Toni Negri

Un primo intervento bibliografico in occasione della morte di Toni Negri, 90 anni d’impegno politico e culturale.
A cura di Gian Luigi Betti

Ali Baba e i 40 libroni

Il report contiene

  • Bibliografia essenziale
  • Antonio Negri, l’eresia comunista lunga una vita di Antonio Ciccarelli 17 dicembre 2023
  • Il secolo breve di Toni Negri Roberto Ciccarelli, 5 AGOSTO 2023
  • Toni Negri: «Il futuro delle lotte: dalla fabbrica alla vita» Giuseppe Allegri 5 aprile 2017
  • Toni Negri: «Il nuovo Palazzo d’inverno sono le banche centrali» Roberto Ciccarelli 4 novembre 2017
  • C’è qualcosa di nuovo oggi nell’aria Toni Negri 17 gennaio 2014

Bibliografia essenziale (1a parte)

La bibliografia comprende le principali opere che indagano sulla trasformazione dell’assetto politico economico e di potere del mondo globalizzato. 

Le opere che afferiscono all’esperienza di Potere operaio e ai movimenti degli anni ‘60 ‘70 così come quelle più filosofiche del tipo gli studi su Spinoza e le riflessioni sull’esperienza della galera e del suo essere comunista vengono rimandate ad un secondo momento.

Seguiranno abstract e recensioni dei vari saggi.

Hardt, Michael – Negri, Antonio
Assemblea / Michael Hardt, Antonio Negri ; traduzione di Tania Rispoli. – [Milano] : Ponte alle Grazie, 2018. – 439 p. ; 21 cm.. – (Saggi).) – [ISBN] 978-88-333-1064-0. – [BNI] 2019-262.


Hardt, Michael – Negri, Antonio
Impero / Michael Hardt, Antonio Negri ; traduzione e cura di Alessandro Pandolfi ; traduzione delle note e ricerche bibliografiche a cura di Daniele Didero. – Milano : Biblioteca universale Rizzoli, 2001. – 438 p. ; 20 cm.. – (BUR. Saggi).)


Hardt, Michael – Negri, Antonio
Comune : oltre il privato e il pubblico / Michael Hardt, Antonio Negri. – [Milano] : Rizzoli, 2010. – 427 p. ; 23 cm. – Traduzione di Alessandro Pandolfi. – [ISBN] 978-88-17-03841-6. – [BNI] 2010-7385.


Hardt, Michael – Negri, Antonio
Moltitudine : guerra e democrazia nel nuovo ordine imperiale / Michael Hardt, Antonio Negri. – Milano : Mondolibri, stampa 2005. – 491 p. ; 23 cm. – Trad. e cura di Alessandro Pandolfi. – Trad delle note e ricerche bibliografiche a cura di Stefano Visentin.


Negri, Antonio
Venti tesi sul comunismo / Antonio Negri. – Roma : Manifestolibri, 2020. – 108 p. ; 18 cm. – (INbreve).) – [ISBN] 978-88-7285-985-8.


Negri, Antonio
Trentatre lezioni su Lenin / Antonio Negri. – Roma : Manifestolibri, [2004]. – 335 p. ; 21 cm.. – (Tempo e democrazia).) – [ISBN] 88-7285-337-0. – [ISBN] 978-88-7285-855-4 Ed. 2016. – [BNI] 2005-317.


Negri, Antonio
Fine secolo : un’interpretazione del Novecento / Antonio Negri. – [Nuova ed.]. – Roma : Manifestolibri, 2005. – 156 p. ; 21 cm.. – (Incisioni).) – [ISBN] 88-7285-458-X. – [BNI] 2006-10701.


Negri, Antonio
Marx oltre Marx / Antonio Negri. – Castel San Pietro Romano : La Talpa-Manifestolibri, 2016. – 252 p. ; 21 cm. – (Esplorazioni).) – [ISBN] 978-88-7285-851-6.


Negri, Antonio
L’Europa e l’impero : riflessioni su un processo costituente / Antonio Negri. – Roma : Manifestolibri, [2003!. – 172 p. ; 17 cm. – Scritti già pubbl.. – [ISBN] 88-7285-352-4.


Hardt, Michael – Negri, Antonio
Il lavoro di Dioniso : per la critica dello Stato postmoderno / Michael Hardt, Antonio Negri. – Roma : Manifestolibri, 2001. – 175 p. ; 18 cm.. – (Discount).) – [ISBN] 88-7285-251-X.


di prossima pubblicazione

Il potere costituente. Saggio sulle alternative del moderno di Antonio Negri (Autore) Manifestolibri, 2024 EAN  979128140907)


La fabbrica della strategia  di Antonio Negri (Autore) Manifestolibri, 2024 EAN 9791281409040


Il Manifesto

Questa sezione comprende una selezione degli articoli pubblicati o indicati da Il manifesto in data 17 dicembre 2023

Antonio Negri, l’eresia comunista lunga una vita di Antonio Ciccarelli 17 dicembre 2023

ATTIVO MAESTRO. Il filosofo e militante politico è scomparso a Parigi a novant’anni. Il racconto di una vita, a tratti epica, non senza contraddizioni, alla ricerca instancabile di “processi costituenti”: “Il comunismo è una passione collettiva gioiosa, etica e politica che combatte contro la trinità della proprietà, dei confini e del capitale”. Il «7 aprile» diventò per il Manifesto, con Rossana Rossanda, una battaglia politica e garantista

Antonio Negri è scomparso ieri a Parigi a novant’anni. La notizia è stata resa nota dai figli Anna, Francesco e Nina e dalla filosofa francese Judith Revel, compagna di vita da 27 anni.

Quella di Negri non è stata la storia di un intellettuale privato, l’avventura di un uomo di genio o al contrario di un mefistofelico «cattivo maestro». È stata la vita di un «militante comunista», così si è sempre definito, parte di un’esperienza collettiva, trasversale e conflittuale che ha legato più generazioni del Novecento a quelle attuali. Un percorso, a tratti epico, non senza contraddizioni, che ricorda quello di altri teorici e politici della storia del movimento operaio. «Il comunismo – ha spiegato Negri – è una passione collettiva gioiosa, etica e politica che combatte contro la trinità della proprietà, dei confini e del capitale».

Toni Negri, nell’ultima intervista al manifesto

«Il comunismo è una passione collettiva gioiosa, etica e politica che combatte contro la trinità della proprietà, dei confini e del capitale»

UNA VITA PASSATA a cercare una strada impervia, e controvento, verso un altro tipo di rivoluzione che non è più, solo, qualcosa che porta al potere, ma che cambia il potere. «La rivoluzione non la si fa, ma ti fa – disse in occasione della pubblicazione di Assemblea (Ponte alle Grazie), uno dei libri con Michael Hardt insieme a Impero, Moltitudine e Comune (Rizzoli), tra gli altri – Bisogna smetterla di mitologizzarla: la rivoluzione è vivere, costruire continuamente momenti di novità e di rottura. Non si incarna in un nome: Gesù Cristo, Lenin, Robespierre o Saint Just. La rivoluzione è lo sviluppo delle forze produttive, dei modi di vita del comune, lo sviluppo dell’intelligenza collettiva».

Toni Negri
«La rivoluzione non la si fa, ma ti fa. Bisogna smetterla di mitologizzarla: la rivoluzione è vivere, costruire continuamente momenti di novità e di rottura. Non si incarna in un nome»

QUESTA IDEA è il principale lascito etico e politico di un filosofo che ha avuto la fortuna di trovarsi a metà strada tra il pensiero critico e la militanza politica, ed è passato in permanenza dall’una all’altra, misurando la differenza tra la teoria e la prassi.

Ha scontato durissime sconfitte senza però rassegnarsi. E ha coltivato un inesauribile desiderio di ricercare, insegnare e organizzare. Non parliamo dunque dell’autore di un’opera fine a se stessa, né di un ideologo privo di rapporti con la realtà, ma di un teorico militante autore di più di 80 libri tradotti in molte lingue che ha sperimentato il «sogno di una cosa». E anche i suoi incubi.

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AVERE CREDUTO, organizzato, pensato e sofferto come migliaia di altre persone in questo sogno – che alcuni grandi filosofi hanno chiamato «principio speranza» e che lui preferiva definire la «gioia» con il suo amato Spinoza al quale ha dedicato L’anomalia selvaggia (DeriveApprodi) scritto in carcere – è costato a Negri quattordici anni di esilio e undici e mezzo di prigione.

LA STORIA È STATA RACCONTATA nell’autobiografia scritta con il filosofo e scrittore Girolamo De Michele Storia di un comunista (Ponte alle Grazie). È qui che si può leggere le origini di una traiettoria e i suoi tormentati sviluppi dall’infanzia cattolica negli anni veneti dall’immediato Dopoguerra alla gioventù socialista, dall’apprendistato filosofico al marxismo operaista di cui è stato uno dei maggiori teorici e ricercatori. L’insegnamento universitario a Padova, il ’68 degli studenti e le lotte operaie tra la Fiat a Torino e Porto Marghera. E, dopo la strage di piazza Fontana nel 1969, la militanza nelle organizzazioni della sinistra extraparlamentare Potere Operaio e Autonomia Operaia.

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FURONO GLI ANNI delle lotte operaie, sociali e femministe che avanzavano impetuosamente in un paese dove la conflittualità politica raggiunse un’intensità drammatica. Arrivò l’insurrezione del 1977, la spaccatura radicale con il Partito Comunista. Iniziò la dura risposta repressiva che portò all’arresto di migliaia di militanti.

Negri e centinaia di esponenti dell’Autonomia operaia furono arrestati il 7 aprile 1979 e nei mesi successivi. Alcuni di loro attesero fino a 44 mesi l’inizio del processo il cui castello di accuse chiamato «teorema Calogero» fu demolito dalla corte d’appello di Roma nel 1987.

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Per l’autore di Marx oltre Marx (Manifestolibri) – pubblicato dopo un seminario parigino con Louis Althusser nel 1979 – arrivarono accuse cangianti: dall’essere «capo» delle Brigate Rosse, ipotesi notoriamente smentita, all’aver partecipato ad atti terroristici e d’insurrezione armata. Negri scontò allora 4 anni di carcerazione preventiva.

ARRIVÒ L’ELEZIONE in parlamento nel 1983 con il partito radicale. E poi, dopo il voto del parlamento, l’esilio in Francia. «In Francia sono stato utile per stabilire rapporti tra generazioni e ho studiato – ha raccontato nell’ultima intervista a questo giornale – Ne soffro ancora molto. Mi scuote profondamente il fatto di avere lasciato i compagni in carcere che hanno avuto la vita devastata».

Il ritorno in Italia nel 1997. E di nuovo la galera. Per poi tornare libero e affermarsi come intellettuale a livello globale. Negri ha continuato a cercare nuovi «processi costituenti» nella contro-rivoluzione neoliberale in cui ci troviamo immersi. Per la storia de Il Manifesto, questa vicenda si radica negli anni della sua nascita di quotidiano e di gruppo politico.

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C’è qualcosa di nuovo oggi nell’aria

Lo spartiacque è stato il «processo 7 aprile» che portò a una vibrante campagna garantista, un caso giornalistico e politico unico sostenuto da Rossana Rossanda. «Una persona meravigliosa, allora e sempre», così la ricordava Negri.

Il secolo breve di Toni Negri Roberto Ciccarelli, 5 AGOSTO 2023

INCONTRO. L’operaismo, gli anni settanta, il 7 aprile, Rossanda, il riconoscimento globale: 90 anni di un filosofo comunista

Il secolo breve di Toni Negri

Roberto Ciccarelli
Toni Negri hai compiuto novant’anni. Come vivi oggi il tuo tempo?

Toni Negri
Mi ricordo Gilles Deleuze che soffriva di un malanno simile al mio. Allora non c’erano l’assistenza e la tecnologia di cui possiamo godere noi oggi. L’ultima volta che l’ho visto girava con un carrellino con le bombole di ossigeno. Era veramente dura. Lo è anche per me oggi. Penso che ogni giorno che passa a questa età sia un giorno di meno. Non hai la forza di farlo diventare un giorno magico. È come quando mangi un buon frutto e ti lascia in bocca un gusto meraviglioso. Questo frutto è la vita, probabilmente. È una delle sue grandi virtù.

Roberto Ciccarelli
Novant’anni sono un secolo breve.

Toni Negri
Di secoli brevi ce ne possono essere diversi. C’è il classico periodo definito da Hobsbawm che va dal 1917 al 1989. C’è stato il secolo americano che però è stato molto più breve. È durato dagli accordi monetari e dalla definizione di una governance mondiale a Bretton Woods, agli attentati alle Torri Gemelle nel settembre 2001.

Per quanto mi riguarda il mio lungo secolo è iniziato con la vittoria bolscevica, poco prima che nascessi, ed è continuato con le lotte operaie, e con tutti i conflitti politici e sociali ai quali ho partecipato.

Roberto Ciccarelli
Questo secolo breve è terminato con una sconfitta colossale.

Toni Negri
È vero. Ma hanno pensato che fosse finita la storia e fosse iniziata l’epoca di una globalizzazione pacificata. Nulla di più falso, come vediamo ogni giorno da più di trent’anni. Siamo in un’età di transizione, ma in realtà lo siamo sempre stati.

Anche se sottotraccia, ci troviamo in un nuovo tempo segnato da una ripresa globale delle lotte contro le quali c’è una risposta dura. Le lotte operaie hanno iniziato a intersecarsi sempre di più con quelle femministe, antirazziste, a difesa dei migranti e per la libertà di movimento, o ecologiste.

Roberto Ciccarelli
Filosofo, arrivi giovanissimo in cattedra a Padova. Partecipi a Quaderni Rossi, la rivista dell’operaismo italiano. Fai inchiesta, fai un lavoro di base nelle fabbriche, a cominciare dal Petrolchimico di Marghera. Fai parte di Potere Operaio prima, di Autonomia Operaia poi. Vivi il lungo Sessantotto italiano, a cominciare dall’impetuoso Sessantanove operaio a Corso Traiano a Torino. Qual è stato il momento politico culminante di questa storia?

Toni Negri
Gli anni Settanta, quando il capitalismo ha anticipato con forza una strategia per il suo futuro. Attraverso la globalizzazione, ha precarizzato il lavoro industriale insieme all’intero processo di accumulazione del valore. In questa transizione, sono stati accesi nuovi poli produttivi: il lavoro intellettuale, quello affettivo, il lavoro sociale che costruisce la cooperazione.

Alla base della nuova accumulazione del valore, ci sono ovviamente anche l’aria, l’acqua, il vivente e tutti i beni comuni che il capitale ha continuato a sfruttare per contrastare l’abbassamento del tasso di profitto che aveva conosciuto a partire dagli anni Sessanta.

Toni Negri
C’è stata una volontà della sinistra di bloccare il quadro politico su quello che possedeva.

Roberto Ciccarelli
Perché, dalla metà degli anni Settanta, la strategia capitalista ha vinto?

Toni Negri
Perché è mancata una risposta di sinistra. Anzi, per un tempo lungo, c’è stata una totale ignoranza di questi processi. A partire dalla fine degli anni Settanta, c’è stata la soppressione di ogni potenza intellettuale o politica, puntuale o di movimento, che tentasse di mostrare l’importanza di questa trasformazione, e che puntasse alla riorganizzazione del movimento operaio attorno a nuove forme di socializzazione e di organizzazione politica e culturale.

È stata una tragedia. Qui che appare la continuità del secolo breve nel tempo che stiamo vivendo ora. C’è stata una volontà della sinistra di bloccare il quadro politico su quello che possedeva.

Roberto Ciccarelli
E che cosa possedeva quella sinistra?

Toni Negri
Un’immagine potente ma già allora inadeguata. Ha mitizzato la figura dell’operaio industriale senza comprendere che egli desiderava ben altro. Non voleva accomodarsi nella fabbrica di Agnelli, ma distruggere la sua organizzazione; voleva costruire automobili per offrirle agli altri senza schiavizzare nessuno. Marghera non avrebbe voluto morire di cancro né distruggere il pianeta.

In fondo è quello che ha scritto Marx nella Critica del programma di Gotha: contro l’emancipazione attraverso il lavoro mercificato della socialdemocrazia e per la liberazione della forza lavoro dal lavoro mercificato.

Sono convinto che la direzione presa dall’Internazionale comunista – in maniera evidente e tragica con lo stalinismo, e poi in maniera sempre più contraddittoria e irruente -, abbia distrutto il desiderio che aveva mobilitato masse gigantesche. Per tutta la storia del movimento comunista è stata quella la battaglia.

Roberto Ciccarelli
Cosa si scontrava su quel campo di battaglia?

Toni Negri
Da un lato, c’era l’idea della liberazione. In Italia è stata illuminata dalla resistenza contro il nazi-fascismo. L’idea di liberazione si è proiettata nella stessa Costituzione così come noi ragazzi la interpretammo allora. E in questa vicenda non sottovaluterei l’evoluzione sociale della Chiesa Cattolica che culminò con il Secondo Concilio Vaticano.

Dall’altra parte, c’era il realismo ereditato dal partito comunista italiano dalla socialdemocrazia, quello degli Amendola e dei togliattiani di varia origine. Tutto è iniziato a precipitare negli anni Settanta, mentre invece c’era la possibilità di inventare una nuova forma di vita, un nuovo modo di essere comunisti.

Toni Negri
Comunismo è una passione collettiva gioiosa, etica e politica che combatte contro la trinità della proprietà, dei confini e del capitale.

Roberto Ciccarelli
Continui a definirti un comunista. Cosa significa oggi?

Toni Negri
Quello che per me ha significato da giovane: conoscere un futuro nel quale avremmo conquistato il potere di essere liberi, di lavorare meno, di volerci bene.

Eravamo convinti che concetti della borghesia quali libertà, uguaglianza e fraternità avrebbero potuto realizzarsi nelle parole d’ordine della cooperazione, della solidarietà, della democrazia radicale e dell’amore. Lo pensavamo e lo abbiamo agito, ed era quello che pensava la maggioranza che votava la sinistra e la faceva esistere.

Ma il mondo era ed è insopportabile, ha un rapporto contraddittorio con le virtù essenziali del vivere insieme. Eppure queste virtù non si perdono, si acquisiscono con la pratica collettiva e sono accompagnate dalla trasformazione dell’idea di produttività che non significa produrre più merci in meno tempo, né fare guerre sempre più devastanti. Al contrario serve a dare da mangiare a tutti, modernizzare, rendere felici.

Comunismo è una passione collettiva gioiosa, etica e politica che combatte contro la trinità della proprietà, dei confini e del capitale.

Roberto Ciccarelli
L’arresto avvenuto il 7 aprile 1979, primo momento della repressione del movimento dell’autonomia operaia, è stato uno spartiacque. Per ragioni diverse, a mio avviso, lo è stato anche per la storia del «manifesto» grazie a una vibrante campagna garantista durata anni, un caso giornalistico unico condotto con i militanti dei movimenti, un gruppo di coraggiosi intellettuali, il partito radicale. Otto anni dopo, il 9 giugno 1987, quando fu demolito il castello di accuse cangianti, e infondate, Rossana Rossanda scrisse che fu una «tardiva, parziale riparazione di molto irreparabile». Cosa significa oggi per te tutto questo?

Toni Negri
È stato innanzitutto il segno di un’amicizia mai smentita. Rossana per noi è stata una persona di una generosità incredibile. Anche se, a un certo punto, si è fermata anche lei: non riusciva a imputare al Pci quello che il Pci era diventato.

Roberto Ciccarelli
Che cosa era diventato?

Toni Negri
Un oppressore. Ha massacrato quelli che denunciavano il pasticcio in cui si era andato a ficcare. In quegli anni siamo stati in molti a dirglielo. Esisteva un’altra strada, che passava dall’ascolto della classe operaia, del movimento studentesco, delle donne, di tutte le nuove forme nelle quali le passioni sociali, politiche e democratiche si stavano organizzando.

Noi abbiamo proposto un’alternativa in maniera onesta, pulita e di massa. Facevamo parte di un enorme movimento che investiva le grandi fabbriche, le scuole, le generazioni. La chiusura da parte del Pci ha determinato la nascita di estremizzazioni terroristiche: questo è fuori dubbio.

Noi abbiamo pagato tutto e pesantemente. Solo io ho fatto complessivamente quattordici anni di esilio e undici e mezzo di prigione. Il Manifesto ha sempre difeso la nostra innocenza. Era completamente idiota che io o altri dell’Autonomia fossimo considerati i rapitori di Aldo Moro o gli uccisori di compagni. Tuttavia, nella campagna innocentista che è stata coraggiosa e importante è stato però lasciato sul fondo un aspetto sostanziale.

Roberto Ciccarelli
Quale?

Toni Negri
Eravamo politicamente responsabili di un movimento molto più ampio contro il compromesso storico tra il Pci e la Dc. Contro di noi c’è stata una risposta poliziesca della destra, e questo si capisce. Quello che non si vuol capire è stata invece la copertura che il Pci ha dato a questa risposta. In fondo, avevano paura che cambiasse l’orizzonte politico di classe. Se non si comprende questo nodo storico, come ci si può lamentare dell’inesistenza di una sinistra oggi in Italia?

Roberto Ciccarelli
Il sette aprile, e il cosiddetto «teorema Calogero», sono stati considerati un passo verso la conversione di una parte non piccola della sinistra al giustizialismo e alla delega politica alla magistratura. Come è stato possibile lasciarsi incastrare in una simile trappola?

Toni Negri
Quando il Pci sostituì la centralità della lotta morale a quella economica e politica, e lo fece attraverso giudici che gravitavano attorno alla sua area, ha finito il suo percorso. Questi davvero credevano di usare il giustizialismo per costruire il socialismo? Il giustizialismo è una delle cose più care alla borghesia. È un’illusione devastante e tragica che impedisce di vedere l’uso di classe del diritto, del carcere o della polizia contro i subalterni.

In quegli anni cambiarono anche i giovani magistrati. Prima erano molto diversi. Li chiamavano «pretori di assalto». Ricordo i primi numeri della rivista Democrazia e Diritto ai quali ho lavorato anch’io. Mi riempivano di gioia perché parlavamo di giustizia di massa. Poi l’idea di giustizia è stata declinata molto diversamente, riportata ai concetti di legalità e di legittimità. E nella magistratura non c’è più stata una presa di parola politica, ma solo schieramenti tra correnti.

Oggi, poi abbiamo una Costituzione ridotta a un pacchetto di norme che non corrispondono neanche più alla realtà del paese.

Roberto Ciccarelli
In carcere avete continuato la battaglia politica. Nel 1983 scriveste un documento in carcere, pubblicato da Il Manifesto, intitolato «Do You remember revolution». Si parlava dell’originalità del 68 italiano, dei movimenti degli anni Settanta non riducibili agli «anni di piombo». Come hai vissuto quegli anni?

Toni Negri
Quel documento diceva cose importanti con qualche timidezza. Credo dica più o meno le cose che ho appena ricordato. Era un periodo duro. Noi eravamo dentro, dovevamo uscire in qualche maniera.

Ti confesso che in quell’immane sofferenza per me era meglio studiare Spinoza che pensare all’assurda cupezza in cui eravamo stati rinchiusi. Ho scritto su Spinoza un grosso libro ed è stato una specie di atto eroico. Non potevo avere più di cinque libri in cella. E cambiavo carcere speciale in continuazione: Rebibbia, Palmi, Trani, Fossombrone, Rovigo. Ogni volta in una cella nuova con gente nuova. Aspettare giorni e ricominciare.

L’unico libro che portavo con me era l’Etica di Spinoza. La fortuna è stata finire il mio testo prima della rivolta a Trani nel 1981 quando i corpi speciali hanno distrutto tutto. Sono felice che abbia prodotto uno scossone nella storia della filosofia.

Roberto Ciccarelli
Nel 1983 sei stato eletto in parlamento e uscisti per qualche mese dal carcere. Cosa pensi del momento in cui votarono per farti tornare in carcere e tu decidesti di andare in esilio in Francia?

Toni Negri
Ne soffro ancora molto. Se devo dare un giudizio storico e distaccato penso di avere fatto bene ad andarmene. In Francia sono stato utile per stabilire rapporti tra generazioni e ho studiato. Ho avuto la possibilità di lavorare con Félix Guattari e sono riuscito a inserirmi nel dibattito del tempo.

Mi ha aiutato moltissimo a comprendere la vita dei Sans Papiers. Lo sono stato anch’io, ho insegnato pur non avendo una carta di identità. Mi hanno aiutato i compagni dell’università di Parigi 8.

Ma per altri versi mi dico che ho sbagliato. Mi scuote profondamente il fatto di avere lasciato i compagni in carcere, quelli con cui ho vissuto i migliori anni della mia vita e le rivolte in quattro anni di carcerazione preventiva. Averli lasciati mi fa ancora male. Quella galera ha devastato la vita di compagni carissimi, e spesso delle loro famiglie. Ho novant’anni e mi sono salvato. Non mi rende più sereno di fronte a quel dramma.

Roberto Ciccarelli
Anche Rossanda ti criticò…

Toni Negri
Sì, mi ha chiesto di comportarmi come Socrate. Io le risposi che rischiavo proprio di finire come il filosofo. Per i rapporti che c’erano in galera avrei potuto morire. Pannella mi ha materialmente portato fuori dalla galera e poi mi ha rovesciato tutte le colpe del mondo perché non volevo tornarci. Sono stati in molti a imbrogliarmi. Rossana mi aveva messo in guardia già allora, e forse aveva ragione.

Roberto Ciccarelli
C’è stata un’altra volta che lo ha fatto?

Toni Negri
Sì, quando mi disse di non rientrare da Parigi in Italia nel 1997 dopo 14 anni di esilio. La vidi l’ultima volta prima di partire in un café dalle parti del Museo di Cluny, il museo nazionale del Medioevo. Mi disse che avrebbe voluto legami con una catena per impedirmi di prendere quell’aereo.

Roberto Ciccarelli
Perché allora hai deciso di tornare in Italia?

Toni Negri
Ero convinto di fare una battaglia sull’amnistia per tutti i compagni degli anni Settanta. Allora c’era la Bicamerale, sembrava possibile. Mi sono fatto sei anni di galera fino al 2003. Forse Rossana aveva ragione.

Roberto Ciccarelli
Che ricordo oggi hai di lei?

Toni Negri
Ricordo l’ultima volta che l’ho vista a Parigi. Una dolcissima amica, che si preoccupava dei miei viaggi in Cina, temeva che mi facessi male. È stata una persona meravigliosa, allora e sempre.

Roberto Ciccarelli
Anna Negri, tua figlia, ha scritto «Con un piede impigliato nella storia» (DeriveApprodi) che racconta questa storia dal punto di vista dei vostri affetti, e di un’altra generazione.

Toni Negri
Ho tre figli splendidi Anna, Francesco e Nina che hanno sofferto in maniera indicibile quello che è successo. Ho guardato la serie di Bellocchio su Moro e continuo ad essere stupefatto di essere stato accusato di quella incredibile tragedia.

Penso ai miei due primi figli, che andavano a scuola. Qualcuno li vedeva come i figli di un mostro. Questi ragazzi, in una maniera o nell’altra, hanno sopportato eventi enormi. Sono andati via dall’Italia e ci sono tornati, hanno attraversato quel lungo inverno in primissima persona.

Il minimo che possono avere è una certa collera nei confronti dei genitori che li hanno messi in questa situazione. E io ho una certa responsabilità in questa storia. Siamo tornati ad essere amici. Questo per me è un regalo di una immensa bellezza.

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La coscienza politica di incedere

Roberto Ciccarelli
Alla fine degli anni Novanta, in coincidenza con i nuovi movimenti globali, e poi contro la guerra, hai acquisito una forte posizione di riconoscibilità insieme a Michael Hardt a cominciare da «Impero». Come definiresti oggi, in un momento di ritorno allo specialismo e di idee reazionarie e elitarie, il rapporto tra filosofia e militanza?

Toni Negri
È difficile per me rispondere a questa domanda. Quando mi dicono che ho fatto un’opera, io rispondo: Lirica? Ma ti rendi conto? Mi scappa da ridere. Perché sono più un militante che un filosofo. Farà ridere qualcuno, ma io mi ci vedo, come Papageno…

Toni Negri
La filosofia fa parte della nostra cultura, ma va usata per quello che serve, cioè a trasformare il mondo e farlo diventare più giusto

Roberto Ciccarelli
Non c’è dubbio però che tu abbia scritto molti libri…

Toni Negri
Ho avuto la fortuna di trovarmi a metà strada tra la filosofia e la militanza. Nei migliori periodi della mia vita sono passato in permanenza dall’una all’altra. Ciò mi ha permesso di coltivare un rapporto critico con la teoria capitalista del potere.

Facendo perno su Marx, sono andato da Hobbes a Habermas, passando da Kant, Rousseau e Hegel. Gente abbastanza seria da dovere essere combattuta.

Di contro la linea Machiavelli-Spinoza-Marx è stata un’alternativa vera. Ribadisco: la storia della filosofia per me non è una specie di testo sacro che ha impastato tutto il sapere occidentale, da Platone ad Heidegger, con la civiltà borghese e ha tramandato con ciò concetti funzionali al potere.

La filosofia fa parte della nostra cultura, ma va usata per quello che serve, cioè a trasformare il mondo e farlo diventare più giusto. Deleuze parlava di Spinoza e riprendeva l’iconografia che lo rappresentava nei panni di Masaniello. Vorrei che fosse vero per me. Anche adesso che ho novant’anni continuo ad avere questo rapporto con la filosofia. Vivere la militanza è meno facile, eppure riesco a scrivere e ad ascoltare, in una situazione di esule.

Roberto Ciccarelli
Esule, ancora, oggi?

Toni Negri
Un po’, sì. È un esilio diverso però. Dipende dal fatto che i due mondi in cui vivo, l’Italia e la Francia, hanno dinamiche di movimento molto diverse.

In Francia, l’operaismo non ha avuto un seguito largo, anche se oggi viene riscoperto. La sinistra di movimento in Francia è sempre stata guidata dal trotzkismo o dall’anarchismo. Negli anni Novanta, con la rivista Futur antérieur, con l’amico e compagno Jean-Marie Vincent, avevamo trovato una mediazione tra gauchisme e operaismo: ha funzionato per una decina d’anni. Ma lo abbiamo fatto con molta prudenza. il giudizio sulla politica francese lo lasciavamo ai compagni francesi. L’unico editoriale importante scritto dagli italiani sulla rivista è stato quello sul grande sciopero dei ferrovieri del ’95, che assomigliava tanto alle lotte italiane.

Roberto Ciccarelli
Perché l’operaismo conosce oggi una risonanza a livello globale?

Toni Negri
Perché risponde all’esigenza di una resistenza e di una ripresa delle lotte, come in altre culture critiche con le quali dialoga: il femminismo, l’ecologia politica, la critica postcoloniale ad esempio. E poi perché non è la costola di niente e di nessuno. Non lo è stato mai, e neanche è stato un capitolo della storia del Pci, come qualcuno s’illude. È invece un’idea precisa della lotta di classe e una critica della sovranità che coagula il potere attorno al polo padronale, proprietario e capitalista.

Ma il potere è sempre scisso, ed è sempre aperto, anche quando non sembra esserci alternativa. Tutta la teoria del potere come estensione del dominio e dell’autorità fatta dalla Scuola di Francoforte e dalle sue recenti evoluzioni è falsa, anche se purtroppo rimane egemone.

L’operaismo fa saltare questa lettura brutale. È uno stile di lavoro e di pensiero. Riprende la storia dal basso fatta da grandi masse che si muovono, cerca la singolarità in una dialettica aperta e produttiva.

Toni Negri
Da quando ero giovane mi hanno deriso perché usavo la parola amore. Mi prendevano per un poeta o per un illuso. Di contro, ho sempre pensato che l’amore era una passione fondamentale che tiene in piedi il genere umano. Può diventare un’arma per vivere. Francesco è l’amore contro la proprietà: esattamente quello che avremmo potuto fare negli anni Settanta. Lo cito perché voglio che parole come amore e gioia entrino nel linguaggio politico.

Roberto Ciffarelli
I tuoi costanti riferimenti a Francesco d’Assisi mi hanno sempre colpito. Da dove nasce questo interesse per il santo e perché lo hai preso ad esempio della tua gioia di essere comunista?

Toni Negri
Da quando ero giovane mi hanno deriso perché usavo la parola amore. Mi prendevano per un poeta o per un illuso. Di contro, ho sempre pensato che l’amore era una passione fondamentale che tiene in piedi il genere umano. Può diventare un’arma per vivere.

Vengo da una famiglia che è stata miserabile durante la guerra e mi ha insegnato un affetto che mi fa vivere ancora oggi. Francesco è in fondo un borghese che vive in un periodo in cui coglie la possibilità di trasformare la borghesia stessa, e di fare un mondo in cui la gente si ama e ama il vivente. Il richiamo a lui, per me, è come il richiamo ai Ciompi di Machiavelli.

Francesco è l’amore contro la proprietà: esattamente quello che avremmo potuto fare negli anni Settanta, rovesciando quello sviluppo e creando un nuovo modo di produrre. Non è mai stato ripreso a sufficienza Francesco, né è stato presa in debito conto l’importanza che ha avuto il francescanesimo nella storia italiana. Lo cito perché voglio che parole come amore e gioia entrino nel linguaggio politico.

***

Dall’infanzia negli anni della guerra all’apprendistato filosofico alla militanza comunista, dal ’68 alla strage di piazza Fontana, da Potere Operaio all’autonomia e al ’77, l’arresto, l’esilio. E di nuovo la galera per tornare libero. Toni Negri lo ha raccontato con Girolamo De Michele in tre volumi autobiografici Storia di un comunista, Galera e esilio, Da Genova a Domani (Ponte alle Grazie). Con Michael Hardt, professore di letteratura alla Duke University negli Stati Uniti, ha scritto, tra l’altro, opere discusse e di larga diffusione: Impero, Moltitudine, Comune (Rizzoli) e Assemblea (Ponte alle Grazie). Per l’editore anglo-americano Polity Books ha pubblicato, tra l’altro, sei volumi di scritti tra i quali The Common, Marx in Movement, Marx and Foucault.

In Italia DeriveApprodi ha ripubblicato il classico «Spinoza». Per la stessa casa editrice: I libri del rogo, Pipe Line, Arte e multitudo (a cura di N. Martino), Settanta (con Raffaella Battaglini). Con Mimesis la nuova edizione di Lenta ginestra. Saggio sull’ontologia di Giacomo Leopardi. Con Ombre Corte, tra l’altro, Dall’operaio massa all’operaio sociale (a cura di P. Pozzi-R. Tomassini), Dentro/contro il diritto sovrano (con G. Allegri), Il lavoro nella costituzione (con A. Zanini).

A partire dal prossimo ottobre Manifestolibri ripubblicherà i titoli in catalogo con una nuova prefazione: L’inchiesta metropolitana e altri scritti sociologici, a cura di Alberto De Nicola e Paolo Do; Marx oltre Marx (prefazione di Sandro Mezzadra); Trentatré Lezioni su Lenin (Giso Amendola); Potere Costituente (Tania Rispoli); Descartes politico (Marco Assennato); Kairos, Alma Venus, moltitudo (Judith Revel); Il lavoro di Dioniso, con Michael Hardt (Francesco Raparelli)

Toni Negri: «Il futuro delle lotte: dalla fabbrica alla vita» Giuseppe Allegri 5 aprile 2017

77 CONTRO IL PRESENTE. IL MOVIMENTO 40 ANNI DOPO. Dalla produzione alla riproduzione «I conflitti si socializzano sui terreni che prima il capitale sfruttava gratuitamente: scuola, trasporti, sanità e servizi»

Toni Negri
«La prima Repubblica tramonta con il decennio “rosso” 1968-1978 – sostiene Toni Negri, oggi uno dei filosofi italiani più noti a livello internazionale – ma non è semplicemente una questione di date. La crisi del patto costituente coincide con la fine del centro-sinistra e della dialettica riformista che regredisce a solidarietà nazionale, complice il Pci, molto prima del congresso della Bolognina del 1991. La sinistra istituzionale e sindacale in Italia entra in crisi perché non riesce a interpretare quanto avviene nelle classi lavoratrici, nella classe operaia e nella gioventù che si era costruita politicamente dal ’68 in poi. Il simbolo di tutto questo è la cacciata di Lama dalla Sapienza nel 1977, ma il processo è molto più profondo. Si veda ad esempio la lenta trasformazione dei consigli di fabbrica in burocrazia sindacale. Il passaggio dal fordismo al post-fordismo, dal keynesismo al neoliberismo, dal moderno al post-moderno non è stato minimamente colto dalle forze socialiste. E, se lo fu, avvenne in maniera superficiale e corrotta con il Psi di Craxi o in una forma edonistica. La fine della capacità riformista della sinistra sono i carri armati nella Bologna di Zangheri dopo l’uccisione di Francesco Lorusso l’11 marzo 77. La responsabilità non è solo di Cossiga, ma del Pci che non poteva sopportare la manifestazione di quel movimento proprio nella città della sua amministrazione modello».

Giuseppe Allegri
I movimenti che sono stati ispirati da Franco Basaglia e alle sue lotte, quelli femministi, i referendum e il divorzio. Il 77 arriva al culmine di queste mobilitazioni e segna una cesura. Qual è stato il rapporto?

Toni Negri
In questa dimensione sociale complessiva, il 77 ha enfatizzato una nuova soggettivazione basata su un regime dei desideri difficilmente compatibile con lo sviluppo capitalistico. Direi di più: questo era l’esito di una rivoluzione antropologica basata su bisogni e desideri prodotti dalla rinascita del Dopoguerra che si scontra con la crisi. Lo stesso avviene oggi in America Latina dove la rivolta si accompagna a grandi periodi di sviluppo, mentre le nuove classi si trovano in contraddizione con le vecchie forme del comando.

Giuseppe Allegri
Perché il Pci del «compromesso storico», sostenitore proprio nel 1977 dell’austerità, comprese poco o nulla di quella stagione?

Toni Negri
L’ideologia del Pci non era adeguata a comprendere il passaggio antropologico in atto. Era una trasformazione della sensibilità, si affermava un nuovo pathos dell’epoca. Con la cacciata di Lama l’ideologia socialista è stata denunciata come reazionaria. E non credo che fosse semplicemente perché il Pci si reinventava un partito della nazione con la Dc, in una chiave politica che oggi si chiama «estremismo di centro». Quella rivolta politica andava più a fondo perché attaccava la centralità del lavoro nella società e reagiva a fenomeni oggi di grande attualità: precarizzazione delle generazioni più giovani, strana flessibilità che si cominciava ad avere in un mondo caratterizzato dall’estrema fissità del regime salariale del lavoro.

Giuseppe Allegri
Il 77 è stato la fine degli anni Sessanta o l’inizio di qualcos’altro?

Toni Negri
C’è l’anticipazione di una rivolta profondamente nuova contro le determinazioni neoliberali del capitalismo e della sua ideologia mercantilistica che allora stavano arrivando. Il ’77 assomiglia molto al ’68 parigino o tedesco. È una rivolta morale contro i padri e una rivolta conoscitiva e di libertà contro il baronaggio universitario. È la liberazione sessuale contro le chiusure patriarcali e cattoliche tradizionaliste. Sono caratteristiche europee che il ’77 innesta, con estrema intensità, su un terreno politico, giovanile e operaio. Un’altra originalità è avere messo fine all’egemonia di un discorso operaista classico per aprirne un altro sulla lotta di classe e la trasformazione del soggetto sfruttato. Lo sfruttamento non è identificato solo nella fabbrica, ma è percepito nella società e più propriamente nella vita metropolitana.

Giuseppe Allegri
Il ’77 segna l’emersione, non solo in Italia, ma anche in Europa, da Bologna a Londra, delle radio libere e degli spazi sociali, del punk e della disco music. Qual è il tratto comune di questo nuovo «lavoro culturale»?

Toni Negri
La trasformazione dell’elemento fantastico e derisorio in un’insorgenza emotiva e ironica. Quei tempi hanno aspetti dionisiaci molto forti, anche se questo tratto trionfa soprattutto tra Bologna e Roma, meno a Milano e nel Veneto. Sono aspetti che emergono già dal ’75 quando la crisi della egemonia operaia sulla lotte diventa evidente, mentre lo sviluppo dei centri del proletariato giovanile è maturo e avanzato.

Giuseppe Allegri
Cosa, di questa storia, ritorna nei movimenti oggi?

Tony Negri
La grande conversione dalla centralità della produzione a quella della riproduzione. Non emerge tanto nel ’77 degli indiani metropolitani, quanto nella riflessione sul lavoro informale, diffuso, sulle nuove lotte sociali che toccano la distribuzione territoriale della produzione. La grande fabbrica delocalizza le produzioni e il sociale appare immediatamente come produttivo. A Nord questa cosa colpisce enormemente. Si aprono piccoli laboratori e micro-imprese negli scantinati o nelle campagne dove vengono trasportati torni e frese. Il carattere operaio delle lotte si stempera nelle brume delle campagne del Nord, le lotte si socializzano sui terreni che prima il capitale sfruttava gratuitamente, dalla scuola, ai trasporti, alle prossimità, ai servizi. Su questo terreno si forma la consapevolezza che lo sfruttamento è sociale, fisico e biopolitico, attraversa la riproduzione della vita.

Giuseppe Allegri
Qual è stato il limite del 77?

Toni Negri
In questo formidabile blocco gioioso e desiderante, nel lento processo di un’autonomia operaia e studentesca, nell’organizzazione di una transizione dalle politiche del lavoro alla società post-salariale si è aperta la porta al reclutamento della lotta armata. Questo è stato il grande limite del ’77. Pur avendo vissuto il futuro, non ci si è resi conto che il futuro è malgrado tutto lontano e bisogna costruirlo.

Toni Negri: «Il nuovo Palazzo d’inverno sono le banche centrali» Roberto Ciccarelli

4 novembre 2017

ESCLUSIVA. Intervista con Toni Negri in occasione della pubblicazione del suo ultimo libro “Assembly” scritto con Michael Hardt. A cento anni dalla rivoluzione sovietica, a cinquanta dal Sessantotto, uno dei filosofi più discussi al mondo propone una politica oltre i populismi

Toni Negri: «Il nuovo Palazzo d’inverno sono le banche centrali»

Roberto Ciccarelli
Quando ci sediamo a un lungo tavolo del suo appartamento a Parigi Toni Negri, 84 anni, ha in mano appunti fitti, lo sguardo teso, l’aria esigente. L’influenza che lo ha assillato dal ritorno da un viaggio in Brasile dove ha presentato Assembly, da poco pubblicato in inglese per Oxford University Press – quarta parte della ricerca comune scritta con il filosofo americano Michael Hardt dopo Impero, Moltitudine e Comune – lo rende impaziente:

«Non riesco a lavorare come vorrei» dice. Filosofo discusso a livello mondiale, ora sta lavorando alla seconda parte dell’autobiografia – la prima ha un titolo emblematico: Storia di un comunista.

E già progetta un nuovo volume a quattro mani con Hardt. Desiderio spinozista, pratica marxista, con Negri non è tempo di ricordi, ci si ritrova a parlare dall’interno di una tendenza.

Roberto Ciccarelli
A una parola come «rivoluzione» oggi sembrano credere solo gli spin-doctor pagati per confezionare un programma per le elezioni. Per lei che ha creduto intensamente a una rivoluzione, fino al punto da cambiare radicalmente la sua esistenza, cosa significa questa parola?

Toni Negri
Per me significa che la rivoluzione non la si fa, ma ti fa. Bisogna smetterla di mitologizzarla: la rivoluzione è vivere, costruire continuamente momenti di novità e di rottura. La rivoluzione è un’ontologia, non un evento. Non si incarna in un nome: Gesù Cristo, Lenin, Robespierre o Saint Just.

La rivoluzione è lo sviluppo delle forze produttive, dei modi di vita del comune, lo sviluppo dell’intelligenza collettiva. Non ho mai pensato di fare la rivoluzione e di andare al potere il giorno dopo.

Quando ero giovane ho pensato che il comitato operaio di Marghera avrebbe organizzato la società attorno al consiglio operaio e ai suoi ideali a partire dalla fabbrica. Allora, negli anni Settanta. Oggi è molto diverso, esiste un altro modo di produzione: si può organizzare la società a partire dal reddito di base, dalle nuove figure del lavoro, da nuove scuole e forme associative, da nuovi loisirs, uscendo dalla noia e dalla disperazione in cui viviamo.

Non ho mai pensato che la rivoluzione sia qualcosa che ti porta al potere, ma che cambia il potere. Significa prendere il potere in maniera differente.

È una differenza fondamentale: non vuol dire prenderlo dall’alto, ma dal basso. La rivoluzione c’è quando si è capaci di dimostrare che il comune emerge dal modo di produzione che investe la vita. È il bambino ad avere oggi il forcipe nelle mani, non l’ostetrico della storia.

Roberto Ciccarelli
Rispetto al linguaggio, e all’immaginario, corrente il suo approccio è sempre stato, a dir poco, discordante. A essere gentili, di solito, le viene risposto che è ottimista, utopista, visionario. A sinistra c’è sempre quell’aria cupa, realista, impegnata nello sforzo volontaristico a unirsi o nell’evocazione di soggetti che mancano. Come si trova in questo orizzonte?

Toni Negri
Le posso rispondere con un episodio, molto pratico. Pochi giorni fa Michael ha presentato Assembly a Londra. Ha incontrato «Momentum», la rete di base che appoggia il Labour e Corbyn. Quello che è impressionante è l’incontro tra i giovani e i vecchi corbyniani, persone che hanno fatto il Sessantotto e le lotte degli anni Settanta e oggi sono trascinati dall’entusiasmo dei giovani che hanno fatto le lotte alter-mondialiste e quelle di Occupy, le ultime lotte di questa generazione. Manca tutta la gente tra i 35 e 60 anni, la generazione blairiana. Ecco dove si forma la nuova sinistra e con queste realtà oggi ci ritroviamo e superiamo i vecchi incastri con la cultura socialdemocratica.

Roberto Ciccarelli
Nel libro descrivete la straordinaria, e drammatica, emersione del movimento americano Black Lives Matters. In che rapporto è con l’onda che ha fatto molto parlare di Bernie Sanders?

Toni Negri
Siamo in contatto con una compagna che è nella direzione del movimento di Sanders. Dai suoi racconti comprendiamo che il partito democratico americano è una macchina di potere terribilmente governativa, non reagisce alle novità, riprende temi socialdemocratici classici che non funzionano.

Black Lives Matters è il futuro. È l’espressione di un movimento senza leadership.

Ce ne sono tanti nel mondo e la sinistra dovrebbe capirli a fondo: quelli indigeni, ad esempio, che puntano sulle proprietà comuni, sono esperienze formidabili. E i nuovi movimenti femministi e la loro fortissima soggettività.

È la forma stessa del capitalismo che rivela queste nuove forze produttive e queste esperienze di rottura. Non è solo un discorso marxista, è un discorso realistico, se si vuole uscire dal «secolo breve», una volta per sempre, fuori dalla sua agonia.

Roberto Ciccarelli
Lei parla sempre dal punto di vista dei movimenti. In Assembly analizzate, senza reticenze, la loro crisi e suggerite di non sottovalutare «il potere durevole di coloro che combattono e sono sconfitti». Cosa intendete dire?

Toni Negri
Torniamo al paradosso di Corbyn: i Sessantottini che si ritrovano con i giovani di oggi. Basta un fischio e tornano fuori quelli che sono stati sconfitti allora. Perché hanno imparato nelle lotte la generosità, la cooperazione, hanno fatto trionfare la solidarietà. Questi sono vizi che una volta presi non ti mollano più.

Se si potesse fare una storia foucaultiana dei movimenti in Italia si capirebbe di quali quantità di «cinici» , di militanti comunisti arrabbiati il paesaggio è pieno: intendo gente che si faceva costruire dalla «volontà di sapere» e dall’azione rivoluzionaria, e così amava gli altri e la vita.

Roberto Ciccarelli
Scrivete che dal 2001 a oggi i movimenti hanno affermato un nuovo inizio per la sinistra, ma hanno dimostrato una «povertà organizzativa» e non sono stati all’altezza del problema che hanno posto. Non c’è il rischio di ripetere le vecchie sconfitte senza avanzare di un millimetro?

Toni Negri
Bisogna, una volta per tutte, liberarsi dall’illusione che dai movimenti si debba trarre qualcosa. Quasi sempre i movimenti esprimono la fine di un discorso, non producono un evento, ma lo terminano. Il Sessantotto non è stato un evento, ma una costruzione. Perché dietro c’erano gli anni Sessanta, c’era già da tempo una politica di massa a livello mondiale. In Italia questa politica è stata talmente potente da durare dieci anni, passando dal movimento del 1977. I movimenti oggi non capiscono che devono costruire, non che devono raccogliere.

Ho sentito i compagni che uscivano da Genova, o dalle lotte dell’università, dire che dopo le manifestazioni era tempo di fare un’organizzazione. Ma se non lo avevano creata fino ad allora non l’avrebbero mai più fatta! Sarebbero stati solo identificati dalla polizia come persone da abbattere. Bisogna rompere questa idea che il movimento forma il partito, la coalizione, un seguito. I movimenti formano la forza, e questa forza va riconosciuta.

I movimenti sono la strategia. Non nascono per spirito infuso, o per un mistero che si incarna nella società, si costruiscono concretamente, passo dopo passo, insieme a migliaia di persone, ciascuno a partire da sé. La politica si costruisce insieme.

I Soviet per noi restano un modello da pensare, nacquero in un modo di produzione specifico, assemblando forze produttive e sociali. In un mondo completamente diverso, restano un dispositivo potente.

Roberto Ciccarelli
I Soviet sono attuali?

Toni Negri
Oggi si devono costruire istituzioni non sovrane e non proprietarie. Funzionerebbero come la gestione dell’acqua bene comune, nelle battaglia contro la violenza poliziesca in Francia o negli Stati uniti, nelle grandi lotte indigene nell’America Latina, nelle lotte femministe.

L’invenzione di una nuova struttura politica non può nascere che dal collegamento tra queste forze. L’istituzione non nasce dal sovrano, ma dalla necessità di stare insieme, di produrre e vivere insieme.

Questa era l’idea fondamentale dei Soviet: organizzare il modo in cui si sta insieme in una società industriale, dove la cooperazione sociale è avanzata e ha la capacità di esercitare potere attraverso la costruzione politica di una forza produttiva.

Roberto Ciccarelli
Per descrivere questa costruzione nel libro usate un’espressione curiosa: «imprenditorialità del comune». Che cosa significa?

In alcune recensioni anglosassoni ci viene rimproverato questo concetto: l’impresa non può essere strappata al neo-liberismo. E invece penso che oggi il rapporto tra imprenditorialità e istituzione – l’instituere – sia qualcosa che vada studiato fino in fondo. Il lavoro è sempre istitutio. Questa capacità oggi è massacrata oppure nascosta da un falso concetto di libertà.

Creare un’impresa significa lasciare libera la forza lavoro di organizzarsi. È questo il discorso politico che il capitalismo sequestra ai lavoratori. Noi invece crediamo che si inizia a fare politica quando la forza lavoro conquista la capacità di organizzarsi produttivamente.

Roberto Ciccarelli
Tutto questo passa da un partito? È questo che sostenete?

Toni Negri
Assolutamente no. Oggi l’autonomia del politico non è più quella leninista, oggi è il populismo. In ogni epoca l’autonomia del politico si qualifica in qualche modo, se si vuole evitare di assumerla in termini generici. E oggi l’autonomia del politico è stata ridotta a un gioco discorsivo che usa le categorie istituzionali e ha l’obiettivo di costruire un popolo sottomesso.

Leggo quello che succede in Italia dove la legge elettorale è da tempo diventata il luogo centrale di questo uso discriminatorio del politico. È una manipolazione pura del popolo e del consenso.

In gioco non c’è solo un criterio minimo di rappresentanza, che mi sembra sempre più in crisi, ma qualcosa di più profondo: si vuole impedire alle persone di sperimentare nuovi modi istituzionali e produttivi per governarsi da sé.

Roberto Ciccarelli
La socialdemocrazia è in crisi e sono in molti a credere che possa essere superata attraverso una declinazione di «sinistra» del populismo. Ritiene che Podemos o il Labour di Corbyn possano essere interpretati in questo modo?

Toni Negri
Quello di sinistra è un caso del populismo di «sostituzione». Dubito che questa logica, teorizzata dal filosofo argentino Ernesto Laclau, possa mai reinventare formule diverse da quelle del «socialismo nazionale». In Spagna, dentro Podemos, si è sviluppato un grande dibattito su questo tema. E ha vinto la tendenza nazional-popolare.

La polemica è avvenuta con i movimenti sulla funzione del partito: se si dovessero sostenere i movimenti e creare una coalizione oppure se si dovesse essere un partito classico che inventava il suo popolo. Ha vinto il progetto di sostituzione della socialdemocrazia, non un progetto di innovazione della sinistra.

Roberto Ciccarelli
All’altro capo del populismo, Alice Weidel dell’Afd in Germania è un caso clamoroso di rovesciamento delle istanze dei movimenti: lesbica, sposata con una cittadina srilankese, ha lavorato per Goldman Sachs e Allianz, sostenitrice di politiche xenofobe, islamofobe ed è contro matrimoni omosessuali. Cosa rappresenta una simile figura?

Rappresenta il vuoto che si riproduce. Come altri personaggi non è un soggetto, ma un prodotto. Nasce sollecitando i peggiori istinti e arriva alla contraddizione più clamorosa con quello che è realmente nella sua vita. A questo in fondo porta il populismo: creare il popolo anche contro ciò che si è. A questa contraddizione si lega il concetto di nazione e poi, nell’ordine, quello di appartenenza regionale e famigliare. Così si articolano forme di proprietà e confine. Il rischio forte è quello della corruzione.

Nella mia vita ho visto molte persone fare cose terribili in nome della famiglia, fino alle peggiori forme di corruzione. Dietro queste appartenenze, ci sono solo barbarie e tribalismi.

Roberto Ciccarelli
Quali sono gli altri populismi?

Toni Negri
Trump ne è un esempio purissimo. A suo modo Macron in Francia gli assomiglia, anche se si comporta da tecnocrate che gestisce al centro destra e sinistra costituzionali secondo il progetto di Juppé.

A destra e a sinistra, ci sono populismi «rilavati». In Mediaset nel caso di Berlusconi, nella rete nel caso dei Cinque Stelle. Melenchon in Francia distingue tra sovranità popolare, quella della rivoluzione del 1789, e sovranismo che sarebbe un concetto di destra; tra l’ideale di «nazione» e quello di «nazionalismo in quanto etnicismo».

In questo e in altri casi, come tra i bolivariani sudamericani, non si riflette mai abbastanza sul fatto che, nel populismo, comandano solo i dominanti e i ricchi che parlano in nome dei molti.

Roberto Ciccarelli
È anche possibile che questa idea di «populismo» produca un contraccolpo sui movimenti, in particolare sull’immigrazione, amplificando un senso comune xenofobo e razzista. Un rischio che si intravede anche nel Labour inglese o nella Linke tedesca. Come spiega questa ambivalenza?

Toni Negri
Esistono due idee che non toglieremo mai alla socialdemocrazia, erede del «secolo breve»: la proprietà e il confine. È un batterio letale, oggi impiantato nel cuore dell’Europa, quando si ergono muri o si spostano i confini oltre il Mediterraneo mandando a morire i migranti nei Lager in Libia.

Rousseau diceva che il più grande delinquente che sia nato è quello che ha detto: «Questa cosa è mia». Ma esiste un delinquente ancora più grande, Romolo, che disse «Questo confine è mio». Sono la stessa cosa: proprietà e confine.

La socialdemocrazia ha maturato questa cultura dopo il 1848, con la rivoluzione romantica. Penso a Mazzini: lui è stato, da questo punto di vista, il primo socialdemocratico: sosteneva la repubblica popolare e la centralità nazionale, due elementi che hanno sempre avuto una sintesi reazionaria, nazional-popolare. La seconda Internazionale socialista fu attraversata da questo spirito contro l’internazionalismo comunardo e cercò di coniugare nazionalità e rivoluzione.

Di contro, il bolscevismo è stato formidabile dal punto di vista della rivoluzione mondiale perché ha unificato comunismo, anti-imperialismo e anticolonialismo. La tragedia dell’anticolonialismo è stato il ritorno del nazionalismo.

Ciò ha comportato un errore di rilievo, e ancora oggi ricorrente nelle politiche centriste variamente declinate: pensare che l’alleanza del proletariato con le classi medie e progressiste sia un passaggio strategico, e non meramente tattico. Le declinazioni del populismo attuale ripetono lo stesso errore: pensano che il concetto di nazione cancelli quello di classe. È un problema con il quale ci dovremo ancora confrontare.

Roberto Ciccarelli
Sempre più spesso si sente dire che l’alternativa al neoliberismo e alla crisi è il lavoro, la piena occupazione, il keynesismo, le nazionalizzazioni. È una soluzione?

Toni Negri
Sono ipotesi che restano confinate nell’agonia del «secolo breve» in cui ancora ci troviamo. Discutiamo ancora di alternative che sono distrutte: socialismo statale e nazionale e liberismo proprietario e privato. Restiamo ostaggio della distinzione tra privato e pubblico e non vediamo cosa gli è passato sotto, e attraverso, tra il Novecento e oggi.

Roberto Ciccarelli
E che cosa è accaduto?

Toni Negri
La disfatta dell’ideologia del privato e del pubblico a causa della trasformazione del modo di produzione. Esiste un nuovo assemblaggio delle forze produttive determinato dalla trasformazione del lavoro che lo ha reso comune e singolarizzato, togliendolo al privato e al pubblico. È una forza-lavoro che funziona solo in modo cooperativo. Cioè in maniera sempre più comune. Oggi il problema è l’organizzazione della produzione sociale e la distribuzione del reddito, non il pieno impiego.

La distinzione tra lavoro/impiego e nuova capacità lavorativa e cooperativa è l’elemento centrale del dibattito e comporta radicali conseguenze di carattere fiscale, politiche sociali, industriali profondamente diverse rispetto al passato.

Roberto Ciccarelli
A sinistra e nel sindacato si sostiene che uno Stato «innovatore» sarà capace di creare tecnologie rivoluzionarie nella green economy, le telecomunicazioni, nanotecnologia o farmaceutica. Le nuove istituzioni di cui parlate nel libro passano dallo Stato e in che rapporto stanno con questa categoria che torna ad avere successo?

Toni Negri
Ben venga questo Stato, gli faccio gli auguri. Mi si permetta tuttavia di notare che questi settori sono sul mercato, organizzate come macchine di estrazione del valore prodotto socialmente, e in questa figura protette, pur malamente, dallo Stato.

In Assembly, ci chiediamo se queste meraviglie possano essere sottoposte a scelte e decisioni democratiche. Rispondiamo di no. Finché non sarà riconosciuto il regime di sfruttamento estrattivo e proprietario (brevetti, rendite finanziarie, organizzazioni monetarie) in cui queste industrie operano, e fino a quando a questo riconoscimento non segua un processo democratico di riappropriazione dei beni comuni.

Ormai è tempo di riappropriazione del comune da parte dei suoi produttori, e di ri-orientamento democratico della gestione del comune: non è lo Stato, ma sono i produttori che devono dire a cosa servono queste tecnologie e quali vantaggi recuperane o quali svantaggi scontare.

Roberto Ciccarelli
La forza lavoro è sempre più organizzata dalle piattaforme digitali: Uber, Deliveroo oppure Task Rabbit. Il potere dei «signori del silicio» è così ampio da spingere a credere che dall’algoritmo passi un’idea popolare, e trasparente, della democrazia. A questo porterà la rivoluzione digitale?

Toni Negri
In queste piattaforme i lavoratori non pensano di usufruire di un più alto grado di democrazia! E lottano e resistono allo sfruttamento bestiale.

È importante tuttavia che si ponga il problema: è possibile rovesciare il funzionamento dell’algoritmo di comando delle piattaforme digitali? Lungi dall’immaginare utopici rovesciamenti delle piattaforme digitali in circuiti cooperativi, sarà possibile dominare quei mostri solo smantellando le condizioni politiche nelle quali l’algoritmo è imposto: quelle del diritto privato e della sua legittimazione statale.

Roberto Ciccarelli
Mark Zuckerberg di Facebook ha ammesso l’importanza del reddito di base. Sarà la Silicon Valley a realizzare quella che è definita un’utopia concreta?

Toni Negri
Zuckerberg ci obbliga a studiare le forme nelle quali le tecnologie e l’attività lavorativa s’intrecciano nella produzione e nell’uso dei social media. È là, in quello spazio, che paradossalmente ci indica la possibilità di far rinascere la democrazia. Credo che questo spazio sia quello sul quale va riaperta la ricerca dei rivoluzionari: è lo spazio che,mutatis mutandis, 150 anni fa, Marx analizzò nel primo volume de Il Capitale.

È là, dove l’uomo s’incontra con lo sfruttamento di nuove macchine e di nuovi padroni, che rinasce la classe e si propone la rivoluzione.

Roberto Ciccarelli
Insomma lei è convinto che solo un reddito di base ci salverà?

Toni Negri
Ma no, è ovvio che in sé non può risolvere il problema. È l’elemento preliminare, e comunque centrale, per la riorganizzazione sociale fondata sul comune e sul superamento delle categorie della proprietà privata e pubblica. È sul terreno finanziario che bisogna confrontarsi.

Il problema è il comando della finanza. Il palazzo d’Inverno oggi sono le banche centrali.

*** Toni Negri: le lotte e i libri

«I movimenti sono l’emblema di quel processo rivoluzionario continuo attraverso il quale il capitale ha voluto imporre il proprio potere sulla vita – ma dove la vita ha violentemente espresso il suo rifiuto» ha scritto Toni Negri nella prima parte della sua autobiografia («Storia di un comunista», Ponte Alle Grazie).

Ottantaquattro anni scanditi dal rapporto con il movimento operaio e quelli sociali.

Politica, ricerca, conflitti, l’arresto avvenuto il 7 aprile 1979 insieme a centinaia di militanti di «Autonomia Operaia» nell’ambito del «teorema Calogero», definito da Rossana Rossanda su I

C’è qualcosa di nuovo oggi nell’aria Toni Negri 17 gennaio 2014

IL MANIFESTO. Quando stava per uscire il primo numero del manifesto, Pintor mi mostrò la prima pagina in bozza. «Che bello!» gridai, affascinato e entusiasta. Allora il desiderio di comunismo traversava i […]

Quando stava per uscire il primo numero del manifesto, Pintor mi mostrò la prima pagina in bozza. «Che bello!» gridai, affascinato e entusiasta. Allora il desiderio di comunismo traversava i nostri discorsi, e concordavamo che il socialismo reale era finito, che la socialdemocrazia era stata ingoiata e sputata fuori come macchina d’assoggettamento dal mostro capitalista; ma che, nonostante questo, l’esperienza comunista di lotta e di pensiero poteva essere rinnovata.

Quanto è lontano quel momento. Molti di noi non ci sono più, altri si sono consumati nel tempo seguito ai favolosi Settanta. Poi ci sono stati anni di disagio morale e di sdegno intellettuale nei quali anche solo la resistenza fu impervia.

Il manifesto ha tenuto. Guerra di posizione? Certamente, ma non senza qualche incursione aggressiva sulle terre desolate dalla lunga crisi che il neoliberalismo imponeva ai soggetti. Così è riuscito – vado alla rinfusa – a difendere i compagni nella lunga fase della repressione (quando in carcere ricevevamo il manifesto, era un momento di leggera, ironica riapertura di speranza – e si sa quanto l’ironia fosse necessaria per sopravvivere in quelle condizioni).

Spesso ce l’ha fatta a testimoniare la continuità ininterrotta delle lotte; poi ha costruito, assieme ai protagonisti e alle protagoniste, i nuovi fronti dell’emancipazione di genere e dell’integrazione dei migranti.

Sempre ha agganciato l’analisi delle vicende italiane ed europee a quella della politica internazionale e del riscatto del Terzo Mondo. E poi tante altre cose, vissute tra il desiderio di comunismo e l’esperienza della crisi.

Sono stato fra quelli che hanno lamentato che nel manifesto la sofferenza della crisi oscurasse il desiderio comunista. E’ vero tuttavia che ciascuno di noi apprese, anche in questo caso, una lezione di realismo – che i vecchi fondatori, a noi, sempre giovani militanti, vollero trasmettere.

Continuiamo dunque con l’avventura del manifesto. Tanto più perché cominciamo a sentire che il tempo della sconfitta, della caduta delle illusioni, e dell’esaurirsi dell’impazienza rivoluzionaria, sta terminando.

Abboniamoci – c’è qualcosa di nuovo oggi nell’aria che emerge dalle tenebre.

Abboniamoci al manifesto: lasceremo ai giovani che vengono un bel cavallino di legno.

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