Piotr: La Russia verso la de-postmodernizzazione?
La Russia verso la de-postmodernizzazione?
di Piotr
Prigozhin, Neo-liberal-cons, Bachmut, la Quinta e Sesta Colonna russe e le Bombe Nucleari. Uniamo i puntini
In un articolo su Sinistrainrete, Pierluigi Fagan ha affrontato l’affare Prigozhin dal punto di vista della Teoria della Complessità, di cui è specialista, suggerendo la possibilità che l’effimero tentativo di golpe di Evgenij Prigozhin sia connesso a lotte di potere per la successione di Vladimir Putin, il quale, ricordava Fagan, ha annunciato ben prima dell’inizio dell’Operazione Militare Speciale in Ucraina che non si sarebbe presentato alle elezioni presidenziali dell’anno prossimo [1].
In alcuni post personali io ho sostenuto che è difficile pensare che l’apparato di sicurezza russo non sapesse che stava bollendo qualcosa in pentola, anche perché erano mesi che il patron della PMC Wagner stava, diciamo così, dando istrionici segnali, accusando di incompetenza e malafede i vertici militari russi. E anche perché è fuori dal mondo pensare che l’intelligence russa non avesse occhi aguzzi nella e sulla Wagner. Il New York Time, citando fonti anonime, ci informa che ne era “accorta” persino l’intelligence statunitense, aggiungendo che anche Putin ne era al corrente [2].
E fin qui ci siamo.
Manca il resto.
Quindi, lasciando per il momento da parte gli Stati Uniti, la situazione era questa: Prigozhin stava ordendo qualcosa contro un settore chiave del governo russo, il Cremlino lo sapeva ma ha “lasciato fare”. Perché?
Il primo motivo più evidente è che si trovava di fronte una formazione armata fino ai denti composta da diverse migliaia di combattenti con grande esperienza guidati da un gruppo autoreferenziale, il Consiglio dei Comandanti della Wagner, che usava come “avanguardia PR” un signore con un passato criminale, ricchissimo, patologicamente egotico [3].
Chiara De Cosmo: Per una storia in costruzione
Per una storia in costruzione
di Chiara De Cosmo
Un libro su Marx e il dibattito italiano degli anni Settanta sulla storia antica e il nesso tra ricerca filosofica, pratica militante e storiografia
Nel 1974, presso l’Istituto Gramsci di Roma che all’epoca rappresentava una delle più importanti istituzioni culturali del Pci, un gruppo di studiosi di differenti provenienze disciplinari si riunì, sotto la direzione di Aldo Schiavone, per avviare il primo ciclo del Seminario di antichistica. Il suo scopo era quello di riflettere sui metodi e sui contenuti della storiografia del mondo antico. Fu l’inizio di una feconda stagione di dibattito in Italia, che riassumeva al contempo alcuni dei migliori risultati della discussione internazionale di teoria storica e sociologica e accoglieva l’eredità di alcuni studiosi socialisti italiani (in particolare Ettore Ciccotti e Giuseppe Salvioli), che tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento si erano proposti di riflettere sulla situazione di stagnazione della penisola a partire dallo studio e dalla riscoperta della struttura economica della Grecia e della Roma antiche. A uno sguardo retrospettivo, l’aspetto che forse oggi più colpisce di questa fase della storia culturale italiana è l’esigenza da cui nacque questa discussione, un’esigenza che era condivisa da tutti i suoi protagonisti: quella di unire la partecipazione appassionata alle vicende politiche, sociali e culturali del paese con la riflessione su questioni di teoria della storiografia, rifondandole a partire da una rinnovata interpretazione del lascito marxiano.
Uno dei meriti di Categorie marxiste e storiografia del mondo antico (Manifestolibri, 2022), in cui Sebastiano Taccola ricostruisce in maniera ricca e articolata le linee di questo dibattito, è quello di riuscire non solo a restituirne la vitalità, ma anche più in generale a individuarne i margini di connessione con le riflessioni marxiste più recenti.
Alberto Fazolo: Il 24 giugno a sgretolarsi è stata la propaganda sul conflitto in Ucraina
Il 24 giugno a sgretolarsi è stata la propaganda sul conflitto in Ucraina
di Alberto Fazolo
Il 24 giugno si è sgretolata la narrazione dominante sul conflitto in Ucraina. Non è ancora chiaro se quel giorno Prigozhin e gli uomini della Wagner tentarono un golpe che naufragò o se la spedizione verso Mosca fosse solo un diversivo per poter prendere il potere nella regione di Rostov, che si trova in territorio russo, prossima al confine con l’Ucraina. Occupando Rostov e sottraendola al controllo di Mosca, Prigozhin realizzò – anche solo per un giorno- quanto gli USA vanno auspicando da tempo, la “balcanizzazione” della Russia.
La tecnica “divide et impera” è spesso stata usata da Washington risultando molto efficace. Riuscire a minare l’integrità territoriale della Russia sarebbe un colpo in grado di stravolgere in favore degli USA gli assetti geopolitici globali. La “balcanizzazione” della Russia è quindi un obiettivo prioritario per Washington, talmente importante da sacrificargli la possibilità di una vittoria militare ucraina.
Ciò è emerso con evidenza lo scorso 24 giugno.
Paolo De Prai: Italia-Germania, la partita per il futuro?
Italia-Germania, la partita per il futuro?
di Paolo De Prai
No, non sto parlando delle partite di calcio di Messico 1970 e nemmeno di quella di Spagna 1982, ma delle due sinistre anti-capitaliste in Italia e Germania.
Entrambe condividono situazioni simili e opposte allo stesso tempo.
Cominciamo dalla Germania.
Come in Italia la maggioranza della popolazione è contraria alla guerra ma il quadro politico largamente maggioritario è atlantista e guerrafondaio, perciò è stupidamente per il sostegno al governo nazi-ucraino tanto da aver obliato dalla mente come il governo yankee gli abbia distrutto il North-Stream che gli garantiva energia a basso costo e abbondante: i nemici sono considerati amici e viceversa.
I verdi tedeschi, poi, da eco-pacifisti sono diventati i più fanatici guerrafondai (con i massimi dirigenti che esprimono il ridicolo continuamente), mentre la sinistra, Die Linke è prossima alla dissoluzione perché i suoi vertici si ostinano a definire la Russia un paese aggressore che va combattuto, adeguandosi così alle narrazioni guerrafondaie NATO.
Governo verso la crisi. Perché ratificare il MES è un suicidio per l’ItaliaKatia Migliore:
Governo verso la crisi. Perché ratificare il MES è un suicidio per l’Italia
di Katia Migliore
Roma deve decidere da che parte stare. Rinunciare alla propria sovranità o compiacere le classi dirigenti europee, pagandone il prezzo? Questa la responsabilità che spetta a Giorgia Meloni e al Parlamento italiano
Il Governo Meloni è sotto la bufera MES, e non pare azzardato dire che ne sia a rischio la tenuta.
La lettera del MEF presieduto da Giorgetti, quota Lega, che di fatto spinge verso la ratifica della riforma del MES, ha completamente scombinato i piani di Palazzo Chigi, che del Fondo voleva, e vuole tuttora, farne una sorta di moneta di scambio in Europa a favore della modifica del Piano di Stabilità. Qualcuno della Lega si è affrettato a dichiarare, nelle ultime ore, che i Parlamentari sono pronti a eseguire gli ordini di Meloni. Ma si tratta, nella sostanza, di prendere tempo, mentre molti osservatori danno per scontata la ratifica da parte dell’Italia. Le pressioni straniere sono molteplici, e la nostra classe politica come al solito non sembra essere in grado di prendere delle decisioni che siano effettivamente a favore degli interessi della nostra Nazione. In barba ai proclami elettorali sovranisti. Ma è bene ricordare perché la ratifica del MES sia nella sostanza il suicidio del nostro Paese.
Giacomo Gabellini: Come la Commissione Trilaterale ha modellato l’Occidente contemporaneo
Come la Commissione Trilaterale ha modellato l’Occidente contemporaneo
di Giacomo Gabellini
Quando, nel 1973, istituirono la Commissione Trilaterale, i fondatori David Rockefeller, Zbigniew Brzezisnki e George Franklin ambivano a creare un organismo transnazionale consolidare l’ordine internazionale a guida Usa e attenuare le tensioni emergenti tra i membri della “triade capitalistica” – formata da Stati Uniti, Europa occidentale e Giappone – dovute alla crescita economica europea e nipponica e all’intensificazione della concorrenza inter-capitalistica registratasi sulla scia della crisi petrolifera. Verso la metà degli anni 70, il think-tank pubblicò, tra i tanti, uno studio in cui si sosteneva che «un’iniziativa congiunta Trilaterale-Opec che metta a disposizione più capitale per lo sviluppo sarebbe funzionale agli interessi dei Paesi trilateralisti. In un periodo contrassegnato da crescita stagnante e aumento della disoccupazione, è ovviamente vantaggioso trasferire fondi dagli Stati membri dell’Opec ai Paesi in via di sviluppo affinché assorbano le esportazioni delle nazioni rappresentate in seno alla Commissione Trilaterale».
Marco Cattaneo: La crescita dell’economia impone il deficit pubblico
La crescita dell’economia impone il deficit pubblico
di Marco Cattaneo
Bisognerebbe stampare nelle meningi di ogni decisore politico e di ogni commentatore politico un concetto molto semplice, che però non sento MAI, assolutamente MAI, formulare nei termini seguenti.
I valori delle economie mondiali, misurati in primo luogo in termini di PIL, aumentano.
I fattori che li fanno crescere sono la crescita della popolazione, la crescita della produttività, e l’inflazione.
La crescita della popolazione è a zero nel mondo economicamente avanzato, ma continua a esserci nel resto del globo, particolarmente in Africa. Dagli 8 miliardi attuali passeremo a una decina entro cinquant’anni circa, poi con ogni probabilità raggiungeremo uno stato stazionario. Ma c’è ancora un 25-30% in arrivo.
La produttività cresce per effetto della tecnologia, del miglioramento delle competenze medie della popolazione, e dell’accumulazione di capitale fisico. I tassi di crescita della produttività tendono a rallentare nel tempo, ma anche in questo caso nei prossimi decenni ci saranno ulteriori miglioramenti.
Robert Kurz: La luce dell’Illuminismo
La luce dell’Illuminismo
La simbolica della modernità e l’eliminazione della notte
di Robert Kurz
Proponiamo qui un breve quanto intenso scritto di Robert Kurz, dal titolo La luce dell’illuminismo. Questo testo funge, per l’occasione, anche come sorta di “anticipazione” della prossima apparizione, per le edizioni Mimesis, del noto pamphlet Manifesto contro il lavoro del Gruppo Krisis, che viene ripubblicato a distanza di 20 anni dalla sua prima uscita in Italia. In questo libro, infatti, oltre al Manifesto vero e proprio, fanno da corollario altri testi, probabilmente altrettanto importanti, tra i quali La dittatura del tempo astratto, sempre di Robert Kurz, all’interno del quale si trova un capitoletto, anch’esso intitolato La luce dell’illuminismo, che riprende in modo sintetico proprio i temi di fondo presenti nell’articolo, più completo, che qui pubblichiamo.
Quest’ultimo risale al 2004 ed è inizialmente apparso sul numero 112 della rivista internazionale Archipel. È stato dapprima meritoriamente tradotto in italiano sul web, in modo forse un po’ sbrigativo e dalla versione francese, da qualcuno che non conosciamo ma che si firma con un simpatico nomignolo, Ario Libert. La versione che proponiamo adesso tiene conto di quella traduzione, ma rivista in base all’originale tedesco e si differenzia in più parti rispetto a quella (per esempio, Ario aveva lasciato il termine tedesco Aufklärung, come già nella traduzione francese, mentre noi, coerentemente con la tradizione delle traduzioni italiane dei testi kurziani, abbiamo deciso di riportarlo con un più netto “illuminismo”, così richiamando anche – come nelle intenzioni kurziane – un preciso momento storico, oltre che un determinato movimento di pensiero).
Questo breve testo può essere considerato come uno dei testi più “filosofici” di Robert Kurz, dove l’autore polemizza ancora una volta con il pensiero illuminista, in questo caso criticandone a fondo l’onnipervasiva metafisica della “luce”.
Bruno Cartosio: Il gig work: lavoro autonomo o dipendente? fatti privati o destini collettivi?
Il gig work: lavoro autonomo o dipendente? fatti privati o destini collettivi?
di Bruno Cartosio
Nel gig work sono due le flessibilità che si incontrano: quella degli individui e quella del sistema economico. In astratto, dovrebbe essere il felice incontro di interessi convergenti: soldi guadagnati da una parte, prestazione ottenuta dall’altra. Senza strascichi; svolto il compito richiesto e accettato, pagato e ricevuto il compenso pattuito, ognuno padrone di sé come prima. Nella realtà non è così che vanno le cose, né per quanto riguarda i lavoratori, né per le aziende, né dal punto di vista delle leggi che classificano e regolano i rapporti di lavoro. Unica parziale eccezione, anche in termini di potere contrattuale, gli autonomi veri: self-employed o freelancer, meglio ancora se professionisti. Non c’è dubbio che siano le corporation-piattaforme a trarre i maggiori vantaggi dall’incontro tra precarietà del lavoro offerto e disponibilità dei prestatori d’opera ad accettarla, tra i bassi compensi ricevuti da chi lavora e il minore costo del lavoro per le aziende. Ne sono testimoni i grandi profitti accumulati dalle aziende fino a oggi e il fatto che nessun gig worker risulta essersi arricchito o salito nella scala sociale grazie al lavoro precario-intermittente-connesso. E a cancellare ogni eventuale dubbio sul cui prodest, sta la decisione con cui le aziende si sono opposte finora a qualsiasi tentativo di riclassificare una parte dei gig workers come lavoratori dipendenti invece che autonomi.
Tuttavia i sondaggi dicono che il nuovo precariato “connesso” incontra il favore della maggioranza dei lavoratori che lo praticano. È possibile: il richiamo individualistico della flessibilità, delle possibilità di scelta, dei minori vincoli gerarchici è forte. Tuttavia, altre ricerche mettono le opinioni pro e contro più o meno alla pari.[i]
Gerardo Lisco: La Cancel Culture come uso politico della Storia
La Cancel Culture come uso politico della Storia
di Gerardo Lisco
Secondo la definizione data dalla Treccani per cancel culture deve intendersi un «atteggiamento di colpevolizzazione, di solito espresso tramite i social media, nei confronti di personaggi pubblici o aziende che avrebbero detto o fatto qualcosa di offensivo o politicamente scorretto ai quali vengono pertanto tolti sostegno e gradimento.»1. Partendo dalla definizione del concetto di cancel culture, attraverso alcuni fenomeni di cancellazione culturale operata nel corso della Storia e focalizzando l’attenzione sul dibattito in corso proverò a dimostrare come la cancel culture altro non è che uso politico della Storia in funzione dell’egemonia del capitalismo neoliberale e globalista.
1) Per una recente ricerca sociologica2la cancel culture sarebbe un fenomeno strettamente statunitense legato a movimenti di protesta propri di quel Paese non presenti ad esempio in Italia. Scrive l’autrice della ricerca
«Se l’origine del termine va rintracciata in film e canzoni, la nascita del fenomeno della cultura della cancellazione è invece stata attribuita nel discorso pubblico al cosiddetto Black Twitter, un movimento cresciuto all’interno dell’omonimo social media, con l’obiettivo di dare agli/alle utenti, per lo più afroamericani, una voce collettiva sull’esperienza di essere nero negli Stati Uniti (…) Tramite hashtag #Black Twitter, queste persone si possono sentire parte di una comunità virtuale ( e non) , partecipando e commentando gli avvenimenti in tempo reale, come in una vera e propria piazza pubblica. ( …) Cancellare, allora, in questa accezione è una forma di boicottaggio (…)»3.
Nico Maccentelli: Riflessioni su una sinistra di classe che sbaglia
Riflessioni su una sinistra di classe che sbaglia
di Nico Maccentelli
Quando leggo dei simili post, resto basito. In particolare questo passaggio:
“l’unica soluzione alla guerra tra Stati e alla degenerazione in senso autoritario della democrazia non è tifare per l’uno o l’altro dei blocchi di Capitale o degli oligarchi dominanti. Ma è l’ingresso in campo di un terzo attore: siamo noi, le classi popolari.”
Ora, dentro Potere al Popolo c’è chi sa bene come è iniziata questa guerra e chi l’ha iniziata. Sa bene perché ha pure spedito aiuti al Donbass, che la Russia è dovuta intervenire a fronte di un massacro permanente delle popolazioni russofone di quella regione. Sa bene che l’imperialismo a dominanza USA ha voluto e preparato questa guerra in una strategia di aggressione della Russia, di divisione di questa dal resto dell’Europa, di ridimensionamento e riduzione a bantustan dell’intera Unione Europea, il tutto per mantenere l’egemonia USA e del dollaro nel pianeta e contrastare quella che oggi è una realtà inarrestabile: il multipolarismo.
Daniela Calzolaio: Come le parole costruiscono la realtà
Come le parole costruiscono la realtà
di Daniela Calzolaio*
Note dall’intervento al Maggio filosofico, 2023
Una delle cose che accade quando gli Stati entrano in guerra – come in qualche modo suggerisce lo stesso Einstein nella sua lettera del ’32 a Sigmund Freud – è che le minoranze al potere attivino dei meccanismi di influenzamento della popolazione al fine di ottenere l’adesione alla propria politica. I vari mezzi di comunicazione di massa sono ovviamente un ottimo strumento in tal senso. Di solito, quando si pensa a questo fenomeno, la mente corre alla propaganda bellica. Non è in questo tema, però, che mi voglio addentrare qui: proverò, invece, a dire qualcosa sul linguaggio, con l’obiettivo di persuadervi di quanto le parole siano potenti e incredibilmente concrete nei loro effetti. A tal fine, lancerò delle rapide suggestioni volutamente colte da terreni estremamente distanti tra loro.
Comincio dunque col primo riferimento. Sono sicura che tutti conosciate Alice nel Paese delle Meraviglie (1865), ma forse pochi sanno che il suo autore, Lewis Carroll, era un professore di matematica all’Università di Oxford e uno studioso appassionato di logica, e che quel libro e il suo meno noto sequel Attraverso lo Specchio (1871) sono citati in testi importanti sulla comunicazione.
Paolo Persichetti: Giorgio Amendola, il dirigente del Pci che detestava la classe operaia
Giorgio Amendola, il dirigente del Pci che detestava la classe operaia*
di Paolo Persichetti
Nel 1968 Giorgio Amendola pubblicò un audace volumetto dal titolo, La classe operaia italiana, nel quale il leader storico dell’ala destra del Pci azzardava una singolare analisi del ceto operaio criticando la linea del suo partito e del sindacato, accusata di privilegiare quella minoranza di classe operaia che lavorava nelle grandi fabbriche, dimenticando il grosso dei lavoratori impiegati nella piccola e media impresa. Secondo Amendola occorreva ribaltare tutta la linea allora prevalente nei tre grandi sindacati italiani e anche nei partiti della sinistra. Singolare posizione che sembrava non riuscire a cogliere le dinamiche politiche del conflitto sociale. Furono proprio le lotte condotte nei grandi aggregati industriali a strappare alcune decisive conquiste, all’interno del contratto nazionale, di cui beneficiò soprattutto chi lavorava nelle piccole e medie imprese prive della forza contrattuale e politica delle grandi fabbriche. Conquiste, non solo salariali ma soprattutto contrattuali, capaci di intervenire sui ritmi, gli organici, gli straordinari, i lavori nocivi, la mensa, le 150 ore, gli aumenti uguali per tutti.
Alfonso Campisi: Ma quale dittatore! Saied fa benissimo a resistere ai diktat del FMI”
Ma quale dittatore! Saied fa benissimo a resistere ai diktat del FMI”
Francesco Fustaneo intervista Alfonso Campisi
La Tunisia in queste settimane per via della questione migratoria e della crisi economica in atto è costantemente sotto i riflettori dei media nonché oggetto di frequenti visite istituzionali da parte delle delegazioni dei paesi occidentali.
In questa sede abbiamo voluto discutere di alcune dinamiche in atto nel paese dei gelsomini, con un suo profondo conoscitore: Alfonso Campisi, italo-tunisino che nel paese nordafricano vive da oltre venticinque anni, professore di Filologia romanza all’Università di La Manouba e studioso dei movimenti migratori nel Mediterraneo.
* * * *
-Professor Campisi, i media europei non mancano di sottolineare come quotidianamente la Tunisia sia vicina al default. Lei intervistato da Rsi (Radiotelevisione svizzera), ha invece fatto sobbalzare il conduttore affermando il contrario: a suo avviso, che percezione si ha in Tunisia della questione?
Enrico Palma: Berlusconi, la semplificazione
Berlusconi, la semplificazione
di Enrico Palma
Un po’ come accade con i grandi scrittori, la cui opera secondo la prassi critica viene considerata integralmente solo dopo la loro morte, allo stesso modo, per trarre un bilancio, si fa con i leader politici. La morte è sempre il sigillo della vita, il punto di chiusura obbligato e necessario che pone un termine a un’esistenza e consente, con un rimbalzo che dalla fine va a tutto ciò che è trascorso, di stabilire una riflessione. Vengono in mente le celebri parole pronunciate da Augusto sul letto di morte e riportate da Svetonio, stando alla testimonianza del quale, nella sua villa apud Nolam e attorniato dalla famiglia, il primo imperator dei romani avrebbe affermato che se lo spettacolo era piaciuto (quello della sua vita) allora si poteva applaudire. Per quanto riguarda Silvio Berlusconi, naturalmente, non ci si può spingere al punto da confrontarlo con grandi esperienze letterarie (penso ad alcuni premi Nobel del nostro tempo che lo hanno avversato e parodiato in ogni modo, da Saramago a Fo), né tantomeno ardire a rievocare i fasti di Augusto. Ma che sia stato un grande spettacolo questo lo si può certamente affermare.
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