Michelini, L. La fine del liberismo di sinistra, 2008

La fine del liberismo di sinistra : 1998-2008 / Luca Michelini. – Firenze : Il Ponte, c2008. – 143 p. ; 21 cm.. – (Saggi ; 8).) – [ISBN] 978-88-88861-22-7.
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Il Report contiene
Indice
Introduzione

Indice

7 Introduzione
11 Liberali di sinistra e statalisti
19 Alla ricerca di una borghesia che non c’è
25 Il liberismo è di sinistra
35 Riformismo in salsa anglo-americana
51 Storie d’Italia n. 1: politica ed economia
65 Storie d’Italia n. 2: nostalgie beneduciste
77 Alle origini del Pd: l’utopia normalizzatrice
97 Ingegneria sociale meridionalista
105 Riformismo impolitico: intermezzo cooperativo
119 Vuoti di memoria
139 Quel liberista di Marx

INTRODUZIONE

Governare il mercato. Le culture economiche del Partito democratico, un volume curato da Stefano Fassina e da Vincenzo Visco per i tipi di Donzelli (Roma 2008), raccoglie i lavori di un seminario di studio organizzato da Nuova Economia Nuova Società, una tra le istituzioni piú impegnate nell’elaborazione teorica e di politica economica dei governi di centrosinistra. Dell’associazione (i cui lavori sono consultabili anche in rete) sono stati fondatori Pier Luigi Bersani e Visco, che hanno ricoperto ruoli chiave nelle prime esperienze di «governo dell’alternanza» conosciute dal nostro paese. La lettura dei risultati del seminario sarà l’occasione per svolgere alcune considerazioni forse di una qualche utilità per orientarsi nel prossimo futuro, tenendo presente quanto è accaduto nel recente passato. Prima di tutto è però necessario accennare a talune problematiche di carattere metodologico che pone il teso pubblicato da Donzelli.
Disquisire di cultura economica di un partito è argomento accattivante e complesso. Definito l’ambito semantico del termine, sul quale si sono cimentati famosi filosofi, antropologi, filologi, sociologi della conoscenza, quali sono i soggetti che si devono prendere in considerazione per definire la cultura di un partito?

Dobbiamo analizzare la cultura del suo segretario, dei suoi dirigenti, dei suoi consulenti economici, dei ministri che quel partito esprime o dei suoi parlamentari? Per cultura dobbiamo intendere ciò che pensano e scrivono alcune persone, o ciò che decidono con atti e documenti formali talune istituzioni (riviste, case editrici, fondazioni e istituti di ricerca, associazioni culturali e/o politiche) che da queste persone sono dirette, oppure per cultura dobbiamo intendere i concreti atti di governo che quelle persone e quelle istituzioni esprimono, alla fine di una lunga e complessa catena di mediazioni? La cultura di un’aggregazione politica è data dalle idee e dalle azioni delle sue classi dirigenti o da quelle dei suoi militanti ed elettori, oppure dal modo in cui queste e quelle si intrecciano?

La storiografia ha offerto contributi innovativi per quanto concerne i problemi di sociologia della conoscenza, mostrando, fra l’altro, come il discorso economico non possa essere limitato al puro ambito accademico, poiché di economia, in ultima analisi, si devono necessariamente occupare una pluralità di soggetti. Il testo edito da Donzelli conferma, indirettamente, la vitalità della scelta metodologica, cosicché i contributi di economisti di professione1 sono affiancati da quelli di operatori ed esperti di economia, uomini delle istituzioni e di governo, giornalisti, sindacalisti, professionisti della politica2. Sul significato da attribuire al termine di cultura si sono interrogati, come accennavo, eminenti studiosi. Messori, nel testo Donzelli, definisce la «cultura economica » come quei «pilastri sui quali fondare il rilancio della fiducia degli italiani in se stessi e nel proprio futuro»: si tratterebbe, insomma, di rifuggire da «ogni tentazione» di circoscrivere il termine di cultura economica a quello di «programma economico», che invece «è compito esclusivo del governo di centrosinistra»3.

Metodologicamente l’invito è condivisibile, perché è necessario distinguere le idee economiche e sociali dai fatti economici e politici; tuttavia, in una fase piú avanzata della riflessione, questa distinzione deve essere superata, perché compito dello storico, come del cronista della vita culturale, è quello di ricostruire il tipo di rapporto che intercorre tra teoria e prassi, tra ciò che Messori scrive nei suoi testi di teoria economica, e ciò che poi scrive sui giornali, nelle consulenze, nei progetti di ricerca che dirige per conto di istituzioni legate, in vario modo, al Pd. Piú in generale, è necessario stabilire la relazione esistente tra gli obiettivi economici e sociali che un partito dichiara di voler realizzare, e quelli che poi effettivamente persegue e raggiunge, e capire i motivi della eventuale, e direi inevitabile, discrepanza. Non meno rilevante è occuparsi della storia delle istituzioni, non necessariamente di carattere esclusivamente culturale, legate, secondo i piú differenti canali, al Partito democratico, poiché esse sottendono e promuovono relazioni di potere, di differente natura, senza le quali le idee raramente riescono a divenire condivisione di valori e quindi programmi d’azione. Messori, per esempio, è presidente di Assogestioni, che appresenta numerose società di gestione del risparmio, di investimento a capitale variabile e di intermediazione mobiliare, banche, imprese di assicurazione, società di investimento a capitale fisso e trust: come è possibile appurare consultandone il sito, Assogestioni sviluppa, tra l’altro, anche una certa attività culturale. L’Università, di cui Messori è membro autorevole, è un’istituzione con proprie precipue regole di sviluppo, ma la storia del radicamento universitario della scienza economica dimostra l’importanza che ha avuto, e tuttora riveste, la dialettica tra logiche interne di sviluppo di una scienza sociale quale l’economia, e il complesso movimento della storia sociale e politica della comunità nazionale.

Messori è consapevole della complessità del termine di cultura. Dopo aver perorato la costruzione di una «cassetta degli strumenti » capace di valorizzare i risultati positivi della globalizzazione, di rifiutare politiche protezioniste, di perorare la lotta alla rendita e la battaglia a favore delle pari opportunità, egli evidenzia come questo tipo di cultura sia «condivisa da una parte consistente dei centri di ricerca appartenenti all’area sindacale o a quella del centrosinistra», ma non sia stata ancora «assimilata dalla maggioranza di dirigenti e degli iscritti ai partiti politici della sinistra»4.
A questo proposito viene in mente il percorso intellettuale di Lelio Basso, il padre politico dell’articolo terzo della nostra Costituzione, un intellettuale profondamente legato a quella cultura marxista dalla quale Messori si è invece distaccato: dopo i fatti di Praga del ’68, che inducono Basso a condannare l’intervento sovietico, egli rimane talmente isolato all’interno di quel partito politico, il Psiup, che egli stesso aveva fondato e di cui era massimo dirigente, da sentire l’esigenza di distaccarsene. Qual era la cultura del Psiup, quella di Basso, quella della rivista «Problemi del socialismo», da lui diretta e fondata, oppure quella dei quadri di partito e dei militanti?
Per ricostruire a tutto tondo la proposta culturale del Partito democratico sarebbe necessario ricorrere, tra le altre strumentazioni, alla consultazione sistematica di archivi di istituzioni e di persone. Si dovrebbero definire le vicissitudini editoriali di diverse riviste – per esempio «Italianieuropei», «il Mulino» –, per cogliere in quali termini, e secondo quali canali istituzionali e/o personali, e secondo quali precise progettualità esse possono dirsi legate al Partito democratico e interagiscono con la sua azione.
La ricerca non dovrebbe trascurate nemmeno la storia istituzionale e culturale di quotidiani ora organicamente legati al Partito democratico (come «l’Unità») o alle organizzazioni politiche che hanno dato vita a quel partito («Europa»), ora invece indipendenti dalla storia dei partiti: il testo edito da Donzelli, per esempio, è prefato da Scalfari, fondatore del quotidiano «la Repubblica», tra i crocevia piú importanti della koiné di centrosinistra degli ultimi venti anni. E che dire, poi, della storia e della cultura dei sindacati o del movimento cooperativo, storicamente legati alle organizzazioni politiche della cosiddetta sinistra? Nell’impossibilità di svolgere questo complesso lavoro, indispensabile per cogliere in quali termini si pone il rapporto reciproco tra le singole biografie intellettuali e il complesso ambiente sociale con il quale esse interagiscono ora contribuendo a plasmarlo, ora essendone plasmate, e per comprendere secondo quali logiche e quali percorsi istituzionali le società umane selezionano i propri codici valoriali, le pagine di questo saggio devono essere considerate un contributo di natura etico-civile – non storiografica, dunque – dedicato all’interpretazione delle piú recenti vicende culturali e politiche del nostro paese. Vicende che saranno ricostruite attraverso la discussione di taluni testi, ritenuti emblema di un piú complesso divenire, che lo storico futuro un giorno forse ricostruirà in tutta la sua capillare varietà.

1 Marcello De Cecco, Michele Grillo, Marcello Messori, Giuseppe Pisauro,
Giulio Sapelli, Francesco Silva, Luigi Spaventa, Gianni Toniolo, Visco.
2 Giovanni Di Corato, Fassina, Beniamino Lapadula, Giuseppe Rao, Eugenio
Scalfari, che ha scritto la Prefazione, Alfredo Reichlin, Giorgio Ruffolo,
Roberto Seghetti, Walter Tocci.
3 S. Fassina, V. Visco Governare il mercato. Le culture economiche del Partito democratico, Roma, Donzelli, 2008, p. 194.
4 Ibid., p. 198.

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