello della politica estera e interna di questi giorni è frutto precisamente della totale assenza di ogni pur vago sentimento di dignità e autonomia. Dalle complicità nel genocidio dei Palestinesi e nella guerra infinita in Ucraina al traffico legale di armi verso chiunque spari allo sterminio dei migranti nel Mediterraneo e all’islamofobia di Monfalcone, lo spettacolo che mette in scena la politica italiana, sul territorio nazionale e in politica estera, mostra una triste decadenza da ogni punto di vista e segnala una crisi verticale sul piano economico, politico, culturale e soprattutto morale.

* * * *

Di questi tempi c’è davvero da vergognarsi di essere italiani. Ho partecipato qualche giorno fa a una riunione sulla politica estera italiana degli Anni Ottanta organizzata da Risorgimento Socialista alla presenza di vecchie glorie dell’epoca, e qualcuno ha ricordato che in quel periodo il passaporto italiano era spesso motivo di benvenuto e apprezzamento ovunque uno andasse. Oggi grazie a Meloni. Salvini e Tajani (senza dimenticare Di Maio e Letta junior) ci sputerebbero tutti in un occhio e i bambini palestinesi cantano “l’Italia ci ha abbandonato”.

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Francesco Coniglione: È la pace la precondizione della giustizia, non il contrario

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È la pace la precondizione della giustizia, non il contrario

di Francesco Coniglione

Viene continuamente ribadita l’idea che non possa esservi pace senza giustizia e c’è persino un’ associazione, diretta da Emma Bonino, che si rifà sin nel nome a questo concetto. Ora il tema viene ripreso e rilanciato da un articolo del rabbino Roberto della Rocca (direttore del Dipartimento Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane) su la Repubblica del 19 dicembre (https://www.repubblica.it/cultura/2023/12/18/news/voglia_di_pace_ebraismo_rabbino_roberto_della_rocca-421689780/). Non è tanto rilevante entrare qui nel merito delle considerazioni che traggono spunto dai testi biblici; sarebbe certo interessante, ma questo è un argomentare che può convincere solo chi già crede. Piuttosto bisogna andare al cuore del discorso che ruota intorno all’idea che «non si può costruire il bene e declamare la pace se prima non si elimina il male». Contrapponendosi al pacifismo in quanto tale, nell’articolo si sostiene che «la pace non è tale se solamente tacciono i cannoni, perché sia completa dovrà essere buona».

Due sono i concetti a giocare un ruolo centrale in tutto questo ragionamento: quelli di “giusto” e di “buono”.

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Vincenzo Maddaloni: Siamo tutti «palestinizzati», ma non tutti lo sanno

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Siamo tutti «palestinizzati», ma non tutti lo sanno

di Vincenzo Maddaloni

È ricordato nei libri di Storia come il “bombardamento di Natale” – dal 18 al 29 dicembre del 1972 – durante il quale gli Stati Uniti sganciarono 20 mila tonnellate di ordigni su Hanoi, la capitale del Vietnam del Nord e sul grande centro industriale di Haiphong, provocando più di duemila morti. L’operazione Linebacker II, questo il nome ufficiale, fu definita la più pesante dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Non c’è paragone in quanto a numeri con i morti della Striscia di Gaza sulla quale, sono stati sganciati 50 tonnellate di esplosivo che hanno colpito ospedali e agglomerati residenziali, provocando la morte di 21 mila civili ai quali vanno aggiunti i 7 mila dispersi, presumibilmente deceduti sotto le macerie. Nel più o nel meno le vittime finora sarebbero 28 mila (dati riportati da Al Jazeera), la maggior parte delle quali – è da tutti accettato – sono donne e bambini.

Tuttavia, nonostante il numero di morti in costante aumento non vi è alcun segnale che, il regime israeliano voglia interrompere le distruzioni nella Striscia di Gaza in tempi brevi. Dopotutto la Casa Bianca non soltanto ha respinto le richieste internazionali di un cessate il fuoco, ma ha annunciato che sosterrà Israele con altri 14 miliardi di dollari in aiuti militari in aggiunta ai 3,8 miliardi di dollari che gli elargisce ogni anno.

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