Giacomo Gabellini: Un Vietnam israeliano?
Un Vietnam israeliano?
di Giacomo Gabellini
Qualche giorno fa, il «Washington Post» ha rivelato che, a partire dallo scatenamento dell’Operazione Spade di Ferro, Israele ha lanciato contro la Striscia di Gaza oltre 22.000 bombe messe a disposizione dagli Stati Uniti, come si evince dai dati di intelligence di cui il Congresso ha recentemente autorizzato la divulgazione. Entro l’arco temporale in oggetto, Washington avrebbe fornito a Israele circa 15.000 ordigni (comprese le bombe anti-bunker da 2.000 libbre) e più di 50.000 proiettili di artiglieria. Un tipo di munizionamento smaccatamente incompatibile le cosiddette “operazioni chirurgiche”, ma perfettamente coerente con una campagna di bombardamenti a tappeto come quella che le forze israeliane stanno conducendo contro la Striscia di Gaza.
All’11 dicembre, il Ministero della Sanità di Gaza quantificava in oltre 18.200 morti e circa 47.000 feriti il numero delle vittime palestinesi mietute dagli attacchi israeliani, senza distinguere tra civili ed effettivi di Hamas. All’interno di un rapporto stilato dall’Israeli Defense Force, invece, si giudica “verosimile” un ammontare complessivo pari a circa 15.000 morti, tra cui “oltre 5.000” membri di Hamas. Un rapporto di due vittime civili per ogni miliziano di Hamas assassinato, che secondo il portavoce dell’esercito israeliano Jonathan Conricus certificherebbe il successo delle operazioni militari. A suo avviso, «qualora, come credo, i nostri numeri verranno confermati, si tratterebbe di un bilancio straordinariamente positivo e forse unico al mondo, se si confrontano questi dati con quelli afferenti a qualsiasi altro conflitto combattuto in territorio urbano tra un esercito e un’organizzazione terroristica incorporata nella popolazioni locale che utilizza i civili come scudi umani».
Alessandro Volponi: Costituzione e politica economica
Costituzione e politica economica
di Alessandro Volponi*
È possibile desumere dal testo della Costituzione i lineamenti generali della politica economica che ogni governo della Repubblica dovrebbe perseguire? Lineamenti generali ovviamente e non un articolato complesso di provvedimenti e atti valido per tutte le stagioni, per ogni fase del ciclo economico, per ogni grado dello sviluppo. Cercherò di mostrare che è possibile, anzi necessario, solo dopo avere esaminato alcuni articoli che precedono il titolo III della prima parte della Costituzione (Rapporti economici) e che determinano, nell’insieme, una notevole espansione della spesa pubblica: l’art. 7 che costituzionalizza gli onerosi patti lateranensi; l’art. 9 che impegna i governi a promuovere lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica, a tutelare ambiente e patrimonio storico e artistico; l’art. 10 che prevede il diritto d’asilo; l’art. 24 III comma che garantisce i mezzi per agire o difendersi davanti a ogni giurisdizione ai non abbienti; l’art. 28 che estende allo Stato la responsabilità civile per atti compiuti in violazione di diritti da dipendenti dello Stato; l’art. 30 comma II che impone allo Stato il mantenimento dei figli in caso di incapacità dei genitori; l’art. 31 che assicura misure economiche per la formazione della famiglia e protezione per la maternità, l’infanzia e la gioventù; l’art. 32 che fonda il diritto alla salute e garantisce cure gratuite agli indigenti (già molto numerosi si erano moltiplicati nel corso della guerra); l’art. 34 che stabilisce l’istruzione obbligatoria e gratuita, almeno per otto anni, in un paese ancora afflitto da analfabetismo e semianalfabetismo di massa e che dispone inoltre borse di studio per i capaci e meritevoli che vogliano raggiungere i gradi più alti degli studi; l’art. 35 I comma che impegna lo Stato a curare la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori; l’art. 37 I comma che assicura alla madre lavoratrice una speciale adeguata protezione; l’art. 38 che istituisce il diritto al mantenimento degli inabili al lavoro, il diritto dei lavoratori ai mezzi per vivere in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria, infine il diritto dei minorati all’educazione e all’avviamento professionale.
Andrea Fumagalli: Il vero volto della politica economica del governo Meloni
Il vero volto della politica economica del governo Meloni
di Andrea Fumagalli
La fine del mese di novembre 2023 e la prima settimana di dicembre verranno ricordate dai posteri per aver mostrato il vero volto della politica economica del governo Meloni, proprio nel momento in cui la stampa mainstream e di destra si sforzavano di sottolineare come fosse stato raggiunto il più elevato tasso d’occupazione mai registrato in Italia, a riprova della bontà delle scelte governative…
1. Il mercato del lavoro in Italia
“Nonostante l’economia in frenata, l’occupazione continua a crescere: in un anno + 458mila lavoratori”, con 27 mila occupati in più nel solo mese di ottobre. Così titolava il Sole 24ore di giovedì 30 novembre 2023. Un titolo più o meno simile a quello di tutti gli altri grandi quotidiani. Tale performance ha portato il tasso di occupazione al 61,8% (+0,1 punti), toccando così un nuovo record. Nel mese di ottobre 2023, ultima rilevazione, cresce anche il numero di persone in cerca di lavoro (+2,3%, pari a +45mila unità): un aumento che coinvolge sia gli uomini sia le donne e riguarda tutte le classi d’età a eccezione dei 35-49 che registrano un lieve calo. Il tasso di disoccupazione totale sale così al 7,8% (+0,1 punti) e quello giovanile al 24,7% (+1,5 punti). Tale apparente paradosso (la simultanea crescita di occupati e disoccupati) è spiegata dalla forte riduzione degli inattivi: -69mila unità sul mese.
Occorre ricordare che a partire dal 2021, sono considerate occupate “le persone che, durante la settimana di riferimento, hanno lavorato per almeno un’ora a fini di retribuzione o di profitto, compresi i coadiuvanti familiari non retribuiti”. Il dato tanto sbandierato come il più elevato dal 1977 (anno di inizio delle serie storiche Istat sull’occupazione) dal governo Meloni non può quindi essere comparato con i dati sull’occupazione precedente al 2021. Alla luce della nuova definizione, l’essere occupato/a non è più garanzia di un reddito stabile superiore alla soglia di povertà relativa. Differenziando i dati per settore, infatti, l’occupazione cresce di più nei settori caratterizzati da “lavoro povero” a minor valore aggiunto, quali costruzioni, terziario arretrato, logistica, servizi di cura e pulizie.
Fabrizio Verde: Il neoliberismo di Milei: un modello fallimentare che torna in Argentina
Il neoliberismo di Milei: un modello fallimentare che torna in Argentina
di Fabrizio Verde
Le ricette economiche con cui il nuovo presidente dell’Argentina, il fanatico neoliberista Javier Milei, assicura di rialzare il paese dalla crisi che lo travolge sono ormai ben note.
L’ammiratore argentino delle teorie fallimentari di economisti come Milton Friedman, sostiene misure come le privatizzazioni selvagge che comprendono assett strategici e sanità, de-regulation estrema, cancellazione delle tutele lavorative, austerità, pareggio di bilancio e via dicendo. Politiche di lacrime e sangue confermate dallo stesso Milei durante il suo discorso investitura. Un discorso dove ha praticamente affermato, tra gli applausi scroscianti dei suoi sostenitori, che è pronto a sacrificare il popolo argentino sull’altare degli interessi capitalistici.
Nel suo primo incontro con la stampa il portavoce presidenziale Manuel Adorni ha affermato: “Cambieremo il contratto sociale in modo che ci sia rispetto per la legge, le libertà individuali e la proprietà privata. È chiaro che i tempi del cambiamento stanno arrivando e saranno complessi”. La battaglia principale, ha aggiunto, riguarderà la crescita dell’economia, per la quale è necessario risolvere i problemi strutturali in termini di politica fiscale.
Piccole Note: Haaretz: dubbi sul Protocollo Annibale e i costi della guerra
Haaretz: dubbi sul Protocollo Annibale e i costi della guerra
di Piccole Note
Protocollo Annibale, le autorità non hanno approfondito perché non c’è “interesse a chiedere conto…”. Il caso del kibbuz Be’eri. Qualcosa non torna nei conteggi delle perdite dell’IDF
“Se Israele ha utilizzato una procedura controversa contro i suoi cittadini, dobbiamo parlarne ora”. La procedura evocata dal titolo di questo articolo di Haaretz è il “Protocollo Annibale”, norma non scritta in vigore nell’esercito israeliano che legittima l’uccisione di eventuali prigionieri se non c’è altro modo per evitare che siano rapiti. Secondo Noa Limone, che redige la nota, tale protocollo potrebbe essere stato applicato in uno scontro avvenuto a Be’eri durante l’attacco di Hamas del 7 ottobre.
Protocollo Annibale: tema più che sensibile
Coraggiosa la cronista, perché pone una domanda su uno dei temi più sensibili della narrazione israeliana. Da tempo, penne aliene dal mainstream hanno pubblicato articoli che rivelerebbero tale retroscena, adducendo testimonianze apparse sui media israeliani e documentazione varia. Ma Israele ha negato con veemenza che il suo esercito, nella foga di contrastare l’attacco di Hamas, abbia applicato la controversa direttiva.
Emiliano Brancaccio: “Non bisogna parlare della lotta di classe, ma farla”
“Non bisogna parlare della lotta di classe, ma farla”
Umberto De Giovannangeli intervista Emiliano Brancaccio
L’economista interviene nel dibattito lanciato sull’Unità: “L’hanno chiamata globalizzazione, innovazione, meritocratizzazione. Ma in sostanza è stata una lunga, feroce ed efficacissima lotta della classe capitalista egemone contro le lavoratrici e i lavoratori, per cancellare le conquiste sociali del secolo breve”
È possibile una politica di sinistra che faccia di nuovo perno sugli interessi degli sfruttati? Si può rimodellare la politica economica sulle istanze di lotta della classe lavoratrice? Dopo l’intervento iniziale di Paolo Franchi, che ha avviato un confronto di idee proseguito con Michele Prospero, l’Unità interroga Emiliano Brancaccio, economista e modernizzatore del marxismo, che sulla prospettiva di una “rivoluzione” della politica economica ha spesso dibattuto con i massimi responsabili di governo del paese.
* * * *
“Scontro sul salario: la lotta di classe è il motore della politica”. Questo è il titolo che l’Unità ha dato a un recente articolo di Paolo Franchi. Professor Brancaccio, è così?
È una parafrasi della tesi di Marx ed Engels: la storia di ogni società finora esistita è storia di lotte di classe. Come tutti i grandi scienziati anche quei due commisero errori. Ma su questo punto epistemologico decisivo avevano buone ragioni.
Alberto Bradanini: Pietra: materiale sovente impiegato per la costruzione di cuori
Pietra: materiale sovente impiegato per la costruzione di cuori
di Alberto Bradanini
Nelle righe che seguono è assunta quale base di riflessione la coraggiosa analisi[1] della tragedia di Gaza da parte del politologo americano di scuola realista, John J. Mearsheimer
Solo un cupo cinismo che rispecchia l’esecrabile deficit di etica umana che permea una società asservita a una capillare manipolazione consente di obliterare l’immensità dei crimini contro l’umanità che Israele (e personalmente i singoli membri del governo/esercito israeliani) continuano a commettere a Gaza contro persone inermi, uomini, donne e bambini, che muoiono sotto le bombe della sola democrazia del Medio Oriente, come i media al libro paga amano definire lo Stato Ebraico dell’Apartheid. Ciò che si dipana ogni istante sotto lo sguardo impotente del mondo eticamente evoluto costituisce un massacro deliberatamente pianificato. Insondabile è la profondità della tragedia umanitaria che si abbatte sul corpo di persone innocenti[2]. Che tale condotta cada o no sotto la definizione di genocidio è una questione che va lasciato ai legulei giustificazionisti.
Di certo non saranno queste parole di esecrazione a fermare i responsabili di tali atrocità, impermeabili come sono a ogni umana empatia. La storia, tuttavia, resta implacabile, ogni accadimento viene registrato e alla fine rimbalza. Sebbene oggi appaia improbabile, non si può tuttavia escludere che i criminali impuniti vengano un giorno tradotti sul banco degli imputati.
In ogni caso, se non a quello degli uomini essi dovranno rispondere delle loro nefandezze al tribunale della storia. A quel punto, insieme agli aguzzini, vedremo allungarsi le ombre dei loro complici, in prima fila le oligarchie americane che tollerano tutto ciò e a seguire quelle europee (e nella sua nota posizione del missionario anche quella italiana). A fianco di costoro vedremo quindi sfilare la schiera degli indifferenti, non certo caratterizzata da umana partecipazione, che farà i conti con la lacerazione della coscienza o quel che di essa sarà rimasto.
Toni Negri: L’eternità ci abbracci
L’eternità ci abbracci
di Toni Negri
Con queste parole, quattro anni or sono, concludendo Storia di un comunista 3 – Da Genova a domani, Toni parlava con serenità della propria morte
Mi sembra talora di essere completamente estraneo al mondo che mi sta attorno. Curiosa sensazione per qualcuno che ha riempito tre volumi di una storia di intensa immersione nell’esistente. Probabilmente, mi dico, avviene perché sono vecchio – per quanto mi agiti nel cercare di tenere aperta la comunicazione con amici più giovani e svegli, la mia percezione è ottusa. Poi però mi chiedo: non può darsi che questa mia considerazione del mondo e questa convinzione di estraneità non siano vere? Vere? Intendo che quella percezione di estraneità non dipenda da me, dalla mia insufficiente o ridotta attenzione, ma che il mondo che mi circonda sia davvero brutto e inconsistente. Non sarà che alla mia fiducia nell’essere, alla mia ammirazione per quello che è vivo, non corrisponda più qualcosa che si possa amare?
Brutto, bello, vivo, amato… sono aggettivi di difficile definizione e di altissima relatività. Forse allora, per confermare il mio dubbio, a questi termini non dovrei affidarmi. Forse l’unico aggettivo che vale, fra i molti che fin dall’inizio utilizzo, è “estraneo”. Un effetto di straniazione è quello che provocano in me linguaggi e umori, non importa se individuali o collettivi, che risuonano nella società, fuori di me. Penso di esser sordo e di sentire suoni confusi. In realtà, un po’ sordo sono ma i suoni confusi non li sento con l’orecchio ma con l’anima, con il cervello. Mi sfugge il mondo attorno. Ho avuto una lunga vita, ho conosciuto contraddizioni enormi e conflitti mortali, sempre tuttavia sapevo di che si trattava, gli elementi della contraddizione e del conflitto stavano dentro un quadro noto, comunque significante – perché allora il significato degli eventi che oggi si dànno attorno a me s’iscurisce e mi sfugge? In cosa consiste la loro insignificanza? A rappresentare questa estraneità c’è un mondo nuovo. Un mondo nuovo ma affaticato, prostrato davanti alle difficoltà fisiche, politiche e spirituali, della propria riproduzione.
Raffaele Alberto Ventura: Chi ha scritto la regola del gioco?
Chi ha scritto la regola del gioco?
Alessandro Lolli intervista Raffaele Alberto Ventura
La comunicazione ai tempi del politicamente corretto. Una conversazione con Raffaele Alberto Ventura a partire dal suo La regola del gioco
All’inizio del decennio scorso consigliai a un amico un blog che seguivo da un po’. La sua risposta la ricordo ancora oggi. Si trattava di Eschaton, un blog di commento obliquo all’attualità da una prospettiva… particolare. L’autore si chiamava Raffaele Alberto Ventura, aveva appena trent’anni, si era laureato con una tesi in epistemologia sulle dispute eucaristiche e osservava la modernità con sospetto, con uno sguardo insieme conservatore e postmoderno. Il mio amico invece era -ed è – un punk anarchico individualista e, leggendo queste riflessioni così ai suoi antipodi, mi disse: “un bellissimo blog di controcultura”.
Mi è rimasto impresso quel giudizio, un punk che conferiva la medaglia della “controcultura” a un conservatore. E lo trovavo pertinente: entrambi, da posizioni diverse, si trovavano ai ferri corti con una certa egemonia culturale. Di acqua ne è passata sotto i ponti da allora, Ventura oggi è un autore affermato con quattro libri all’attivo. L’ultimo, appena uscito per Einaudi, si chiama La regola del gioco e, dopo averlo letto, per la prima volta in tutti questi anni, ho avuto l’impressione che Raffaele non si meritasse più quella medaglia. Mi sembrava infatti che avesse scelto consapevolmente di difendere quell’insieme di norme, consuetudini, ingiunzioni esplicite e implicite che regolano il nostro mondo in modo molto più strutturato di dieci anni fa e che insomma si fosse arreso a quella cultura con cui un punk anarchico lo aveva giudicato incompatibile. Allora ho deciso di parlargliene. Questa è la discussione che abbiamo avuto.
* * * *
Alessandro Lolli: Chi è il target di questo libro?
Raffaele Alberto Ventura: Il “lettore ideale” del libro è qualcuno che non ha mai letto un mio libro e che mai lo leggerebbe, qualcuno che non cerca una “teoria” astratta ma uno strumento concreto.
Antonio Cantaro: Elogio del cattivo maestro
Elogio del cattivo maestro
di Antonio Cantaro
È morto Toni Negri, un “cattivo maestro” hanno scritto in queste ore tante agenzie di stampa e tanti quotidiani del “bel paese”. Brutto paese. Non perché si è obbligati a parlar bene di chi se ne va anche da parte di chi, come me, non lo ha amato né intellettualmente né politicamente.
Brutto paese perché almeno queste ore potevano essere l’occasione per riflettere sulla disgrazia di scuole e Università che non producono più cattivi maestri. Senza, infatti, l’esistenza di cattivi maestri non si producono studenti curiosi, inquieti, dunque ricchi di conoscenze. E tanto meno buoni maestri. Basta, per verificarlo, entrare in una qualsiasi aula di quella che un tempo era la Repubblica italiana.
L’elogio del cattivo maestro, fornito qualche anno fa dallo stesso Toni Negri (non parlava di sé ma di altri, di un giurista, Luigi Ferrari Bravo), andrebbe letto e meditato nei prossimi giorni nelle scuole di ogni ordine e grado. E siccome questo non accadrà – siamo un brutto paese – leggerò, a beneficio dei miei lettori, i passaggi salienti. Acutissimi e colti. Come dire tutto ciò che oggi aborriamo.
Paolo Favilli: Neoliberismo, non basteranno i pentimenti teorici
Neoliberismo, non basteranno i pentimenti teorici
di Paolo Favilli
Il complesso normativo liberista ha come punto di riferimento un complesso teorico. Siamo portati a pensare che tra tenuta del complesso teorico e tenuta del quadro normativo ci sia una relazione biunivoca, magari non eccessivamente rigida. Se, però, il quadro di riferimento teorico si dimostra fallimentare nello spiegare i processi economici in corso, come sta avvenendo da tempo, anche il quadro normativo dovrebbe mostrare elementi accentuati di crisi. Invece la stabilità della cornice neoliberista che definisce la nostra realtà economico-politica non mostra alcun segno di cedimento. Dopo l’apoteosi degli anni Novanta del XX secolo, agli inizi del nuovo, prima con gli scricchiolii delle microcrisi, poi con la grande crisi iniziata nel 2008, la forma neoliberista del «capitalismo reale», diventa di nuovo oggetto primario di studio. E anche al di fuori dall’area degli economisti critici, tra economisti di formazione neoclassica cominciano a emergere ripensamenti e persino abbandoni di alcuni lineamenti teorici.
Comidad: Quando la rivoluzione idealizza il sistema che dovrebbe combattere
Quando la rivoluzione idealizza il sistema che dovrebbe combattere
di comidad
Nel 1968 Mario Capanna e soci andavano a contestare una Prima della Scala che rappresentava un rituale di autocelebrazione dell’establishment. Ai primi dell’800 la borghesia aveva già dimostrato la sua inconsistenza non solo come classe dirigente ma anche come classe sociale, perciò si era aggrappata prima al cesarismo napoleonico, poi alla Restaurazione, poi alla parodia del bonapartismo di Napoleone III. In Inghilterra, in Germania e nel resto d’Europa la mitica borghesia cercava i suoi punti di riferimento nei residui dell’aristocrazia, di cui imitava anche i rituali, dalle prime dell’Opera ai balli delle debuttanti. Nel ‘900 la cosiddetta borghesia avrebbe addirittura abbandonato la sua retorica liberale per gettarsi nelle braccia del fascismo e del nazismo, che vennero coltivati e vezzeggiati non solo in Italia e Germania ma da tutte le oligarchie del mondo. Fino a qualche decennio fa però il mito borghese permaneva e l’establishment italico andava a specchiarcisi ogni anno, fingendo di ascoltare un’opera di cui non fregava nulla a nessuno dei presenti.
Alastair Crooke: Riflessioni strategiche da Mosca
Riflessioni strategiche da Mosca
di Alastair Crooke – strategic-culture.su
La tensione intrinseca e la mancanza di uno scambio autentico sono peggiori rispetto al periodo della Guerra Fredda, quando i canali di comunicazione erano comunque rimasti aperti
Le relazioni tra Stati Uniti e Russia hanno toccato il fondo; la situazione è peggiore di quanto si possa immaginare. Nei discorsi con gli alti funzionari russi, è evidente che gli Stati Uniti trattano i primi come nemici palesi. Per farsi un’idea, è come se un alto funzionario russo chiedesse: “Cosa volete da me?”. La risposta potrebbe essere: “Che tu fossi morto”.
La tensione intrinseca e la mancanza di uno scambio autentico sono peggiori rispetto al periodo della Guerra Fredda, quando i canali di comunicazione erano comunque rimasti aperti. Questa lacuna è aggravata dalla mancanza di senso politico tra i leader politici europei, con i quali non è possibile intavolare una discussione sensata.
I funzionari russi riconoscono i rischi di questa situazione. Tuttavia, non sanno come correggerla. Anche il tenore del discorso è scivolato da una vera e propria ostilità verso la meschinità: gli Stati Uniti, ad esempio, potrebbero bloccare l’accesso alla missione russa all’ONU agli operai addetti alla riparazione delle finestre rotte.
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