Deglobalizzazione by Maronta

Un libro essenziale per la comprensione della crisi mondiale e delle forze ed attori in gioco.

Print Friendly, PDF & Email

Il report contiene

Presentazione editoriale
Scheda del libro
Sommario
Premessa di Lucio Caracciolo
Introduzione dell’Autore

Presentazione

Il libro illustra genesi, meccanismi e conseguenze dell’egemonia geoeconomica statunitense mettendo in discussione il mito della globalizzazione come destino ineluttabile. E prova a immaginare quale mondo ci aspetti.


La globalizzazione è (stata?) un fenomeno geopolitico, prima e più ancora che economico. Immersi nel “secolo americano” non ce ne siamo accorti, dando per scontato il mondo sorto dalle ceneri della seconda guerra mondiale e consolidato dopo il crollo dell’Urss. Abbiamo così finito per credere immutabili le caratteristiche di quella fase storica: il primato delle società liberali, la forza unificante dei commerci e delle interdipendenze industriali, l’inarrestabilità del capitalismo neoliberista, la cogenza delle istituzioni internazionali. Ora questi assunti, insieme al primato di Washington, sono messi radicalmente in discussione fuori e dentro l’America.
Un libro che smonta il canone della globalizzazione, analizzandola dai suoi esordi storici alla sua attuale lenta disgregazione con le ricadute a livello economico e socio-culturale.

Scheda SBN

Maronta, Fabrizio
Deglobalizzazione : se il tramonto dell’America lascia il mondo senza centro / Fabrizio Maronta ; [con prefazione di Lucio Caracciolo]. – Milano : Hoepli, 2024. – X, 196 p. : ill. ; 22 cm. – [ISBN] 978-88-360-1590-0.

Sommario

Prefazione ( Lucio Caracciolo )
Introduzione. Perché questo libro
1. Hai detto globalizzazione?
2. Cosa è (stata?) la «nostra» globalizzazione
3. Il lato oscuro della globalizzazione
Dai Tempi moderni alle cinture della ruggine
Dollaro…
… e debito
Per un pugno di dollari. Crisi sociale, istituzionale, morale
4. Rise of the rest? La globalizzazione degli altri
5. Il paradigma va in pezzi
Gli Usa reagiscono: le parole
Gli Usa reagiscono: i fatti
Gli Usa reagiscono: gli antefatti
L’inerzia del canone e il peso delle interdipendenze
Sanzioni, il coltello a doppia lama
6. La Cina al contrattacco
Un nuovo ordine mondiale?
Fatto in Cina
Ombre cinesi
7. E l’Europa?
8. Dove andiamo
Note
Bibliografia
Indice dei nomi

Premessa di Lucio Caracciolo

Viviamo nel mondo degli slogan, delle cosiddette «narrazioni» (leggi: propaganda), dell’insofferenza per i ragionamenti troppo profondi e aperti ai punti di vista altrui. Universo nel quale la distanza fra parole e cose diventa quasi incontrollabile. Dove insomma si rischia di parlare con se stessi mentre si pensa di stare parlando con altri. È in questo contesto che questo suggestivo libro di Fabrizio Maronta ci invita a ragionare di deglobalizzazione (o, peggio, «sglobalizzazione»). Se i termini hanno ancora un senso, si tratta della tendenza della globalizzazione a sgonfiarsi. Al punto che per alcuni sarebbe già morta. Senza peraltro chiarire quale sia il paradigma sostitutivo, ammesso non si tratti di puro caos.
Il merito maggiore di questo volume è di invitarci a riflettere sulla realtà a partire dalle sue contraddizioni. Dunque a rifuggire dalle terribili semplificazioni che volendo stabilire la Verità in pochi caratteri ci portano a diffidare persino dell’utilità di cercarla. Prima di stabilire se e come siamo in una fase di deglobalizzazione, conviene quindi stabilire che cosa sia (fosse) la globalizzazione. Lemma sufficientemente flessibile da piegarsi a mille usi.
Proprio perché diffida delle scorciatoie, Maronta rifiuta di vedere questo paradigma unicamente sotto il profilo economico – commerciale e ne evidenzia il significato geopolitico. Associando quindi lo sviluppo delle interdipendenze economiche e finanziare alla fase storica dell’egemonia americana. Avviata già alla fine della Prima guerra mondiale, dalla quale i suicidi imperi europei, britannico in testa, escono iperindebitati con gli Stati Uniti d’America. Completata nel 1945, quando il volume dell’economia a stelle e strisce esprime la metà del prodotto mondiale e la strapotenza militare americana, suggellata dal (breve) monopolio della bomba atomica, avvia la strutturazione dell’informale ma effettivo impero americano, centrato sulla sfera d’influenza europeo – occidentale, con ramificazioni oceaniche e asiatiche (Giappone e Corea del Sud su tutti).
Di qui matura rapidamente il consenso di Washington, culmine della globalizzazione stile americano, inquadrata nelle istituzioni economiche e finanziarie internazionali – Fondo monetario, Banca mondiale, Organizzazione mondiale del commercio – orientate e dirette dal centro dell’impero. Di tutte le sue implicazioni, il paradigma global – americano considera decisiva la fede nella capacità di autoregolamentazione dei mercati. Dunque l’avversione per l’intervento dello Stato in economia (salvo, quando serve, il proprio).
Il suicidio dell’Unione Sovietica e del suo impero – perfetto contromodello ma anche antemurale parallelo del dominio a stelle e strisce sull’Occidente – apre nel 1991 la stagione del primato assoluto degli Stati Uniti proprio mentre la Cina avvia il ritorno da protagonista sulla scena mondiale. Maronta apre il capitolo dedicato a intendere che cosa sia la «nostra» globalizzazione citando il discorso con cui il 9 marzo 2000 Bill Clinton presenta al Congresso americano la necessità di ammettere la Cina comunista nell’Organizzazione mondiale del commercio. Dove imperativi economici e geopolitici si fondono nell’obiettivo di annettere Pechino alla globalizzazione americana per aprirne il mercato interno, da cui si sarebbe inevitabilmente proceduto alla democratizzazione del regime. Un quarto di secolo dopo, il primo obiettivo è ancora lungi dal concretizzarsi compiutamente – anzi, parrebbe in fase regressiva per imperativo geopolitico (competizione per l’egemonia) – , il secondo è fallito. Oggi la Cina di Xi Jinping propone un proprio modello, volto anzitutto ai paesi del «Sud globale», che verte sulla centralità economica e geopolitica dello Stato. Paradossalmente, ma non troppo, quasi una variante del modello vestfaliano costruito da noi europei a sigillare la fine delle guerre di religione.
Ciò che rende questo libro davvero prezioso è l’analisi delle contraddizioni reali o apparenti che segnano questa fase storica, che intendiamo transizione dall’egemonia americana (peraltro imperfetta) verso qualcosa di ignoto. Probabilmente una prolungata fase di conflitti al termine della quale avremo non un altro soggetto dominante, ma un compromesso fra i sopravvissuti a questa piuttosto darwiniana selezione.
Quanto agli aspetti geoeconomici della deglobalizzazione, non esiste una contrapposizione assoluta fra espansione del commercio internazionale e autarchia. Tantomeno fra le evoluzioni (o involuzioni) della globalizzazione economica e la struttura geopolitica del pianeta. Palese è invece il rapporto fra conflitti, accorciamento delle filiere e regionalizzazione dei commerci – stigma della «deglobalizzazione». Illuminanti poi le pagine sulla reindustrializzazione delle economie occidentali, a partire da quella americana, sfida del momento. Cambio di paradigma di cui forse viviamo l’alba, dopo le ubriacature della finanziarizzazione dell’economia.
Il peso dell’ideologia nella deglobalizzazione è giustamente rimarcato dall’autore. Citando l’attualissima tesi di Margaret Thatcher, per cui noi europei siamo figli della storia – quindi incorporiamo il senso del limite, alfa e omega della geopolitica – , mentre gli americani (europei fuggiti da se stessi) si sono battezzati nell’acquasantiera della filosofia, o meglio della religione dell’America. Il secondo modo di stare al mondo include la necessità di concepire la globalizzazione come espansione del modello americano al resto del pianeta. A sua volta, questo modo di procedere suppone la disponibilità di tutti a diventare americani, a partire dalla way of life , ovvero dalla sfera dei consumi. La deglobalizzazione nasce proprio di qui. Dall’impossibilità di americanizzare il mondo, di assoggettare la storia alla filosofia. Insomma, di farla finita con la storia, come teorizzato da Fukuyama a cavallo fra secondo e terzo millennio.
Uno dei pregi di questa originale guida al mondo in transizione sta appunto nella storicizzazione dell’analisi. E nel ricorso rigoroso ai dati di realtà, anche e soprattutto se contraddittori. Non per schivare le valutazioni, ma per renderne le sfaccettature. Sotto questo profilo, la parte dedicata alle sanzioni come arma, più attuale che mai, è esemplare. Perché dimostra che una scelta strategica produce inevitabilmente sequenze di effetti paradossali, dunque non riconducibili alle intenzioni iniziali, che spuntano l’arma quando non la rivolgono contro chi la promuove. Il modo in cui la Russia sta sfuggendo alla sventagliata di sanzioni americane e occidentali, con il fondamentale quanto interessato aiuto di Cina e India (ma anche di alcuni europei), dovrebbe indurci a riflettere sulla incapacità dell’Occidente di integrare nelle proprie analisi i punti di vista e gli interessi di altri attori. A scrutare il mondo con un occhio solo si finisce come Polifemo.
Ma questo è un libro scritto da un italiano. Quindi specialmente attento all’adattabilità o meno del nostro paese a questa fase di incertezza. E al contesto europeo, dal quale largamente dipendiamo. Se la competizione si svolge fra Stati, e se questi sono sempre più portati a intervenire sull’economia in base ai propri immediati interessi – con cari saluti alla scuola di Chicago e affini cui fino a ieri sacrificavamo – , se ne trae che partiamo con il piede sbagliato. La nostra devozione al vincolo esterno, sia esso securitario (americano) ovvero monetario e fiscale (europeo di nome, tedesco di fatto), insieme alla disintegrazione della sfera politica e alla delegittimazione delle istituzioni, comporterebbe una secca virata culturale e pratica, che stenta a profilarsi.
Particolarmente stringente l’analisi di Maronta sui paradossi della nostra area monetaria senza Stato, che contravviene ai principi stessi su cui dovrebbe essere teoricamente fondata, avendo al cuore una grande economia (la Germania) che pompa liquidità anziché distribuirla. La grave crisi tedesca, che investe strutturalmente in economia, sicurezza e cultura, promette di riflettersi negativamente sugli assetti dell’Unione Europea e soprattutto dell’eurozona. Per noi deglobalizzazione significa anzitutto de – europeizzazione (de – germanizzazione). La cifra nascosta nel tappeto dell’euro non era d’altronde proprio questa, mentre si raccontava prodromo dell’unificazione politica?
Vivamente consiglieremmo di adottare questa guida alle frenetiche dinamiche del mondo contemporaneo sia nelle scuole secondarie sia nel sistema universitario. Non è tempo di pensiero insieme profondo e critico. E se invece uno studio come questo segnalasse che fra le mille contraddizioni del momento cominci a formarsi una visione evoluta e libera del contesto geopolitico ed economico in cui ci capita di vivere?
Lucio Caracciolo

Introduzione di Fabrizio Maronta

Introduzione Perché questo libro
I l 5 febbraio 2024 l’Office of the Director of National Intelligence pubblicava l’ Annual Threat Assessment of the U.S. Intelligence Community , il documento in cui ogni anno la «comunità dell’intelligence» statunitense passa in rassegna le principali minacce che incombono sugli Stati Uniti. Chi vi cercasse indicazioni su rischi specifici e imminenti di natura terroristica, cibernetica o militare rimarrebbe deluso. Sebbene ampia e articolata, l’analisi non entra nel dettaglio di informazioni sensibili che Washington è solita tenere per sé e condividere di norma solo con gli alleati più stretti. L’ Annual Assessment è piuttosto un’istantanea del momento strategico, la cui ottica grandangolare privilegia l’insieme sui dettagli.
L’edizione 2024 accentua per certi versi l’ampiezza e la sistematicità dell’approccio. Fermi restando alcuni teatri caldi – Ucraina, Coree, Medio Oriente – e fenomeni puntuali, il rapporto evidenzia infatti il carattere strutturale, eversivo delle sfide attuali e del loro potenziale impatto sugli equilibri globali. È il nostro un «ordine globale sempre più fragile, indebolito dall’incremento della competizione strategica tra grandi potenze, da sfide transnazionali più intense e imprevedibili, da molteplici conflitti regionali con vaste implicazioni. Una Cina ambiziosa ma ansiosa, una Russia antagonistica, alcune potenze regionali come l’Iran, un numero crescente di capaci attori non statali stanno sfidando le consolidate norme del sistema internazionale e il primato statunitense all’interno di tale sistema».
Cosa c’entra questo con la globalizzazione e con la sua possibile, dirompente messa in discussione? Tutto. Solo una concezione parziale, semplicistica e ideologica di ciò che definiamo «globalizzazione» autorizza infatti a considerarla un fenomeno prettamente economico – commerciale, al limite culturale nella sua tendenza a uniformare consumi e (in parte) costumi. Come idea, ma anche di fatto, la globalizzazione è soprattutto altro. È una peculiare, intenzionale e logica espressione dell’egemonia statunitense estrinsecatasi nel corso del Novecento, che raggiunge il suo apice nel «momento unipolare» seguito al crollo dell’Unione Sovietica. La crisi di questo primato, in parte autoinflitta, determina ora la contestazione dei suoi strumenti, compreso l’imperium economico – commerciale. Non viceversa.
Così come l’avvento del primato americano è stato un processo articolato, non lineare e sofferto, tutto lascia intendere che la sua più o meno ampia contrazione avrà le stesse caratteristiche. Difficilmente la storia segue il principio di non contraddizione, pertanto la vicenda della globalizzazione – almeno per chi creda nel suo carattere profondamente storico e umano, estraneo a presunte leggi universali – non fa eccezione.
Lo scopo di questo libro è rendere intellegibile un fenomeno multiforme e in pieno svolgimento, senza mistificarlo per eccesso di semplificazione e senza pretese di chiaroveggenza sui suoi esiti ultimi. Pur con questi limiti, o forse proprio in virtù di essi, ho creduto stimolante e necessario raccogliere la sfida. Con quali esiti, lascio a chi legge stabilirlo.
Fabrizio Maronta

Vedi anche

Maronta, Fabrizio
Hai detto deglobalizzazione? : alti costi e incerti effetti del “divorzio” tra USA e Cina / di Fabrizio Maronta.
Fa parte di Limes : rivista italiana di geopolitica , 3(2020), p.111-121

Print Friendly, PDF & Email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *