Il report contiene
Schede e abstract
Indice
Prefazione (S.Rossi) Introduzione (M.Gallegati) e Premessa
Bibliografia
Recensioni di
Luigi Pandolfi
Guglielmo Forges Davanzati
Marco Pondrelli
Luca Ciarrocca
KW
Banche, Banche centrali, Banche centrali e Banche private, Banche commerciali, Banconote di Stato, Credito e debito, Crisi economiche, Debito, Economia del debito, Istituti di credito privati, Moneta, Moneta fittizia, Politica monetaria, Sistema Bancario e Finanziario, Sistema monetario democratico, Sovranità monetaria, Surplus di debito,
Il report contiene
Scheda SBN
Scheda editore
Indice
LINK Prefazione, Introduzione e Premessa
Prefazione di Sergio Rossi
Introduzione di Mauro Gallegati
Premessa Il 2022, l’anno terribile della “policrisi”
Bibliografia
Recensioni
Luigi Pandolfi Per una moneta “bene comune” 26-09-2023
Guglielmo Forges Davanzati Micromega 12-7-2023
Marco Pondrelli 15-7-23 www.marx21.it
Luca Ciarrocca Il Fatto Quotidiano
Cristina D’Amicis 15-7-23 www.today.it
Scheda SBN
Grazzini, Enrico
Il fallimento della moneta : banche, debito e crisi : perché bisogna emettere una moneta pubblica libera dal debito / Enrico Grazzini. – Roma : Fazi editore, 2023. – xxvi, 412 p. ; 20 cm. – (Le terre ; 271).) – [ISBN] 9791259672940.
EAN 9791259672940 ebook EAN 9791259674005
Scheda editore
Da dove nasce la moneta? Pochi lo sanno ma oltre il 90 per cento della moneta viene creata dal nulla dalle banche commerciali per il loro profitto. Lo Stato ha ceduto la sua sovranità monetaria a enti privati che, grazie al privilegio di creare moneta, ottengono utili immensi e un potere enorme. Il problema è che la moneta delle banche è sempre emessa come credito e dunque entra nell’economia sempre e solo come debito. Ma un’economia fondata sul debito è destinata al fallimento. Inoltre la privatizzazione della moneta fa crescere le diseguaglianze ed è all’origine delle frequenti e violente crisi finanziarie che sconvolgono la società provocando povertà e disoccupazione. Per superare questo sistema ingiusto e insostenibile l’autore propone che la nuova moneta digitale venga trattata come un bene pubblico gestito dalla società civile, e che sia emessa libera dal debito. In democrazia le banche centrali dovrebbero aprirsi al pubblico ed essere governate dalle organizzazioni del lavoro, delle imprese e dei consumatori. Così finalmente il sistema monetario potrebbe soddisfare l’interesse collettivo. «L’analisi molto accurata di Enrico Grazzini», scrive Sergio Rossi nella prefazione, «chiarisce in modo incontrovertibile la necessità di un cambiamento radicale nell’emissione della moneta allo scopo di rendere il sistema monetario democratico». «Le soluzioni proposte dall’autore», sottolinea Mauro Gallegati nell’introduzione, «possono sembrare utopistiche: tuttavia esse rappresentano un orizzonte e un traguardo su cui vale certamente la pena di riflettere per orientare i programmi di riforma di un sistema, come quello monetario, che oggi mostra tutti i segni di una crisi profonda e forse irreversibile». «Questo libro sottolinea giustamente che la moneta è un bene comune che dovrebbe essere governato dai cittadini». Dominique Plihon «Grazzini auspica che la moneta venga trattata per quella che è: un bene pubblico, mentre oggi serve prevalentemente gli interessi del sistema bancario e finanziario privato». Joseph Huber «Grazzini dimostra che l’attuale sistema monetario è non solo anarchico ma anche caotico, e genera sistematicamente crisi ricorrenti». Guglielmo Forges Davanzati «Questo libro illumina la dimensione politica delle banche centrali nascosta dietro al velo tecnico e sottratta al controllo democratico». Stefano Fassina «Questo saggio apre un dibattito indispensabile su come trasformare il sistema monetario affinché possa servire l’economia e la gente, il lavoro e il risparmio su cui si basa». Ellen Brown
Indice
Prefazione di Sergio Rossi p. XI
Introduzione di Mauro Gailegati p. XV
IL FALLIMENTO DELLA MONETA
Premessa p. 3
Il 2022, l’anno terribile della “policrisi”, p. 3 – L’elefante nella stanza: la privatizzazione della moneta, p. 19 – La riforma della moneta è una riforma civile, p. 27
1. II lato oscuro della moneta: la moneta è debito e produce crisi
La Banca d’Inghilterra spiega che la moneta é creata dalle banche, p. 30 – Il valore della moneta riflette la ricchezza sociale, p. 38 – L’epidemia di “moneta fittizia” infetta il capitalismo, p. 42 – Max Weber, la moneta e la “lotta dell’uomo contro l’uomo”, p. 46 – Le banche non intermediano moneta ma la creano per il profitto degli azionisti, p. 54 – Le banche non sono vincolate dalla “riserva frazionaria” p. 58 – La moneta è politica e il credito comporta distribuzione di ricchezza, p. 61 – Le banche private, lo Stato e i colossi digitali competono per creare moneta, p. 64 – La lotta tra lo Stato e il settore privato per il controllo della moneta, p. 69 – Le monete di Stato: il greenback di Lincoln e gli assignat francesi, p. 73 – Le leggi di mercato non valgono per i beni pubblici qual’è la moneta, p. 78 -1 colossi del sistema bancario globale: i “padroni della moneta”, p. 80 -1 difetti strutturali del sistema monetario privato, p. 88 – L’economia del debito cresce con la moneta bancaria, p. 98 – L’interesse composto e la crescita abnorme della finanza parassitaria, p. 102 – Le banche centrali al centro del capitalismo, ma sono antidemocratiche, p. 105 – 1 tre tipi di moneta: banconote, moneta di riserva di banca centrale e moneta bancaria, p. 116 – Le banche centrali creano moneta con le “operazioni di mercato aperto”, p. 119 – La riserva di banca centrale è un sistema chiuso. La trappola della liquidità, p. 122 – L’impotenza delle banche centrali: fissare il tasso di intesse non basta per la stabilità monetaria, p. 126 – Le banche centrali sono utili soprattutto per non far fallire le banche private, p 133 – Il signoraggio legale delle banche private: una tassa sull’economia e sulla società, p. 138 – Il signoraggio pubblico della banca centrale, p. 145 – L’economia competitiva ha bisogno di spese e investimenti pubblici, p. 148 – Le aste dello Stato: il debito pubblico diventa profitto dell’alta finanza, p. 154 – Le banche d’affari, come i grandi finanzieri del passato prosperano sui debiti del sovrano, p. 157 – La monetizzazionc dei debiti: lo Stato può tornare sovrano della sua moneta, p 161 – L’epidemia e l’esplosione dei deficit: il debito globale è fuori controllo, p. 165 – Le banche centrali hanno stampato trilioni a favore di banche e Stati, p. 171 – Il sistema bancario è prociclico e produce boom e crash, p. 175 – Perché l’aumento della spesa pubblica non sempre provoca inflazione, p. 176 -1 tassi di interesse a zero gonfiano solo la finanza, p. 178
2. La moneta senza regole: il sistema bancario parallelo e i titoli derivati 180
Il nuovo modello di “banca speculativa” e la nascita del sistema bancario parallelo, p. 180 – I derivati come mezzo di distruzione dell’economia, p. 186 – Leva e opacità costituiscono le caratteristiche principali dei derivati, p. 197 – La cartolarizzazionc e gli Special Purpose Vehicle delle Bahamas, p. 199 – La speculazione sui prodotti alimentari e sui debiti di Stato, p. 202 – Il sistema bancario ombra: le “non banche” che fanno credito, p. 208 – Il punto di incontro tra banche e shadow banking: il mercato repo, p. 213 – Il blocco dei mercati repo e il “pronto soccorso” delle banche centrali, p. 219 – Le riforme dei derivati che riformano poco o nulla, p. 221
3. Dopo Bretton Woods il finanzcapitalismo: quando la finanza diventa scommessa globale 224
Nel finanzcapitalismo i mercati speculativi dominano l’economia, p. 224 – Nei “Trenta Gloriosi” banche e finanza erano molto controllate, e nessuna crisi!, p. 229 – Proibire la fuga di capitali; il risparmio nazionale come leva di sviluppo, p. 232 – La regolamentazione amministrativa del credito evita le crisi, p. 234 – La speculazione domina i mercati finanziari e valutari, p. 239 – La borsa non serve a finanziare le aziende ma ad arricchire la speculazione, p.‘241 – La borsa e l’analisi di Keynes, p. 244 – Le agenzie di rating: i controllati pagano i controllori, p. 250 – Il trionfo dello shareholder value, i finanzieri a capo delle imprese, p. 255 – La finanziarizzazione svuota le imprese a favore degli shureholder, p, 260 – La finanza compra sul mercato l’intelligenzu tecnologica, p. 270
4. Le crisi finanziarie nascono dal mercato e non dallo Stato. Perché la Cina batte l’Occidente 272
Il debito privato e non quello pubblico è responsabile delle crisi peggiori, p. 272 – Le crisi nascono dall’euforia e finiscono nella depressione, p. 279 – La Cina cresce di più grazie al sistema regolamentato pubblico-privato, p, 281
5. La finanza amplia le disuguaglianze: l’1% diventa sempre più ricco e il 90% si carica di debiti 286
Sovrapproduzione e sottoconsumo sono immanenti nel capitalismo, p. 286 – Lo Stato neoliberale amplia le disuguaglianze e impoverisce la classe media, p. 290 – La finanza è il gioco dei ricchi, p. 294 – La ricchezza delle élite cresce anche in tempo di crisi, p. 296 – L’interesse composto e la crescita esponenziale della ricchezza finanziaria, p. 302 – Un miliardo e settecento milioni di persone non hanno neppure un conto in banca, p. 305
6. La crescita dell’inflazionc e il pericolo di stagflazione. Dall’economia di mercato all’economia di guerra 307
Il caro-prezzi c ripartito: ma le politiche recessive sono controproducenti, p. 307 Combattere l’inflazione con 1’“economìa di guerra”, p. 311 – Negli anni Settanta l’inflazione era “politica”, oggi è un fenomeno geopolitico, p. 315 – Tassi alti e dollaro forte affamano gli Stati più poveri, p. 321 -1 paesi avanzati sono anche quelli più indebitati, p. 323 – La crisi e la Nuova Guerra Fredda: l’Europa è il vaso di coccio, p. 327 – L’incapacità del sistema di riformarsi. Nessuna nuova regola per la finanza, p. 329 – Una nuova grande crisi finanziaria è vicina, p. 332
7 La sfida planetaria della moneta digitale. I colossi del web contro le monete nazionali. L’inedito conflitto tra banche centrali e banche commerciali 337
Le criptovalute: il bitcoin e le “false valute” della speculazione, p. 340. Le monete digitali globali dei signori del web, p. 345 – Le banche centrali accettano la sfida: le Central Bank Digital Currencies, p. 352 – Le sperimentazioni di CBDCs: tutto cambia perché nulla cambi?, p. 353 – Le valute digitali come fattore dì competizione internazionale, p. 362
8. Per una moneta pubblica, digitale, democratica e verde. Le banche centrali devono essere aperte e gestite dalia società civile p. 366
Evitare le crisi é possibile: occorre deglobaiizzare e regolamentare i mercati, p. 371 – Il sistema monetario non deve essere monopolio di Stato, p. 375 – La moneta é un bene pubblico, non esclusivo e per tutti, p. 377 – Deglobalizzare la finnanza e ristabilire la sovranità monetaria, p. 378 – La proposta del Chicago Plan: la moneta senza crisi, p. 379 – Dopo la crisi dei subprime, la riscoperta del Chicago Plan, p. 383 – I pro e i contro del Chicago Plan et similia, p. 384 – Le monete digitali e la possibilità di aprire le banche centrali al pubblico, p. 389 – La moneta democratica per il bene comune, p. 393
Prefazione di Sergio Rossi
Questo volume analizza in modo chiaro, brillante e approfondito diversi problemi di carattere macroeconomico legati all’emissione monetaria da parte del sistema bancario nel mondo contemporaneo. L’autore spiega in un linguaggio comprensibile a qualsiasi tipologia di lettori le origini monetarie e strutturali delle crisi finanziarie, come quella scoppiata nel 2008 a livello globale, e offre anche delle soluzioni nell’interesse dell’insieme della collettività. L’obiettivo è di trasformare gli istituti bancari da creatori di moneta-debito a sostenitori delle attività economiche che soddisfino i bisogni di tutti i portatori di interesse nel sistema economico, e non soltanto dei soggetti che si trovano al vertice della piramide sociale.
L’emissione monetaria associata alla concessione di credito da parte delle banche è in realtà un fattore di fragilità e di crisi per l’insieme del sistema economico nella misura in cui le istituzioni bancarie abusano della loro capacità di emettere moneta per aprire delle linee di credito destinate a svolgere delle transazioni finanziarie che non fanno aumentare il reddito nazionale: in tal modo, aumentano i debiti privati nell’insieme dell’economia senza che si produca il reddito necessario per rimborsare questi debiti. Fintanto che la finanza di mercato genera i rendimenti attesi dalle principali istituzioni finanziarie (tra cui si trovano soprattutto le banche di importanza sistemica, ossia quelle “troppo grandi per fallire”), il grande casinò della finanza globale permette agli azionisti di queste istituzioni di arricchirsi a discapito del bene comune. Quando queste attività di carattere speculativo si dimostrano fallimentari, la crisi finanziaria che ne scaturisce può colpire (come accade sempre più frequentemente) soprattutto le persone meno abbienti, che non hanno alcuna colpa di tutto ciò ma che ne subiscono, spesso drammaticamente, gli effetti negativi sul piano economico – come osservato nella crisi dei mutui subprime scoppiata negli Stati Uniti verso la fine del 2006.
Ripercorrendo la storia economica dagli anni Settanta in poi, Enrico Grazzini mette in luce vari elementi che convergono per spiegare il ruolo importante della finanza di mercato e delle strategie di banche e imprese nella formazione di bolle creditizie. Quando la bolla scoppia, si creano degli effetti a catena che trascinano rapidamente verso il basso tutti i soggetti economici, coinvolgendo anche la finanza pubblica in una spirale dannosa anche per la coesione sociale, oltre che per la stabilità e lo sviluppo del sistema economico. I piani di salvataggio che lo Stato deve allora attuare per evitare una implosione del sistema bancario e finanziario inducono poi la finanza pubblica a dover adottare delle misure di risparmio, riducendo i servizi e le prestazioni erogate dallo Stato a tutta la popolazione. Ciò peggiora la situazione economica di molte persone, soprattutto di quelle meno abbienti i cui interessi sono poco o nulla rappresentati sul piano politico.
Questo volume offre una analisi molto accurata della natura della moneta bancaria e del meccanismo dell’emissione monetaria nell’economia privata da parte delle banche, le quali approfittano del loro privilegio di emettere moneta a discapito dell’insieme della società e anche dell’ambiente sul piano globale. L’analisi di Enrico Grazzini chiarisce in modo incontrovertibile la necessità di un cambiamento radicale nell’emissione della moneta allo scopo di rendere il sistema monetario democratico e favorevole all’ambiente, oltre che per soddisfare i bisogni della popolazione nell’interesse generale, al fine di garantire una maggiore coesione sociale a vantaggio di tutti i portatori di interesse nell’economia e nella società, sia sul piano nazionale sia a livello globale. Ricco di dati e informazioni statistiche, questo libro propone anche delle soluzioni per quanto riguarda l’emissione di monete digitali da parte delle banche centrali, al fine di ridurre l’instabilità finanziaria e di rendere l’emissione monetaria un bene comune la cui gestione deve essere attribuita in maniera democratica alla società civile.
L’autore ha svolto un lavoro encomiabile elaborando questo saggio. Osiamo sperare che sia letto anche da chi ne dovrà trarre ispirazione per proporre o effettuare delle scelte, siano esse di carattere privato o pubblico, prima della prossima crisi finanziaria globale. Il tempo stringe ed è quindi urgente agire rapidamente.
Introduzione di Mauro Gallegati
L’attività delle banche e le modalità di funzionamento del sistema bancario non sono ben comprese dall’economia mainstream e, di conseguenza, dai media e dall’opinione pubblica. Si pensi che il Nobel per l’economia, assegnato ogni anno dalla Banca Centrale della Svezia, la Sveriges Riksbank, nel 2022 è stato attribuito a Ben Bernanke, Douglas Diamond e Philip Dybvig con la motivazione: «Hanno migliorato notevolmente la nostra comprensione del ruolo delle banche nell’economia». Ma qual è il ruolo delle banche secondo i tre vincitori? L’Accademia Reale delle Scienze svedese lo descrive così: «Le banche… ricevono denaro da quelli che lo depositano e lo indirizzano verso quelli che lo prendono in prestito». Le banche, quindi, sarebbero meri intermediari tra il risparmio delle famiglie e gli investimenti delle imprese.
Questa visione sul ruolo delle banche è ancora oggi largamente dominante. Tuttavia, nel passato era prevalente una teoria molto diversa secondo cui le banche non intermediano i flussi di finanziamento, ma creano loro stesse moneta.
Definire che cosa è la moneta è molto complesso. Di seguito preferisco adottare la terminologia dell’economista americano Hyman Minsky che, parlando di moneta, definisce quella legale – il circolante, le banconote e le riserve presso la banca centrale – come “attivo”, e invece come moneta/debito quella bancaria. Nei suoi ultimi lavori, Minsky evidenzia che, poiché l’uso del contante nei sistemi di pagamento tende a ridursi a favore della moneta bancaria, quest’ultima diventa sempre più assimilabile a quella legale. Questo implica che la riduzione del contante e l’economia di scala nell’uso delle riserve fanno aumentare il signoraggio monetario (ovvero la rendita monopolista sull’emissione di moneta) a favore di società per azioni di tipo privato: le banche.
Secondo la visione di Minsky, le banche commerciali sono di gran lunga i principali “produttori” di moneta per l’economia reale, per le famiglie, le imprese e le amministrazioni pubbliche. Non sono dunque tanto le famiglie a “prestare” i loro risparmi alla banca: sono innanzitutto le banche che creano autonomamente la moneta e alimentano il risparmio monetario. La direzione di causalità è precisamente inversa: analogamente, come John Maynard Keynes ha insegnato, sono gli investimenti che creano il risparmio, e non viceversa.
La teoria della creazione endogena della moneta, cioè interna al sistema bancario, già formulata dall’economista svedese Knut Wicksell, viene elaborata compiutamente da Joseph Schumpeter che, nella Theory of Economic Development (1911), scrive: «Il banchiere non è tanto un intermediario del potere d’acquisto quanto un produttore di questo potere». Un secolo dopo la Bank of England nel 2014 adotta tale visione sostenendo che: «La creazione di moneta differisce da alcune erronee idee popolari: le banche non agiscono come semplici intermediari, prestando denaro già depositato dai risparmiatori. La maggior parte del denaro nell’economia moderna è creata dalle banche commerciali nel momento in cui concedono dei prestiti». Tre anni dopo, la Banca federale tedesca (la Bundesbank) ribadisce tale posizione contro «la credenza popolare che le banche siano semplici intermediari che prestano fondi già depositati».
Secondo la teoria convenzionale dell’intermediazione le banche non sono in grado di produrre esse stesse la moneta poiché l’economia finanziaria funziona in maniera sostanzialmente identica all’economia reale e dipende da questa. Secondo l’ideologia pre-keynesiana, peraltro ancora attualmente dominante, non c’è dunque spazio per l’autonomia della sfera monetaria né per decisioni finanziarie autonome da quelle di risparmio e di investimento. Non a caso la Grande Depressione creò un grande sconcerto tra gli economisti del tempo perché, in base alle teorie economiche di equilibrio generale, non si riusciva a comprendere come potessero coesistere un’offerta invenduta di beni e contemporaneamente la disoccupazione. Nelle loro ipotesi, prezzi e salari avrebbero dovuto calare finché la domanda di beni e quella di lavoro non avessero eliminato ogni eccesso di offerta sia di beni che di lavoro, creando necessariamente l’equilibrio di mercato. Keynes diede invece una interpretazione diversa della crisi e mostrò che le decisioni di investimento e di consumo possono seguire pattern diversi, il che però può accadere solo quando la moneta è endogena.
Schumpeter, grazie alla sua “teoria monetaria”, aveva già compreso che le risorse reali – beni di consumo e di investimento – hanno dinamiche diverse da quelle monetarie – depositi bancari e titoli. Le due sfere sono collegate ma autonome, e possono quindi entrare in contrasto tra loro. Non solo le decisioni di investimento sono autonome da quelle di risparmio, ma esistono anche decisioni indipendenti nella sfera della finanza: per esempio, quelle relative ai prestiti delle banche centrali alle banche commerciali, o alla concessione di crediti delle banche alla clientela, o alle transazioni dei titoli. Sono dunque le banche, come scrive Schumpeter, a essere direttamente «produttrici di potere d’acquisto».
Uno dei meriti del lavoro di Enrico Grazzini è quello di concentrare l’attenzione sulla pressoché completa autonomia delle attività finanziarie rispetto a quelle reali. L’attività delle banche e degli altri enti finanziari non solo è autonoma rispetto a quella dell’economia reale, ma spesso contrasta lo sviluppo e il progresso delle attività produttive. Solamente comprendendo che credito e finanza hanno dinamiche autonome e anche divergenti da quelle dell’economia reale l’analisi economica riesce a spiegare fenomeni macroscopici emergenti, come la finanziarizzazione dell’economia, il dominio della finanza sull’economia reale e le violente crisi finanziarie che ciclicamente sconvolgono l’economia reale.
Nel filone di analisi che fa capo a Wicksell-Schumpeter-Keynes, nel suo saggio Grazzini parte dal fatto che le banche non hanno bisogno di avere dei depositi per concedere dei prestiti: sono in grado di emettere moneta creditizia in modo autonomo. In questo senso, il loro ruolo nell’analisi macroeconomica è ancora in gran parte misconosciuto.
La distinzione fra le due teorie – quella dell’intermediazione e quella della creazione endogena della moneta, cioè quella “monetaria” di Shumpeter – è fondamentale per comprendere il funzionamento dell’economia capitalista e le sue patologie. Se il credito viene lasciato in mano a privati che cercano solo il profitto, allora diventa pro-ciclico, si gonfia all’eccesso quando l’economia cresce, mentre si sgonfia ai primi segnali negativi, provocando la crisi. Se il business principale delle banche è creare moneta-credito per ottenere il massimo profitto, il sistema è strutturalmente portato a creare più moneta-credito del necessario e a indebitare se stesso e le imprese. Come affermava Hyman Minsky, le crisi finanziarie vengono incubate proprio nei periodi di maggiore crescita dell’economia. Il problema è che nei periodi di rallentamento, di difficoltà e di crisi, ovvero proprio quando ci sarebbe più bisogno di denaro nell’economia, le banche lesinano sul credito per non rischiare. In tale modo si sviluppano ciclicamente periodi di euforia, crisi e recessione. Il sistema privato del credito – basato sulla moneta bancaria, ovvero sulla privatizzazione della moneta – diventa allora un fattore di instabilità.
La teoria convenzionale afferma che le banche sarebbero soggetti economici intermediari tra risparmio e investimenti. Così facendo, essa non riesce a spiegare l’inflazione abnorme dei crediti (soprattutto immobiliari e finanziari) nei periodi di forte sviluppo economico e il fatto che nelle fasi di boom gli impieghi bancari superino i depositi dei risparmiatori. Il problema è che il modello di Arrow-Debreu, che è la “stella polare” dell’economia attualmente dominante, non considera minimamente l’endogeneità della moneta. Esso mostra come possa essere raggiunto l’equilibrio tra domanda e offerta, ma è sostanzialmente basato sul baratto e prevede che la moneta sia esclusivamente un “numerario” e non abbia una sua vita autonoma. In generale tutti i modelli contemporanei di “equilibrio generale” – i modelli cosiddetti Dynamic Stochastic General Equilibrium (DSGE) – non riescono a spiegare i fenomeni monetari e le crisi finanziarie. In questi modelli le banche si potrebbero paragonare a dei “silos di deposito agricolo” che intermediano passivamente tra “i contadini che producono grano in eccesso e quelli che ne hanno bisogno per seminare”. Il sistema bancario e la finanza, però, non funzionano così: non sono semplici sistemi di trasferimento del denaro ma attori attivi dell’economia. Inoltre, i modelli DSGE non solo prescindono da banche, debito e credito ma non considerano neppure il tempo: sono infatti completamente atemporali, come se “tutto accadesse nell’istante iniziale”.
I modelli DSGE sono utilizzati dai Ministeri del Tesoro, dal Fondo Monetario Internazionale, dalla Commissione Europea e dalle banche centrali per le loro previsioni economiche. A questi modelli si rimprovera spesso di non aver previsto la crisi: ma il problema è in gran parte diverso e assai più grave. È comprensibile che l’analisi economica non possa mai prevedere esattamente i fenomeni perché le dinamiche del mondo sono dovute a non-linearità. Il vero problema è che questi modelli non possono neppure concepire le crisi finanziarie in quanto non considerano moneta, credito e finanza come fattori indipendenti che incidono attivamente sull’economia reale. Anche i più recenti modelli DSGE, quelli di ultima generazione, sono in effetti “modelli di baratto” mascherati da modelli monetari. Se infatti la variabile monetaria viene aggiunta a posteriori, allora si verificano ulteriori errori logici e concettuali: il denaro, che dovrebbe facilitare il commercio, diventa invece un attrito.
Mentre prima della crisi finanziaria globale il settore finanziario non aveva alcun ruolo nei modelli DSGE, la Grande Recessione del 2008 ha evidenziato queste limitazioni strutturali. Da allora molti aspetti della finanza sono stati incorporati nei modelli DSGE di seconda e successiva generazione. Tuttavia queste “aggiunte” sono risultate ininfluenti perché non hanno risolto il difetto genetico di questi sistemi. Molti dei tentativi per migliorare i primi modelli DSGE si propongono di eliminare le caratteristiche delle “banche di baratto”, ovvero di un sistema bancario concepito come puro intermediario che trasferisce il risparmio dai risparmiatori agli investitori. Jakab e Kumhof (2015) hanno proposto di introdurre nel modello DSGE le banche che creano depositi dal nulla senza però cambiare le basi microeconomiche e atemporali di Arrow e Debreu. Rimangono quindi gli errori logici e le confusioni concettuali che derivano dall’uso delle basi microeconomiche del vecchio modello DSGE.
Si ripete così la storia del sistema tolemaico geocentrico che ha preceduto quello copernicano. Per quanti nuovi epicicli si aggiungano al sistema tolemaico, questo rimane strutturalmente fallace. L’introduzione di “frizioni” monetarie e finanziarie risulta essere un palliativo dal momento che tali “frizioni” sono incompatibili con i concetti fondamentali su cui nella macroeconomia tradizionale si basa il modello matematico AS-AD (Aggregate Supply–Aggregate Demand) utilizzato comunemente per rappresentare l’equilibrio economico nei mercati finanziari, dei beni e del lavoro (come è dimostrato dal teorema di Greenwald e Stiglitz). Il fatto sorprendente, e per molti aspetti assurdo, è che le banche centrali abbiano adottato modelli molto sofisticati di previsione economica che fanno a meno non solo delle banche commerciali ma anche delle stesse banche centrali che hanno promosso questi modelli. Come se le banche centrali non servissero a nulla e fossero completamente neutrali e passive rispetto alle dinamiche economiche. Secondo la tradizione accademica, le banche centrali riescono a controllare la quantità di moneta che circola nell’economia reale grazie al cosiddetto “moltiplicatore monetario”. Questo presuppone che le banche centrali possano controllare strettamente l’offerta di moneta nell’economia reale espandendo l’offerta di moneta creditizia a un multiplo delle loro riserve aggregate. Grazie al moltiplicatore le banche centrali sarebbero in grado di controllare l’ammontare di credito bancario fissando un coefficiente obbligatorio di riserva valutaria che le banche commerciali devono rispettare. Se, per esempio, il coefficiente di riserva fosse del 5%, l’offerta di moneta nell’economia dovrebbe essere venti volte maggiore delle riserve aggregate delle banche. Ma la realtà è molto diversa: infatti le banche centrali non riescono a controllare l’offerta di moneta.
Il credito bancario viene erogato in modo completamente differente: le banche commerciali prima concedono crediti e poi verificano se hanno riserve a sufficienza. Il processo è inverso rispetto alla narrazione mainstream: prima una banca crea moneta (ovviamente solo se è conveniente concedere un nuovo credito in base al rapporto rendimento/rischio) e poi “verifica” se ha riserve sufficienti: qualora non siano sufficienti se le fa prestare dalle altre banche o dalla banca centrale. Se i meccanismi di riserva frazionaria e di moltiplicatore monetario funzionassero veramente, come afferma l’economia mainstream, quando la FED e la Banca Centrale Europea hanno deciso di ridurre i coefficienti di riserva obbligatoria allo zero percento – come è successo non molto tempo fa allora il credito si sarebbe dovuto espandere praticamente all’infinito. Ma ovviamente non è successo così: anzi in Italia, per esempio, il credito si è inizialmente contratto. La realtà è che la banca centrale ha il potere di fissare il tasso centrale di interesse ma che la creazione di moneta e l’erogazione dei crediti vengono decisi dal sistema bancario privato esclusivamente in base alle prospettive di profitto e alla domanda di mercato.
Il saggio di Grazzini spiega dunque che, nonostante le banche centrali abbiano dei compiti di servizio pubblico e abbiano come obiettivo primario la stabilità monetaria, tuttavia difficilmente riescono a gestire il sistema monetario, proprio perché la gestione della moneta nel regime di capitalismo alimenta i debiti pubblici e che genera crisi gravissime e globali.
Come affrontare le crisi? Secondo l’autore le soluzioni non possono essere puramente monetarie: non bastano cambiamenti tecnici a risolvere il problema delle crisi finanziarie. Solo l’introduzione della democrazia economica, a partire dalle banche centrali, può far fare dei passi in avanti decisivi verso soluzioni equilibrate di lungo periodo. Dal momento che il sistema monetario è un bene pubblico, Grazzini propone una soluzione più politica e culturale che tecnica alla crisi del regime attuale e avanza una proposta radicalmente democratica. Propone infatti che le banche centrali vengano gestite dalla Società Civile, in primo luogo dalle organizzazioni dei lavoratori, delle imprese (comprese le banche) e dei consumatori, in collaborazione con le autorità politiche elette democraticamente. Propone inoltre che le nuove monete digitali che tutte le banche centrali del mondo stanno attualmente sperimentando (Central Bank Digital Currencies) siano emesse dalle banche centrali in base a processi deliberativi di democrazia condivisa, e che siano emesse libere dalla schiavitù del debito. Alle banche centrali dovrebbe essere affidato un nuovo e pluralista ruolo economico e sociale da codificare nelle Costituzioni democratiche.
Con l’introduzione delle CBDC le banche centrali potrebbero finalmente aprirsi al pubblico e permettere a tutti, cittadini, imprese ed enti pubblici, di aprire dei conti in moneta digitale legale. Il sistema dei pagamenti, che è un bene pubblico, sarebbe gestito in sicurezza da un ente di servizio pubblico. Nel nuovo mondo delle monete digitali le vecchie politiche di creazione della moneta – sia da parte delle banche centrali (moneta legale) sia da parte delle banche commerciali (moneta bancaria) – potrebbero diventare completamente obsolete. Il sistema aperto delle CBDCs consentirebbe ai governi di non essere costretti a emettere titoli di debito per finanziarsi sul mercato, come accade ora. Il processo di emissione monetaria diventerebbe trasparente e pubblico. Il governo attraverso la sua banca centrale controllata democraticamente dalla società civile potrebbe “stampare denaro digitale” e utilizzarlo per acquistare i beni e i servizi di cui ha bisogno, per effettuare investimenti o per effettuare trasferimenti a privati o imprese. Il sistema dei pagamenti in quanto bene pubblico verrebbe distinto dal sistema privato del credito. Inoltre una forte compagine di banche pubbliche di sviluppo dovrebbe affiancare il complesso creditizio privato.
Le soluzioni proposte dall’autore possono sembrare utopistiche e irraggiungibili: tuttavia esse rappresentano un orizzonte e un traguardo su cui vale certamente la pena riflettere per orientare i programmi di riforma di un sistema, come quello monetario, che oggi mostra tutti i segni di una crisi profonda e forse irreversibile. Vale la pena considerare attentamente queste proposte perché mai come in questi momenti di trasformazione e di crisi democrazia e trasparenza devono essere messe al centro dell’attenzione, anche e soprattutto in campo monetario.
Premessa Il 2022, l’anno terribile della “policrisi”
Il 2022 – l’anno in cui questo libro è stato concluso – sarà sicuramente ricordato nei libri di storia: è un anno spartiacque perché la guerra in Ucraina ha cambiato il corso della geopolitica e dell’economia a livello globale, e purtroppo in peggio. Uno storico dell’economia e della finanza tanto eccellente quanto alla moda, Adam Tooze, afferma che questa è l’epoca della “policrisi”: ovunque si guardi c’è crisi. Crisi dell’Ucraina, minacce di una terza guerra mondiale, crisi della pandemia, crisi del surriscaldamento climatico, crisi energetica, crisi tra Stati Uniti e Cina, crisi dell’inflazione e della stagflazione (inflazione + recessione), crisi dei debiti, crisi delle criptovalute, crisi della sterlina, crisi dell’eurozona, e infine, per ultima ma certamente non da ultima, crisi delle democrazie.
Le crisi ci sono sempre state nella storia umana. Ma, avverte Tooze: «Ciò che rende le crisi degli ultimi quindici anni così disorientanti è che non sembra più plausibile indicare un’unica causa e, implicitamente, un’unica soluzione»1. Il mondo sta diventando sempre più complesso e le crisi sempre più gravi e intrecciate tra loro: le soluzioni sono sempre più difficili da trovare. Fino a qualche anno fa si pensava che tutto si potesse risolvere grazie alle forze del mercato o, al contrario, grazie all’avvento del comunismo: attualmente invece nessuno può onestamente proporre ricette semplici e univoche contro la policrisi. La proposta di questo libro è che per comprendere e affrontare le crisi occorra “seguire la pista del denaro” (follow the money): bisogna quindi innanzitutto partire dalla comprensione della “questione della moneta”. Infatti l’attuale assetto monetario è una delle cause principali delle crisi economiche, politiche ed ecologiche che affliggono la società. Per contrastare le crisi occorre necessariamente comprendere il funzionamento del regime monetario e avviare delle riforme incisive e radicali di questo sistema. La moneta non è una “cosa” come molti credono, ma è un sistema con una sua architettura e un suo meccanismo di funzionamento: questo libro intende spiegare perché il meccanismo attuale della moneta privatizzata è fallimentare e ingiusto. Infatti la moneta privata emessa per profitto – come è l’attuale – produce inevitabilmente più debito che sviluppo e porta a violenti e frequenti crisi finanziarie ed economiche. Sarebbe oltremodo sciocco e presuntuoso affermare che la riforma della moneta sia sufficiente a risolvere tutti i problemi della società, e tuttavia la tesi di questo libro è che essa è indispensabile anche solo per cominciare ad affrontare le molteplici crisi. I soldi non sistemano tutto ma senza un sistema monetario equilibrato ed efficace nulla si può risolvere.
Non solo il 2022 ma anche il 2008 e il 2020 saranno ricordati nei libri di storia. Il 2008 è stato l’anno della più grave crisi del capitalismo dopo quella scoppiata circa ottanta anni prima, nel 1929. La crisi del 2008 è partita in America, nella patria del capitalismo liberale, ed è scaturita dalle truffe inflitte a centinaia di migliaia di famiglie povere a cui sono state vendute case per decine di migliaia di dollari con mutui ipotecari che non potevano permettersi di ripagare (mutui cosiddetti “subprime”). La crisi è partita dalla truffa dei subprime ma è stata ingrandita a dismisura dalla speculazione finanziaria: i mutui subprime valevano complessivamente “solo” qualche centinaio di miliardi di dollari ma la crisi è stata amplificata dai meccanismi speculativi dei mercati finanziari, fino a provocare buchi per parecchi trilioni (migliaia di miliardi) di dollari, il crollo delle maggiori banche d’affari americane, il blocco dei crediti bancari, decine di milioni di disoccupati e la caduta del Prodotto Interno Lordo sia negli Stati Uniti sia in Europa (ma non in Cina). In realtà, il crash dei subprime non è stato tanto un problema di mutui ipotecari quanto una grande crisi della finanza privata occidentale, crisi che poi si è riversata sulle finanze pubbliche. Le banche sono diventate società finanziarie che nella “grande corsa all’oro” hanno cominciato a operare con strumenti altamente speculativi come i titoli derivati (come vedremo in seguito) fino a quando tutto è precipitato in un grande crack e in una grave recessione economica.
La crisi nata in America è stata esportata in Europa e in altre parti del mondo grazie alla libera e incontrollata circolazione dei capitali speculativi: ha portato alla crescita della disoccupazione e dei debiti pubblici anche e soprattutto in Europa. In America come nel vecchio continente le banche e la finanza speculativa, che sono state la causa della crisi, sono state “salvate” con i soldi dei cittadini e con migliaia di miliardi di moneta creata ex novo, come con una bacchetta magica, dalle banche centrali e dai governi. Così la grande finanza ha potuto rimettersi in piedi e ricominciare a operare come prima, dritto verso una nuova crisi. Mentre la disoccupazione non è stata completamente riassorbita e debito, povertà e diseguaglianze sono aumentati.
A sorpresa, la crisi successiva a quella del 2008 non è stata finanziaria ma sanitaria. Il 2020 è stato infatti l’anno di picco della pandemia dovuta alla diffusione del virus Covid-19. La pandemia si è diffusa solo dopo una dozzina d’anni dalla crisi dei subprime e fino a dicembre 2022 ha prodotto oltre 16,7 milioni di morti lasciando una eredità pesante anche sul piano economico: il livello del debito globale è aumentato ancora, innanzitutto nei paesi avanzati, e non è mai stato così elevato nella storia del mondo. I blocchi produttivi dovuti alle misure sanitarie di distanziamento sociale hanno congelato l’economia mondiale per molti mesi, come può accadere solo in tempi di guerra. La disoccupazione è salita ulteriormente fino a diventare ormai un fenomeno strutturale in tutto l’Occidente, e soprattutto in Europa. Praticamente tutti i paesi hanno sofferto prolungati blocchi della produzione e i governi sono dovuti intervenire aumentando enormemente la spesa pubblica e il debito per coprire le spese sanitarie e salvare dal fallimento le aziende e le famiglie. Le banche centrali hanno stampato trilioni di nuova moneta per coprire i deficit di Stato.
Alla fine del 2022 la pandemia sembrava avere già toccato il picco nella sfera occidentale del mondo, anche se potrebbe ripresentarsi sotto altre forme. In Cina la minaccia del Covid-19 stava ancora bloccando molte attività produttive con forti risvolti politici: la drastica strategia di “zero-Covid” e di duro lockdown imposta dal governo del presidente Xi Jinping ha suscitato rivolte e dure proteste. Anche a causa del perdurare dell’epidemia, il debito cinese è cresciuto a livelli record, come mai era accaduto prima.
Ma la Cina non è di certo l’unica nazione fortemente indebitata: a livello globale il debito è pari a oltre tre volte il prodotto mondiale di un anno. Il debito privato è all’incirca il doppio del debito pubblico. L’economia è soffocata dal debito. Sarà impossibile ripagare questo debito mostruoso: molte imprese e molti Stati non riusciranno a sostenerne il peso, cioè a pagare almeno gli interessi. È praticamente impossibile risolvere il problema della crisi del debito senza soluzioni drastiche e radicali e senza avviare forme avanzate di cooperazione mondiale e grandi riforme monetarie. Tuttavia la cooperazione internazionale è evidentemente diventata assai difficile in un periodo caratterizzato dalla guerra in Europa e dal confronto tra le grandi superpotenze.
Il mondo non si era ancora risollevato dalle due gravissime crisi del 2008 e del 2020 quando è scoppiata una crisi ancora più grave, questa volta di tipo militare e bellico. La Russia di Vladimir Putin nel febbraio 2022 ha aggredito l’Ucraina e il conflitto potrebbe sfociare in una guerra nucleare locale o anche globale. La guerra ucraina ha sconvolto il mercato energetico e ha avuto la conseguenza di moltiplicare anche per cinque e più i normali prezzi dell’energia, soprattutto nei paesi europei, e di incrementare in maniera formidabile i prezzi dei cereali e delle materie prime. A causa della guerra in Ucraina, a livello mondiale (Cina a parte) l’inflazione è ripartita con una crescita anno su anno intorno al 10%. I prezzi non scenderanno facilmente, almeno fino a quando non finirà il conflitto e non cesseranno le relative sanzioni occidentali alla Russia.
L’aumento dei prezzi alla fine del 2021, e poi nel 2022, è stato contrastato dalle banche centrali con un aumento del tassodi interesse e quindi con una stretta sul credito e sull’economia. Ha cominciato la Federal Reserve, la banca centrale americana, ad alzare i tassi di interesse con i quali presta denaro alle banche. Il dollaro ha iniziato a volare. Tutte le altre banche centrali hanno dovuto quasi immediatamente seguire la FED e alzare i tassi perché altrimenti i capitali nazionali sarebbero fuggiti in massa verso il dollaro, ovvero presso il sistema finanziario che offriva i rendimenti più elevati. La stretta delle banche centrali ha l’effetto di contrarre l’economia: infatti poiché le banche commerciali devono pagare più caro il denaro che le banche centrali prestano loro, fanno pagare più caro il credito alle aziende e alle famiglie. Il credito bancario perciò tende a diminuire: quindi anche gli investimenti delle imprese e i consumi delle famiglie sono destinati a calare. Gli Stati da parte loro tendono a ridurre le spese pubbliche per non aumentare eccessivamente i loro debiti. Si avvia così un ciclo economico negativo. L’inflazione da guerra, per colpa dei tassi di interesse in aumento e a causa della contrazione dei bilanci pubblici, produrrà prevedibilmente recessione e disoccupazione e, di conseguenza, difficoltà ulteriore a pagare i debiti. I fallimenti pubblici e privati sono destinati ad aumentare, a partire dai paesi più poveri e da quelli più indebitati.
In questo contesto si iniziano anche a percepire con una certa evidenza i primi scricchiolii della gigantesca impalcatura finanziaria che avvolge le economie occidentali. Il mondo è passato all’improvviso da decenni di deflazione – ovvero prezzi fermi o addirittura in discesa – all’inflazione galoppante; da decenni di tassi di interesse a zero a tassi che salgono come raramente avevano fatto in passato; da decenni di materie prime a buon mercato a rincari violenti. Dopo decenni di tassi bassi e liquidità ultra abbondante, il nuovo contesto globale sta facendo saltare tutti gli equilibri finanziari. Le crisi stanno diventando permanenti. Tutti si chiedono quando e come scoppierà la prossima grande crisi finanziaria e l’opinione quasi unanime è che scoppierà presto. Crisi energetica, inflazione, possibile recessione e crisi finanziaria producono una miscela potenzialmente esplosiva. I primi effetti di questo drammatico scenario sono già visibili. Le azioni e le obbligazioni globali hanno perso più di 30 trilioni di dollari nel 2022 a causa dell’aumento dei tassi di interesse e della guerra in Ucraina. L’indice azionario MSCI All-World che comprende i mercati sviluppati e quelli emergenti ha perso un quinto del suo valore nel 2022, il calo maggiore dal 2008. In America l’indice azionario S&P relativo alle 500 principali aziende ha perso il 19% dall’inizio dell’anno, e il Nasdaq, il mercato delle brillanti aziende hi-tech, è sceso addirittura del 33%. Il mondo della finanza è in fibrillazione. Ha guadagnato solo chi ha scommesso sulla crisi dei mercati. Il problema è che la crisi finanziaria non riguarda solo le élite dei ricchi che hanno soldi in eccesso da scommettere sui mercati: colpisce direttamente e pesantemente l’economia, la società e la vita quotidiana delle persone.In Gran Bretagna, nel settembre-ottobre 2022 è bastata una manovra fiscale in forte deficit avviata da un governo conservatore, quello di Liz Truss, per far precipitare la sterlina come mai prima e per mettere in ginocchio l’intero sistema dei fondi pensione. Le pensioni di milioni di lavoratori inglesi potevano scomparire nel giro di pochi giorni nel buco nero della speculazione finanziaria a causa di uno stupido governo ultraconservatore a favore degli ultraricchi. Che cosa è successo per provocare questo caos improvviso e inaspettato in una delle principali economie del mondo? Il governo Truss nel settembre 2022 ha avviato una manovra di decine di miliardi di sterline per sovvenzionare famiglie e imprese di fronte al caro-bollette e, soprattutto, per tagliare miliardi di tasse ai ricchi senza prevedere però alcuna copertura fiscale, cioè effettuando una montagna di debiti. Ma i mercati finanziari hanno rifiutato di sostenere il deficit governativo e quindi hanno fatto cadere bruscamente il prezzo dei titoli di Stato inglesi (i gilts) con i quali viene finanziato il debito pubblico. Il valore della sterlina è franato. La caduta dei gilts ha rischiato di trascinare nel baratro i fondi pensione. Infatti i manager dei fondi pensionistici privati avevano comprato da grandi società finanziarie, come Legal and General Investment Management, Insight Investment e soprattutto l’americana BlackRock – la più grande società finanziaria del mondo che gestisce un patrimonio di circa 10 trilioni di dollari – dei titoli altamente speculativi (i cosiddetti “derivati”) che derivano il loro valore da quello dei titoli di Stato, i gilts. I soldi dei pensionati sono stati giocati in titoli derivati altamente speculativi nella roulette della finanza. Il problema è che i manager delle pensioni hanno acquistato questi derivati versando (come si usa nel mercato dei derivati) solo un piccolo anticipo sul totale, il cosiddetto “margine” e facendosi prestare da BlackRock il resto dei soldi. Quando i gilts sono bruscamente scesi di valore, le società finanziarie hanno chiesto ai fondi pensione di coprire subito la loro posizione sui derivati e di aumentare il margine (margin call). I fondi pensione, per recuperare i soldi e pareggiare l’improvviso deficit di qualche decina di miliardi, hanno dovuto vendere in massa sul mercato i loro titoli per fare cassa, e hanno ceduto quelli fino a quel momento più pregiati e sicuri, cioè i titoli del Tesoro inglese, ovvero i gilts. La vendita in massa ha però provocato un’ulteriore caduta dei prezzi dei gilts e la conseguente richiesta di ulteriore copertura: alla fine i fondi pensione, di fronte a questa spirale perversa, si sono trovati in pochi giorni sull’orlo del fallimento. Bank of England (BoE) –
BIBLIOGRAFIA
Questo libro non è solo e tanto il frutto di un’elaborazione individuale ma, come tutte le “invenzioni”, è nato “sulle spalle di giganti”, e in questo caso di giganti come i grandi economisti classici, quali John Maynard Keynes, Hyman Minsky, Karl Marx, molti altri economisti e studiosi contemporanei come Joseph Stiglitz, Wolfgang Streeck, Adam Tooze, Michel Aglietta, la studiosa dei beni comuni Elinor Ostrom e altri Maestri del passato, come il grande storico Fernand Braudel e il sociologo Max Weber. Una bibliografia sui temi trattati in questo libro, ovvero sulla Moneta, il sistema Bancario e Finanziario, il Debito, le Crisi, sarebbe ovviamente sterminata e dunque poco utile per i lettori. Tuttavia mi sembra opportuno riportare di seguito una breve e incompleta selezione di libri relativamente recenti che più mi sono stati utili per la scrittura di questo saggio, e che consiglio per approfondire gli argomenti qui trattati.
- Admati, Anat – Hellwig, Martin, I vestiti nuovi dei banchieri, trad. di Matteo Vegetti, Milano, Franco Angeli, 2016.
- Boyer, Robert – Dehove, Mario – Plihon, Dominique, Les crises financières, La Documentation Française , 2004.
- Botta, Alberto et al., Inequality and Finance in a Rent Economy,
- Greenwich Politicai Economy Research Centre (GPERC).
- Betbèze Jean-Paul et al., Banques centrales et stabilité financière, La Documentation Française, 2011.
- Brown, Ellen, Banking on thè People, Democracy Collaborative, 2019.
- – ,The Public Bank Solution, Third Millennium Press, 2013.
- -, Web of Debt, Third Millennium Press, 2008.
- Carré, Emmanuel et al., Central Banking After the Crisis, Centre d’économie de la Sorbonne, 2013.
- Chesnais, Francois – Plihon, Dominique, Les pièges de la finance mondiale, La Découverte, 2000.
- Delli Gatti, Domenico – Gallegati, Marco – Gallegati, Mauro. Macroeconomia. Fatti teorie, politiche, Giappichelli, 2020.
- Dyson, Ben – Jackson, Andrew, Modernising Money, Positive Money, 2014.
- Felber, Christian, Money: The New Rules of the Game», International Publishing AG, 2017.
- Forges Davanzati, Guglielmo, “La teoria marxiana del debito pubblico”, in «Democrazia e Diritto», 2019, n. 2, pp. 131
- Gallegati, Mauro, Il mercato rende liberi e altre bugie del neoliberismo, LUISS University Press, 2021.
- Gallino, Luciano, Il denaro, il debito e la doppia crisi, Torino Einaudi, 2015.
- -, Finanzcapitalismo, Torino, Einaudi, 2011.
- -, Con i soldi degli altri, Torino, Einaudi, 2010.
- Graeber, David, Debito. I primi 5000 anni, trad. it. Di Luca Larcher e Alberto Prunetti, Milano, Il Saggiatore, 2012.
- Greenham, Tony et al., Where Does Money Come From?, New Economics Foundation, 2014.
- Ingham, Geoffrey, Il capitalismo, trad. it. di Vincenzo Crupi e Roberta Ghivarello, Torino, Einaudi, 2011.
- -, La natura della moneta, trad. it. di Fabrizio Saulini, Roma, Fazi Editore, 2016.
- Huber, Joseph, The Monetary Turning Point, Palgrave Macmillan, 2023.
- -, Sovereign Money, Springer International Publishing, 2016.
- Hudson, Michael, The Destiny of Civilization, Islet-Verlag, 2022.
- -, Finance as Warfare, College Publications, 2015.
- -, The Bubble and Beyond, ISLET, 2014.
- -, The Monster, Henry Holt and Company, 2010.
- -, Trade, Development and Foreign Debt, ISLET, 2009.
- -, Killing the Host, PublicAffairs, 2008.
- -, Global Fracture, Pluto Press, 2005.
- -, Super Imperialism, Pluto Press, 2003.
- Kay, John, Other People’s Money: The Reai Business of Finance, PublicAffairs, 2015.
- Mellor, Mary, Money, Myths, Truths and Alternatives, Policy Press, 2019.
- -, Debt Or Detnocracy, Pluto Press, 2016.
- -, The Future of Money, Pluto Press, 2010.
- Pettifor, Ann, Il Green New Deal, trad. it. di Thomas Fazi, Roma, Fazi Editore, 2020.
- -, The Production of Money, Verso Books, 2017.
- —, Just Money, Commonwealth Publishers, 2015.
- -, The Corning First World Debt Crisis, Paigrave Macmillan, 2006.
- Plihon, Dominique, La rnonnaie et ses mécanismes, La Découverte, 2022.
- -, Le nouveau capitalisme, La Découverte,’ 2009.
- Rochon, Louis-Philippe – Rossi, Sergio, a cura di, Elgar Encyclopedia of Post-Keynesian Economics, Edward Elgar pub, 2023.
- -, a cura di, An Introduction to Macroeconomics, Edward Elgar pub, 2021.
- -, a cura di, A Modem Guide to Rethinking Economics, Edward Elgar pub, 2017.
- -, a cura di, The Encyclopedia of Central Banking, Edward Elgar, 2015.
- Wolf, Martin, The Crisis of Deniocratic Capitalism, Penguin Books Limited, 2023.
- -, The Shifts and thè Shocks, Penguin Books Limited, 2014.
- Werner, Richard, A Conversation About Economics. Createspace Independent Publishing Platform, 2013.
- Zarlenga, Stephen, The Lost Science of Money, American Monetary Institute, 2002.
RECENSIONI
Luigi Pandolfi Per una moneta “bene comune” 26-09-2023
TESTO
A partire dall’ultima grande crisi finanziaria del 2007-2008 è cresciuto, sia dentro che fuori l’ambito accademico, l’interesse per la moneta e la sua fenomenologia moderna, e ovviamente per il ruolo delle banche centrali, il cui protagonismo, attualmente, è dato soprattutto dalla cosiddetta “lotta all’inflazione”, a sua volta concepita, dogmaticamente, come un fenomeno monetario. Ma la moneta, oggi, da dove viene? Sono tanti, tra gli economisti accademici e non, quelli che hanno cercato di dare risposte esaustive a questa domanda negli ultimi anni. Ci prova, riuscendovi bene, anche Enrico Grazzini nel suo Il fallimento della moneta. Banche, debito e crisi. Perché bisogna emettere una moneta pubblica libera dal debito (Fazi, 2023), indicando per di più una via d’uscita per il superamento delle attuali criticità del sistema.
Intanto, ricorda l’autore, bisogna distinguere tra banconote, riserve e moneta bancaria. Le prime due sono emesse dalle banche centrali, mentre la terza, che costituisce l’80% del denaro in circolazione, è costituito da depositi che le banche private creano erogando prestiti a cittadini e imprese. La quasi totalità del denaro in circolazione, creato dal nulla, è dunque credito delle banche e debito per chi lo riceve. Ma se il denaro può essere creato all’infinito, come mai «milioni di persone soffrono la fame perché non hanno abbastanza denaro per acquistare cibo»? Perché la distribuzione della moneta è una questione politica: attraverso di essa si cerca di regolare i conflitti sociali.
E le banche centrali? Sono essenzialmente banche delle banche commerciali. Queste ultime, in competizione tra loro, fanno credito per fare profitti, non per sostenere l’economia e finanziare valori d’uso sociali. «Non allocano nella maniera migliore le risorse monetarie, né tendono all’equilibrio», sottolinea Grazzini. Fino a quando il giocattolo non si rompe, come è accaduto con la crisi dei mutui americani. Le banche non sono di aiuto per uscire dalle crisi, piuttosto «ne costituiscono il principale fattore». Ma il money-for-profit, è la conclusione dell’autore, «comporta strutturalmente l’inasprimento delle diseguaglianze e la concentrazione della ricchezza presso l’1% della popolazione, il finanziamento delle industrie fossili oligopoliste, la pro-ciclicità del credito privato (boom and burst, prosperità e depressione), e spinge le banche – a causa della competizione spasmodica e della ricerca del massimo profitto nel più breve tempo possibile –, a finanziare soprattutto attività immobiliari e finanziarie che promettono di procurare grandi plusvalenze in tempi brevi. Da qui la tendenziale trasformazione degli istituti di credito in società finanziarie, e quindi la creazione di enormi quantità di moneta-scommessa, di capitale fittizio, ovvero la creazione di mercati puramente speculativi e fondati sul debito che mandano in rovina l’economia reale (come i derivati, le criptovalute e gli eurodollari)».
Le periodiche crisi finanziarie «sono dunque endogene» al sistema. Anche per questo è necessario cambiare la missione delle banche centrali. È il momento di ripensare alla loro “indipendenza” (che è “dipendenza” dai mercati e dagli interessi della speculazione), restituendo alla moneta una sua funzione, per così dire, “sociale”, in quanto “bene comune”.
L’ultima parte del lavoro di Enrico Grazzini è un programma di riforma del sistema monetario. Limitare i movimenti di capitale e deglobalizzare la finanza, innanzitutto. Ma il sistema monetario non dovrebbe essere monopolio dello Stato, che pure dovrebbe liberarsi dall’abbraccio mortale con i mercati, monetizzando il proprio debito (finanziamento della spesa pubblica con moneta libera dal debito). La soluzione prospettata ricalca quella del cosiddetto Chicago Plan, il piano elaborato negli anni Trenta da un gruppo di economisti dell’omonima città statunitense, tra cui Irving Fisher. Separare l’attività creditizia dalla creazione ex nihilo di moneta. Le banche per prestare il denaro devono averlo, la riserva deve essere del 100%. Mentre la creazione di moneta, libera dal debito, dovrebbe avvenire democraticamente. Le banche centrali dovrebbero essere controllate dalle associazioni dei lavoratori, degli imprenditori, dei consumatori e delle parti sociali. Dovrebbe essere la società civile a stabilire, in base ai suoi bisogni reali, la produzione e la distribuzione di moneta. Utopia? Grazzini è consapevole che qualsiasi riforma del sistema monetario è destinata a incontrare una resistenza durissima da parte dei “padroni della moneta”. Troppo alta è la posta in gioco, ci sono di mezzo interessi colossali. Ma l’alternativa è un mondo sempre sull’orlo di crisi che sfociano in catastrofi sociali. Le banche e il sistema bancario “ombra” (shadow banking) provocano le crisi, che vengono sanate dalle banche centrali portando il conto ai cittadini. È quello, ad esempio, che è accaduto in Europa con la cosiddetta “crisi dei debiti sovrani” nel 2011-2012.
Resta, nondimeno, un interrogativo. Il sistema capitalistico è, come ci hanno insegnato da Marx a Keynes, un’economia monetaria. Nondimeno, è sufficiente cambiare l’architettura del sistema monetario per rovesciarne radicalmente il segno? Le questioni affrontate nel libro di Enrico Grazzini sono di fondamentale importanza. Ma una società diversa da quella capitalistica presuppone soprattutto un cambiamento nei rapporti di produzione e la fine della separazione tra chi detiene i mezzi di produzione e chi vende la sua forza-lavoro, intellettuale o manuale che sia. E Grazzini questo aspetto non lo trascura: «Karl Marx aveva ragione: la radice delle disuguaglianze nasce dalla struttura dei rapporti produttivi e sociali e deriva essenzialmente dalla disparità di potere economico, e quindi dalla diseguaglianza crescente tra redditi di lavoro e redditi da capitale», ma «non vi è alcun dubbio che le disuguaglianze originate nell’economia reale siano enormemente amplificate dal sistema bancario e finanziario».
Guglielmo Forges Davanzati Micromega 12 Luglio 2023
TESTO
Il fallimento della moneta. Banche, debito e crisi
Questo di Enrico Grazzini è un libro che farà discutere, dal momento che ha il fondamentale merito di decostruire le opinioni più sedimentate (e più false o irrealistiche) che circolano sul funzionamento della moneta e dei mercati finanziari; opinioni che, purtroppo, sono alla base dei principali modelli previsionali delle Banche centrali e che orientano anche nel breve periodo le loro decisioni.
L’obiettivo del libro, Il fallimento della moneta. Banche, debito e crisi, come si legge nella Premessa (p.4), è mostrare che “il meccanismo attuale della moneta privatizzata è fallimentare e ingiusto”. L’autore, Enrico Grazzini, noto giornalista economico, rileva correttamente che, a fronte della c.d. policrisi richiamata da Adam Tooze (policrisi per la quale le economie contemporanee non dispongono più di uno strumento unico per risolvere la molteplicità di problemi che fronteggiano), è forse opportuno to follow the money, cioè, partire dall’analisi dei meccanismi di produzione del credito, per giungere a implicazioni di politica economica finalizzate a renderli più efficaci e più democratici.
La tesi del libro – estremamente denso di informazioni, tutte estremamente utili – è così riassumibile. In primo luogo, la finanziarizzazione rende la sfera politica subordinata alla finanza. Le economie contemporanee, viene osservato, sono trainate da rapporti di debito (essenzialmente debito privato), che crescono in modo esponenziale e che sono alla radice di crisi continue. La sfera politica è subordinata alla finanza dal momento che, dopo la separazione (il “divorzio”) fra Banche Centrali e Governi negli anni Ottanta – la spesa pubblica in eccesso rispetto al gettito fiscale viene finanziata con l’acquisto di titoli di Stato da parte degli operatori dei mercati finanziari. In secondo luogo, la finanza sottrae risorse a impieghi più produttivi e socialmente più meritori, come la scuola, la sanità, la ricerca scientifica. In più, il debito, storicamente, è associato alle guerre (p.326). Ne deriva una importante implicazione politica: sarebbe più razionale, e più conforme ai valori democratici, consentire alle banche centrali di “monetizzare” i deficit, con assetti decisionali basati sulla partecipazione democratica alla decisioni da parte della società civile, così sottraendo potere economico e politico ai mercati finanziari e rendendo più stabili e più efficienti i sistemi economici: si arriverebbe, così, a una moneta pubblica libera dal debito.
Questo libro si muove nel solco della migliore tradizione keynesiana, attingendo a contributi rilevanti nella Storia del pensiero economico (da Schumpeter a Minsky a Wicksell) e nel pensiero economico italiano del Novecento (a partire da Augusto Graziani). Il punto di partenza dell’analisi di Grazzini consiste nella constatazione per la quale l’offerta di moneta è endogena, ovvero non occorre una preventiva raccolta di risparmi da parte del settore bancario per l’erogazione di credito a imprese e famiglie. L’autore trae una implicazione essenziale da questo riscontro: le attività finanziarie, incluse quelle delle banche, sono il principale fattore di instabilità del sistema capitalistico contemporaneo.
L’ipotesi di Grazzini non è solo una sfida logica interna al mondo accademico: è, prima di tutto, un’ipotesi che consente di ragionare sul realismo dei modelli macroeconomici, laddove si evidenzia il fatto che quelli neoclassici – in particolare, nella variante dei DSGE (Dynamic Stochastic General Equilibrium) – non incorporando né moneta né tempo, sono incapaci non solo di prevedere, ma neppure di analizzare le crisi finanziarie. Il 95% della moneta esistente è creato dalle banche private, a fronte del 5% di banconote la cui esistenza si deve all’emissione da parte della Banca Centrale.
La fondamentale scoperta di Grazzini consiste nel rilevare che il comportamento del sistema monetario, in un ambiente competitivo e deregolamentato, è non solo anarchico ma caotico: diverge, cioè, sistematicamente dai punti di equilibrio e genera crisi ricorrenti. Ciò a ragione del fatto che il controllo degli aggregati monetari, di fatto, è lasciato ad operatori privati, nella sostanziale impossibilità di una loro efficace gestione da parte delle Banche Centrali.
La proposta dell’autore – rendere democratica la gestione della politica monetaria – potrebbe essere letta come pura utopia, ma si tratta – a ben vedere – di un corollario inevitabile rispetto all’analisi delle fonti di instabilità sistematiche che caratterizza l’attutale controllo del sistema. Per Grazzini (p.393), la realizzazione della proposta non è tecnicamente né giuridicamente lontana. Si tratta di rendere operativi, accelerandone la funzionalità, le Central Bank Digital Currencies, con emissione di moneta da parte delle banche centrali nei conti correnti del pubblico. A pp.366 ss, Grazzini dà conto della sua peculiare proposta di Banche Centrali gestite dalla società civile.
Questo di Grazzini è un libro che farà discutere, dal momento che ha il fondamentale merito di decostruire le opinioni più sedimentate (e più false o irrealistiche) che circolano sul funzionamento della moneta e dei mercati finanziari; opinioni che, purtroppo, sono alla base dei principali modelli previsionali delle Banche centrali e che orientano anche nel breve periodo le loro decisioni.
Marco Pondrelli 15-7-23 www.marx21.it
TESTO
Il libro di Enrico Grazzini è compreso in due frasi, la prima la scrive Mauro Gallegati nell’introduzione: ‘uno dei meriti del lavoro di Enrico Grazzini è quello di concentrare l’attenzione sulla pressoché completa autonomia delle attività finanziarie rispetto a quelle reali’ [pag. XVIII], la seconda la si trova verso la fine del libro quando lo stesso Autore scrive: ‘la tesi finale di questo libro è che per uscire dalla crisi occorre prima di tutto realizzare un sistema monetario democratico’ [pag. 378].
Il primo tema che viene messo a fuoco è quello della privatizzazione della moneta, la moneta viene creata alle banche, non solo dalla banca centrale, le quali quando concedono un prestito creano moneta dal nulla. Le innumerevoli crisi degli ultimi decenni sono figlie della mancanza di un controllo democratico sulla creazione di moneta, perché, come mette in evidenza l’Autore che deve molto nello sviluppo delle sue idee a Luciano Gallino, ‘una tesi forte di questo libro è che la finanza speculativa costituisce il maggiore punto debole e di crisi del capitalismo occidentale e può rappresentare la causa principale della possibile prevalenza del “socialismo di mercato” cinese’ [pag. 24]. Questa affermazione è convalidata dall’andamento economico degli ultimi anni, fino al 1971, ovverosia durante la durata degli accordi di Bretton Woods, non vi sono mai state crisi sistemiche che invece si sono sviluppate successivamente, scrive Grazzini ‘dal 1975 in poi ci sono state 147 crisi bancarie, 218 crisi valutarie e 66 crisi di finanziamento di un paese’ [pag. 22]. Difficile non essere d’accordo con l’Autore quando dice che il vero nemico del capitalismo non è la Cina comunista ma il caos della finanza [pag. 224].
Molte pagine del libro sono dedicate alle analisi dei limiti di questo sistema, con un divario sempre più crescente fra economia reale ed economia di carta, un’economia quest’ultima che moltiplica gli strumenti finanziari per speculare su uno stesso prodotto, un po’ come se un privato cittadino ipotecasse più volte la sua casa con banche diverse… Il libro tocca ed esamina anche lo scandalo LIBOR, un passaggio molto interessante, quando questo scandalo scoppiò i giornali italiani erano concentrati sulle spese pazze della politica, tema certamente interessante ma se sul piatto delle bilancia si mettono gli scontrini per i quali non c’era diritto al rimborso e i tassi d’interesse che si pagano per i mutui, che si scoprì essere stati manipolati dalle banche per facilitare le loro operazioni, si capisce come la vita delle persone comuni fosse più toccata da questo secondo punto.
La privatizzazione della moneta ha reso la politica vassalla della finanza, solo poche grandi banche sono primary dealer cioè hanno il diritto di acquistare titoli di Stato sul mercato primario, questo spiega la frase che viene pronunciata dopo qualsiasi atto economico di un governo: ‘vedremo come reagiranno i mercati’. In realtà i mercati non sono entità astratte ma sono ‘politicamente orientati’, altrimenti non si capirebbe perché fino a poco prima della crisi del 2008 i titoli che di lì a poco sarebbero diventati spazzatura, nel senso vero della parola, fossero considerati sicuri. Sono gli stessi mercati che credevano nell’austerità espansiva, un ossimoro che ha prodotto solo disastri e povertà.
La domanda che l’Autore si pone e pone a noi lettori alla fine del libro è se questo sistema è riformabile, risponde Grazzini ‘il capitalismo sembra paralizzato, impotente di fronte ai suoi squilibri strutturali, è incapace di auto riformarsi’ [pag. 329]. Personalmente sono convinto dell’irriformabilità di questo sistema che oltre ad essere irriformabile non è neanche sostenibile (anche da un punto di vista ambientale come l’Autore nota). Questa analisi mi porta a dire che il sistema finanziario è destinato a crollare, però non vedo all’orizzonte l’alternativa ‘socialismo o barbarie’, dal crollo potrebbe nascere anche un patto ‘neo-keynesiano’ orientato più alla produzione e meno alla finanza, ma qui siamo nel campo delle congetture. A questo sistema va contrapposto quello cinese, che non ha fatto proprio, come qualcuno anche a sinistra dice, il neoliberismo. Pur avendo problemi, che nel libro vengono sviscerati, la Cina non ha trasformato la propria economia in carta mantenendo invece una forte manifattura.
Come già detto la tesi del libro è che sia necessaria una democratizzazione della moneta, chi obbietta che questo potrebbe portare a più inflazione e più debito, perché le scelte economiche sarebbero piegate al consenso ricercato dai politici, deve guardare la storia che abbiamo alle spalle che, nei Trenta Gloriosi, non ha prodotto debito insostenibile così come non ha prodotto un’inflazione insostenibile. La vera domanda a cui il mondo dovrà rispondere è come trasformare la nostra economia torcendola verso un approccio produttivo, limitando il ruolo della finanza nello stesso momento in cui arrivano, o sono già arrivati, molti nuovi protagonisti sulla scena mondiale (Cina, India, Brasile, Iran…). La risposta starebbe in una nuova Bretton Woods, la quale però fu figlia della imminente fine della Seconda Guerra mentre oggi il mondo sembra avere intrapreso la strada inversa.
Luca Ciarrocca Il Fatto Quotidiano
TESTO
Le banche centrali sono fuori dalla Carta: una proposta utopistica contro il fallimento della moneta
Le banche centrali sono un tema tabù, quasi nessuno ha il coraggio di parlarne seriamente e con il corretto approccio economico-politico, senza ricorrere ai facili slogan propagandistici, marca del governo Meloni, i cui ministri se la prendono con Christine Lagarde quando la Bce aumenta i tassi. La grandissima maggioranza dei cittadini/elettori percepisce la materia come ostica, poco praticabile, sui social vuoto pneumatico, e la conseguenza è che i banchieri centrali continuano a esercitare il loro immenso potere, simil autocratico, quasi anticostituzionale.
Una felice eccezione al trend di acquiescenza generale e menefreghismo sui temi monetari è un nuovo libro scritto da Enrico Grazzini: Il fallimento della moneta (Fazi Editore). Con argomenti molto convincenti, l’autore si pone alla testa del drappello dei pochissimi (scusate se mi ci metto, dal mio “I padroni del mondo” in poi) che hanno l’ardore e la sfrontatezza di criticare la presunta “indipendenza” delle banche centrali.
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Si parte dalla constatazione che Federal Reserve e Banca Centrale Europea, le più potenti del capitalismo occidentale, nonostante la loro fondamentale importanza e influenza sul sistema economico, non sono neppure previste dalle Costituzioni nazionali. Già, eppure la loro politica monetaria può contribuire a sviluppare l’economia o al contrario a raffreddarla o addirittura a soffocarla. Il loro potere è enorme per un motivo: hanno il monopolio dell’emissione della moneta legale. Peccato che lo Stato democratico e sovrano cedendo questo potere a una banca pseudo “indipendente” si fidi di un organismo completamente extra costituzionale. Non a caso i critici dell’indipendenza della Federal Reserve sottolineano che la Costituzione degli Stati Uniti non fa alcun riferimento a una banca centrale.
Anche la Costituzione italiana non prevede la banca centrale, mentre statuisce in modo generico che “Lo Stato ha legislazione esclusiva sulla moneta” anche se “nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali” (art. 117). A maggiore ragione questo ragionamento vale per la Bce, un organismo previsto da trattati intergovernativi, non eletto e che – dal momento che gli azionisti sono le 19 banche centrali dell’Eurosistema – non riporta e non subisce controlli di un governo nazionale, e men che mai del Parlamento Europeo o della Commissione.
Questa situazione – scrive Grazzini – non rappresenta un “deficit democratico”, è ben di più di un deficit: è un grave vulnus alla democrazia. Il banchiere centrale ha acquisito un potere quasi monarchico senza che ci sia nessun vero contropotere di riequilibrio e di controllo. Un’autorità immensa scoordinata dal sistema liberale di check and balances che caratterizza, o dovrebbe caratterizzare, le moderne democrazie.
Vogliamo poi ricordare che negli anni recenti le politiche monetaria di Fed e Bce sono state sempre più inefficaci, se non fallimentari? Dopo la Grande Crisi Finanziaria del 2008 non sono riuscite a combattere le tendenze deflazionistiche, nonostante la “droga monetaria” elargita a suon di trilioni di dollari e euro “stampati” dal nulla a tassi zero. In seguito, da quando è scoppiata l’inflazione, proprio per il folle eccesso di alleggerimento monetario, dopo la crisi del Covid e l’invasione russa dell’Ucraina, le banche centrali sono state incapaci di frenare il furioso e prevedibile aumento dei prezzi, l’inflazione così è schizzata ai massimi di 40 anni fino al 10 per cento e oltre (per i prodotti alimentari ancora oggi è al 10%).
Con “Il fallimento della moneta” Grazzini propone che siano la società civile e le sue organizzazioni a gestire il sistema monetario. Il problema di fondo è che finora la società civile e le parti economiche sono state tagliate fuori dal processo di creazione della moneta, per cui il sistema monetario è rimasto da decenni un “affare privato” tra banche centrali e sistema bancario (la moneta, come è noto, è creata dal nulla dalle banche commerciali quando concedono nuovi crediti a privati, famiglie e imprese; infatti il 97 per cento della moneta circolante è elettronica).
Il debito è di conseguenza la prima causa delle crisi economiche e finanziarie che a cicli alterni devastano l’ordine capitalistico (boom and burst, prosperità e depressione) soprattutto perché spinge le banche – competizione spasmodica e ricerca del massimo profitto – a finanziare soprattutto attività immobiliari e finanziarie che permettono soldi facili e subito. Bolle che inevitabilmente poi scoppiano. Da qui la creazione di enormi quantità di moneta-scommessa, di “capitale fittizio”, con la conseguente creazione di mercati speculativi fondati sul debito che mandano in rovina l’economia reale (i derivati, le criptovalute, i CDS, gli swaps, eccetera) con nessun riguardo per l’occupazione, la creazione di nuovi posti di lavoro, le nuove opportunità di sviluppo.
Sull’altro piatto della bilancia c’è l’aumento esponenziale delle diseguaglianze sociali e la concentrazione della ricchezza nelle mani dell’1 per cento dei grandi ricchi, lo strapotere di mega aziende oligopolistiche e delle multinazionali globali.
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Non accadrebbe nulla di tutto ciò, scrive Grazzini nel suo bel libro, se gli Stati emettessero una moneta pubblica libera dal debito. La proposta di questo saggio è – diciamolo – clamorosamente utopistica e Lagarde si guarderà bene dal seguirne i consigli. Ma prenderà nota, perché è utile a dar fiato a un serio dibattito impostato su una radicale critica delle banche centrali. La guida di Fed e Bce non dovrebbe essere affidata né allo Stato centralizzatore e burocratico, né ai mercati né ai tecnocrati, ma alle parti economiche e sociali direttamente interessate al bene comune della moneta, cioè alle associazioni dei lavoratori, degli imprenditori e dei consumatori. Il sistema monetario è un “bene comune” che la società civile deve gestire democraticamente, e questo dovrebbe essere sancito in Costituzione: non si può delegare tale spropositato potere a un manipolo di persone che non rispondono a nessuno.
Infine le banche centrali dovrebbero aprirsi al pubblico sfruttando l’opportunità legata all’avvento delle monete digitali, le Central Bank Digital Currencies. Così la moneta digitale potrebbe arrivare direttamente sui conti bancari di famiglie, imprese e enti pubblici, in modo più semplice e trasparente. Progetto come ovvio combattuto dal sistema bancario privato. Eppure, se una moneta pubblica assumesse il ruolo che merita, eviteremo future crisi finanziarie sistemiche. La funzione monetaria verrebbe separata dalla funzione creditizia. Le banche private non potrebbero più creare moneta a loro piacimento (troppo credito nelle fasi di boom, troppo poco durante i periodi di crisi) ma funzionerebbero da intermediarie indispensabili tra risparmio e investimenti.
Inoltre gli Stati potrebbero finanziare in maniera più diretta e trasparente i beni comuni indispensabili per la società (infrastrutture di base, trasporto, sanità, istruzione, sicurezza, ricerca) e recupererebbero quella sovranità monetaria oggi traslocata in toto ai mercati finanziari, per loro natura volatili e speculativi. Non sarebbe un ottimo sistema per combattere e correggere le peggiori e più dannose degenerazioni del capitalismo malato di iperliberismo?
Cristina D’Amicis 15-7-23 www.today.it
TESTO
L’INTERVISTA
“Stavamo meglio quando i tassi d’interesse erano fissi”
Tutti i problemi dell’attuale sistema monetario “non democratico, ingiusto e insostenibile” secondo Enrico Grazzini, autore del libro “Il fallimento della moneta”
Le banche centrali continuano ininterrottamente ad alzare i tassi d’interesse per contrastare l’inflazione, andando involontariamente a colpire imprese e famiglie alle prese con finanziamenti e mutui sempre più inaccessibili. Secondo Enrico Grazzini, autore del libro “Il fallimento della moneta” edito da Fazi Editori, si stava meglio quando i tassi d’interesse erano fissi, ovvero nei cosiddetti trenta gloriosi (1945-1975), i trenta anni del dopoguerra, quelli dopo gli accordi di Bretton Woods. Perché? Perché il sistema monetario con la globalizzazione è diventato instabile, è sempre più soggetto a crisi finanziarie che vanno a colpire non solo l’economia e le imprese ma soprattutto le fasce più deboli della popolazione. Proviamo a capire meglio la sua teoria, definita da lui stesso “radicale, non perché estremista ma perché va alla radice del problema”.
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Gli effetti (devastanti) della globalizzazione sulla finanza
Nei trenta gloriosi, i trent’anni del dopoguerra, non c’è mai stata nessuna crisi sistemica, perché il sistema di Bretton Woods regolava strettamente i movimenti dei capitali e i cambi erano fissi, ha spiegato in un’intervista a Today Enrico Grazzini, autore del libro “Il fallimento della moneta” edito da Fazi Editori. Il capitalismo è cresciuto esponenzialmente, c’è stato il miracolo economico italiano, la ricostruzione del Giappone e dell’economia tedesca. Grazie ai cambi fissi i capitali speculativi non potevano circolare e quindi c’era una certa stabilità. Negli ultimi decenni, invece, abbiamo assistito a crisi finanziarie cicliche.
Tutto è cambiato a partire dal 15 agosto del 1971, da quando il presidente americano Richard Nixon annunciò che il dollaro non sarebbe stato più convertibile e rimborsabile in oro. Il sistema è saltato, i movimenti di capitali hanno provocato la cessazione dei cambi fissi, creando turbolenza finanziaria. Così è nata la grande finanza, quella globalizzata, divenuta oramai incontrollabile.
L’esempio vincente della Cina
Da allora le crisi si sono moltiplicate e sono diventate ricorrenti, ha raccontato Grazzini specificando che solo la Cina è riuscita a scamparle tutte. Negli anni la Repubblica popolare cinese ha sempre seguito un percorso di grande sviluppo perché è sempre riuscita a controllare la moneta e il movimento dei capitali in entrata e in uscita, registrando tassi di sviluppo paragonabili a quelli dell’Europa e del Giappone nel dopoguerra.
“Il sistema va deglobalizzato”, ha dichiarato Grazzini sottolineando che “controllare la finanza è importante, perché quando si dà libera circolazione ai capitali non si ha più il controllo di nulla”. Da non sottovalutare poi il ruolo che le monete digitali potrebbero avere in futuro, vediamo perché.
“L’attuale sistema monetario non è democratico”
Le grandi società digitali del web, Facebook, Apple, Amazon, Alibaba, solo per citarne alcune, hanno cominciato a emettere valute digitali private che spaventano molto le banche centrali nazionali. A loro volta queste ultime, compresa la Bce, hanno cominciato a sperimentare monete digitali proprie per non mettere a repentaglio la sovranità nazionale monetaria degli Stati. Secondo Grazzini si tratta di un’occasione importante, perché con le monete digitali le banche centrali potrebbero aprirsi al pubblico, evitando l’intermediazione delle banche che di fatto rende il sistema monetario attuale “ingiusto e insostenibile”.
Pochi lo sanno ma oltre il 90 per cento della moneta viene creata dal nulla dalle banche commerciali per il loro profitto. Gli istituti di credito privati creano moneta fittizia, totalmente equiparata alle banconote di Stato, tramite i crediti. Lo fanno “con un’operazione assolutamente legale e legittima”, ci tiene a precisare il giornalista economico, sottolineando però che così l’attuale sistema monetario dipende totalmente dalle regole del profitto privato. “Un sistema basato sul profitto crea gravi disuguaglianze, perché le banche private concedono crediti a basso costo a chi offre più garanzie e finanziamenti ad alto costo a chi ne ha meno”. Da considerare poi che nei periodi più difficili, quando c’è maggiore bisogno di denaro nell’economia, le banche commerciali lesinano sul credito per non rischiare, nei periodi migliori concedono più finanziamenti del dovuto creando surplus di debito. “Questo è un difetto genetico del sistema monetario, che tende ad amplificare i boom ma anche i crack”. Un sistema del credito di questo tipo, basato sulla privatizzazione della moneta – spiega l’autore del libro – non solo non è democratico ma diventa un fattore di instabilità. In poche parole, “il sistema finanziario è il principale fattore di crisi dell’economia reale” in grado di generare disoccupazione e povertà.
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Monete digitali: chance per riconsegnare alle banche centrali la sovranità monetaria
Con l’avvento delle monete digitali “c’è l’opportunità di rinazionalizzare la moneta e di aprirla a tutto il pubblico, alle famiglie, alle imprese, agli enti pubblici, senza l’intermediazione delle banche”, ha dichiarato Grazzini ricordando che la moneta è un bene pubblico e che le banche centrali hanno un ruolo istituzionale volto a tutelare gli interessi pubblici. Così facendo si lascerebbe la funzione creditizia alle banche private (che si occuperebbero di risparmi e investimenti) e quella monetaria alle banche centrali. “Attualmente il grande scandalo che nessuno vede è che le banche centrali emettono moneta solo per le banche private e non per il pubblico”, ha tuonato l’esperto.
Ma non è tutto: secondo l’autore del libro le banche centrali dovrebbero essere nominate dalla società civile, governate dalle associazioni dei lavoratori, degli imprenditori e dei consumatori, in accordo con le istituzioni democratiche. “Le banche centrali non possono più avere un potere assoluto sulla moneta, che è un bene comune fondamentale. Non possono più fare il bello e il cattivo tempo nell’economia, governando la moneta in maniera assolutamente autocratica, facendo il gioco del sistema bancario. La democratizzazione delle banche centrali – conclude – è fondamentale e deve essere sancita anche nelle costituzioni, perché questi organismi hanno un potere enorme sulla nostra vita quotidiana”.