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La rimozione del Pd sul lettino psico-politico
Molti medici interessati si affannano in questi mesi attorno al Pd e, in particolare, cercano di decifrare la figura della nuova segretaria. Gli stereotipi impazzano, la pigrizia intellettuale, con alcune eccezioni, domina. Da ultimo è sceso in campo niente meno che Massimo Recalcati, il guru della psico-politica italiana, autore di bestseller in cui si dispensano a piene mani consigli e pillole di saggezza, su tutto l’universo-mondo. E allora qui la cosa si fa seria. Dalle colonne de La Stampa Recalcati ci ha offerto un contributo imprescindibile alla comprensione dei veri dilemmi esistenziali del Pd.
È inutile che politologi e analisti si affatichino a definire la famosa «identità» del Pd, quella che è stata o quella che dovrebbe essere: per il Nostro, il Pd è un soggetto afflitto da un «doppio legame», lacerato tra due anime inconciliabili, «l’anticamera della psicosi». Ed Elly Schlein, ora, sarebbe l’interprete di un’esaltata, quasi adolescenziale, fuga dalla realtà, che taglia le radici con la natura “riformista” del partito, che rifiuta una condizione adulta e matura, giungendo finanche a accogliere nuovamente nel partito quegli «ex-frondisti» che avevano osato contestare il renzismo e che ora sono descritti da Recalcati con parole sprezzanti.
Il lettore ci perdonerà se, magari impropriamente, civettiamo qui anche noi con il lessico della psicanalisi, ma ci sembra che possa fare al nostro caso. A suo tempo, Recalcati si era fatto il cantore appassionato, un vero e proprio aedo della figura di Renzi, il Telemaco della politica italiana, colui che si emancipa dal Padre e che rompe con il passato. E anche in questo articolo Renzi è ancora visto come il “significante” di un’identità culturale più ampia, oggi messa a rischio e che viene preservata da “molti dei suoi” rimasti nel partito. Con tutta evidenza, Renzi deve essere proprio stato, a suo tempo, per Recalcati, oggetto di un investimento emotivo davvero molto intenso (un forte transfert?), se poi la caduta di Renzi, e il suo abbandono del partito, hanno prodotto in lui un tale trauma, un trauma tanto profondo da indurlo oggi ad una vera e propria rimozione della realtà.
Recalcati, ad esempio, parla dello “stato comatoso” in cui il Pd fu lasciato da Bersani (il 25% dei voti, ricordiamo), ma rimuove totalmente lo stato pre-agonico in cui fu lasciato da Renzi (il 18%). Chiaramente, siamo di fronte ad una dissonanza cognitiva, ad un uso selettivo della memoria. E poi, la pretesa di essere un tuttologo tradisce Recalcati, che parla di cose di cui evidentemente non sa nulla, pontificando in modo pensoso su riformismo e massimalismo, ignorando la storia e il senso di questa divisione della sinistra novecentesca, e senza rendersi conto che, per dirla con Lacan, “riformismo” è oramai un “significante vuoto”.
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E parla “per sentito dire” anche a proposito della vittoria di Schlein: “un colpo di mano”, se pure (bontà sua, concede) legittimo: ma Recalcati ha letto qualche analisi sul voto delle primarie, sulla distribuzione territoriale (molto squilibrata) del voto dei 150 mila iscritti e sui quella del milione e passa che invece ha votato nei gazebo (in grandissima parte ex-elettori ed ex-iscritti al Pd)? Quale dei due è il “vero” partito? Chi è l’usurpatore? (Ma in questo, occorre dire, una qualche responsabilità va data anche alla Commissione nazionale che ha presieduto al percorso congressuale, che non ha comunicato ufficialmente i risultati disaggregati delle varie federazioni locali: come mai?)
Il Pd ha molti problemi, e non è detto che riesca a venirne a capo: quel che è certo è che il nuovo gruppo dirigente, tra i molti compiti che ha di fronte ha anche quello di sollecitare e organizzare il lavoro di elaborazione intellettuale necessario ad una più solida definizione della propria politica. E in questo senso speriamo che vada l’annunciato rilancio di una Fondazione di cultura politica del partito. Rimane un certo sconforto, leggendo articoli come quello di Recalcati: è questo il livello del contributo che può dare il mondo della cultura “progressista”? E’ così che gli intellettuali possono dare una mano alla ricostruzione della sinistra in Italia? Saremmo davvero messi male se così fosse. Ma, per fortuna, il quadro non è così fosco: ci sono molte forze che lavorano all’elaborazione di un pensiero critico sul presente: solo che, fino ad oggi, non incontrano la politica, non trovano luoghi e canali attraverso cui questa ricerca intellettuale possa divenire cultura politica di un soggetto collettivo. Spetta anche al partito il compito di evitare che la scena mediatica sia dominata da protagonisti tanto banali quanto pretensiosi.
Antonio Floridia, 17/07/2023
Anna Maria Guideri
A proposito dell’articolo di Massimo Recalcati apparso su LA REPUBBLICA IL 27-11-2017 dal titolo: CARA SINISTRA PER GUARIRE RILEGGI TURATI.
Massimo Recalcati ritorna con puntigliosa insistenza sul tema dell’eterna lotta fratricida a sinistra senza spostarsi di un millimetro dalla posizione già espressa in altre occasioni. Nel suo ennesimo intervento, piuttosto generico e infarcito di “ismi” – massimalismo, scissionismo, narcisismo, conservatorismo, paternalismo … – egli attribuisce alla sinistra “massimalista” e “utopista” tutta la responsabilità della mancanza di uno spirito riformatore di cui Renzi – solo lui – avrebbe l’esclusiva. Per chiarire meglio il suo punto di vista, ripesca – anche lui, quando gli conviene si volta indietro – una dichiarazione di Filippo Turati che a parer mio può aiutarci a fare chiarezza più di quanto Recalcati si auguri. Scrive Turati sulla sinistra: “Noi siamo spesso contro noi stessi, lavoriamo per i nostri nemici, serviamo le forze della reazione.” Grande Turati! Come dargli torto?
E come non accorgersi che la sua riflessione calza a pennello all’odierna sinistra che ha lavorato per il nemico servendo le forze della reazione nella persona di Matteo Renzi? Se ancora sopravvive una componente residuale della sinistra massimalista, non è certo quella che ha lasciato il PD renziano. E’ forse massimalista Bersani che, da ministro del lavoro, attuò la più avanzata – e per questo criticata – riforma liberale mai attuata in Italia? Ed è lui l’utopista che usa uno stile comunicativo minimalista per non creare troppe aspettative fasulle? Non è forse più utopista e populista Renzi con i suoi bonus a pioggia e le sue mirabolanti promesse in perfetto stile berlusconiano? E’ massimalista D’Alema accusato dai più e a suo tempo anche da Nanni Moretti, di essere poco di sinistra? E’ utopico difendere l’articolo 18 visti (e previsti) gli effetti sui lavoratori del Jobs Act? Valga per tutti il caso del licenziamento della dipendente dell’Ikea. Potrei continuare,
se non temessi la noia, ad elencare i fatti e i motivi per i quali non essere renziani non equivale necessariamente ad essere massimalisti ed utopici, ma anzi, forse equivale, con qualche titolo in più di Renzi, ad essere riformisti. Un riformismo diverso da quello di Renzi, un po’ più di sinistra, non populista, alieno dagli “effetti speciali”, che punta a realizzare qualcosa che serva, più che “alle prossime elezioni, alle future generazioni.” Recalcati elenca i miti che hanno concorso a creare il “poema collettivo” della sinistra. Un poema, a suo dire, di grande fascino, ma oramai definitivamente suparato, al quale la sinistra non vuole rinunciare impantanandosi in un immobilismo autolesionista. I miti superati, secondo Recalcati sono: Gramsci, la bandiera rossa, la lotta di classe, la Resistenza, l’antifascismo, le conquiste sindacali, l’antiterrorismo, la difesa dello Stato democratico, Berlinguer e la questione morale. Ferri vecchi da buttare, anzi, da rottamare?
Confesso che ce l’ho messa tutta per cercare, tra i vari miti almeno uno che fosse scaduto: niente, non l’ho trovato. Sono scaduti i valori della Resistenza e dell’antifascismo mentre riemerge il volto di una destra sempre più feroce? Sono superati Berlinguer e la questione morale in presenza di una corruzione radicata e sempre più dilagante? E’ superata la lotta al terrorismo, la difesa dello Stato democratico conquistato a caro prezzo e sempre più minacciato dalle spinte disgregatrici che minano alla base il progetto dell’unità europea e i diritti su cui si fonda? E dato e non concesso che i grandi miti siano superati, come li possiamo sostituire, dal momento che se i miti passano, i mali restano? Con Renzi? Credo che , invece di fare il funerale ai miti ed “elaborarne il lutto,” meglio sarebbe cercare di resuscitarli e attualizzarli in uno sforzo generoso di intelligenza, profondità e coraggio nel rispetto di ciò che di buono c’è stato per costruire ciò che sarà. Purtroppo il male
della sinistra, contrariamente a quanto sostiene Recalcati, è quello di avere rinunciato in parte ai suoi miti identitari, non di averli conservati troppo a lungo. La perdita dei miti e “l’acquisto” di Renzi è stato l’atto finale di una inarrestabile deriva che ha portato la sinistra storica a tradire se stessa e, come dice Turati, “a favorire le forze della reazione”
Anna Maria Guideri 28/11/2017