Paolo Arigotti: L’Ucraina ha perso la guerra?
L’Ucraina ha perso la guerra?
di Paolo Arigotti
Il conflitto in Ucraina, che secondo la narrazione “comune” sarebbe iniziato il 24 febbraio 2022, ma in realtà scoppiato assai prima, sembrerebbe avviarsi al suo epilogo. Utilizziamo il verbo “sembrare” perché l’esperienza insegna come formulare previsioni circa i teatri conflittuali sia sempre un azzardo, ma soprattutto perché ci sono molte altre variabili da considerare. Basterebbe sfogliare il saggio “Scemi di guerra”[1], di Marco Travaglio, uscito a febbraio scorso, per leggervi di innumerevoli previsioni rivelatesi fallaci e/o ispirate alla logica del “wishful thinking”.
Lasciando perdere analisti improvvisati e/o divulgatori vari ed eventuali, prenderemo spunto da un articolo recentemente pubblicato da Seymour Hersh, giornalista investigativo e vincitore del premio Pulitzer[2], intitolato “Da Generale a Generale. In Ucraina i leader militari stanno trattando la possibilità della pace”. Hersh parla di presunti (e segreti) colloqui di pace tra il generale Valery Zaluzhny, comandante delle forze armate di Kiev e Valery Gerasimov, capo di stato maggiore russo: secondo l’autore: “La forza trainante di questi colloqui non è stata Washington o Mosca, Biden o Putin, ma piuttosto i due generali di alto rango che conducono la guerra, Valery Gerasimov e Valery Zaluzhny”.
La bozza d’intesa prevederebbe un via libera di Mosca all’ingresso di Kiev nella Nato, a condizione che l’alleanza non collochi proprie truppe e/o armamenti offensivi in territorio ucraino; la Crimea verrebbe formalmente riconosciuta come parte della Federazione russa – come nei fatti è, dal 2014 – mentre nelle restanti regioni contese, Donbass e Novorossiya (Zaporozhie e Kherson), si svolgerebbe un referendum popolare per ratificarne l’adesione alla Russia.
Laura Bazzicalupo: Democrazia, ultimo atto?
Democrazia, ultimo atto?
di Laura Bazzicalupo
Il libro che qui si recensisce – Democrazia: ultimo atto? di Carlo Galli – è il libro di un maestro. Cioè di qualcuno capace di prendere la distanza dal coro dominate del pensiero unico, e indicare una rotta, un modo di pensare critico. Controcorrente rispetto al presentismo assoluto, statico e incapace di ragionare sulla complessità dei fatti, schiacciati su posizioni predefinite. Siano esse ciniche “è così e così deve andare”, o normative-astratte e moraliste: ineffettuali e, alla fin fine, funzionali allo status quo. Eppure l’urgenza è evidente: la democrazia sta morendo, forse è già morta e siamo al suo ultimo atto. Carlo Galli, certo, non poteva scegliere un titolo migliore per trasmettere il senso di urgenza, di fragilità e di chiamata all’impegno. Non c’è quasi più tempo: è l’ultima, più recente crisi della democrazia o è il suo tramonto, il finale del dramma?
Il metodo magistrale di Galli è storico-genealogico: dialettico, attiva anche la radicalità del pensiero negativo. Si fa carico totalmente della contingenza, focalizzando discontinuità e persistenze, sempre contestualizzate. Una storicità dunque non storicista, ma radicale e come tale inevitabilmente geostorica e geopolitica.
La storia non va di moda – al massimo la si evoca per farne un tribunale funzionale alla retorica, falsandola, dunque, e piegandola a piacimento.
Galli ci dice che è ora di riprenderla sul serio, assumendo quel pensiero non analitico e astratto ma dialettico che solo – mettendo in gioco tempi e spazi – rende tangibile appunto la contingenza della democrazia (dice Galli: non è un destino…), la sua fragilità, ma anche la sua modificabilità.
Vincenzo Comito: Il multipolarismo imperfetto prossimo venturo
Il multipolarismo imperfetto prossimo venturo
di Vincenzo Comito
La crisi dell’egemonia occidentale sul mondo potrebbe condurre a un multipolarismo imperfetto, con medie potenze che si muovono tra fronti opposti in cerca di benefici. Per non piombare in un caos sistemico è necessario ridisegnare le istituzioni internazionali affinché rispondano agli equilibri e alle esigenze del presente
La fine del vecchio ordine
Oggi si trovano quasi tutti d’accordo sull’idea che il mondo uscito dalla seconda guerra mondiale sta ora progressivamente svanendo, come intitolava, ad esempio, un recente articolo di “Le Monde” (Frachon, 2023) e come veniva anche ribadito, sempre recentemente, dal Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres (“le strutture attuali di governance mondiale riflettono il mondo di ieri”); ma ci sono idee piuttosto confuse, almeno in parte, su come esso si stia veramente trasformando e in che direzione si stia realmente andando. Peraltro non manca chi cerca di frenare il movimento.
Certo, non siamo nella situazione in cui si è trovato a suo tempo Claudio Rutilio Namaziano, che, partito un giorno in nave da Roma per ritornare alla natia Gallia dopo un soggiorno nella capitale dell’Impero, e facendo sosta ogni sera lungo il percorso in un porto diverso, assistette in tempo reale al crollo in pochi giorni del sistema imperiale, città per città, sotto in particolare la spinta dei Vandali da una parte, dei Goti dall’altra, come riferisce nella sua opera De reditu suo. Nel nostro caso il percorso appare invece lungo e tortuoso.
Un’altra cosa che trova quasi tutti d’accordo, collegata alla precedente, è il fatto che la potenza economica, finanziaria, tecnologica, militare degli Stati Uniti, sino a ieri paese di gran lunga dominante, si stia progressivamente riducendo almeno in maniera relativa rispetto al resto del mondo, anche se il dibattito è aperto su quanto forte sia tale riduzione e come si collochi oggi invece in termini di peso effettivo la potenza in ascesa, la Cina, rispetto a quello degli Stati Uniti.
Alessandro Bianchi: Elena Basile: Gaza e non solo: “L’Italia della Meloni ultima pedina del carro”
Elena Basile: Gaza e non solo: “L’Italia della Meloni ultima pedina del carro”
di Alessandro Bianchi
Le responsabilità dell’occidente nella mattanza in corso a Gaza, il ruolo della diplomazia internazionale e la posizione dell’Italia nelle attuali crisi
Questi i temi principali della nostra intervista per “Egemonia” a Elena Basile, ex ambasciatrice in Svezia, scrittrice e divulgatrice che, prima con lo pseudonimo Ipazia sul Fatto Quotidiano e poi in prima persona in TV, ha messo in campo coraggio e competenza per squarciare il velo di immensa ipocrisia e censura sui temi di politica internazionale.
Sull’astensione dell’Italia all’Assemblea delle Nazioni Unite, i toni dell’Ambasciatrice sono durissimi. “Questo Governo di estrema destra-centro si è reso complice dei crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati a Gaza dal terrorismo di Stato di Israele. Distaccandosi da Paesi mediterranei come Francia e Spagna che hanno sottoscritto la risoluzione almeno per una tregua umanitaria, ha perso ogni credibilità nei confronti dei Paesi arabi ed è surrealistico pensi di poter divenire protagonista di un fantomatico piano Mattei per la cooperazione con la sponda sud del Mediterraneo”.
Renato Caputo e Holly Golightly: Losurdo e la centralità della questione nazionale
Losurdo e la centralità della questione nazionale
di Renato Caputo e Holly Golightly
Il marxismo orientale, ponendo l’accento sul patriottismo e sulla lotta di liberazione nazionale dei popoli coloniali, mostra – a parere di Losurdo – di essere più vicino del marxismo occidentale alla lezione di Lenin che insiste sulla centralità della lotta portata avanti da chi si batte per il diritto all’autodeterminazione
Molti marxisti occidentali non hanno compreso l’importanza delle lotte dei popoli coloniali per l’indipendenza e l’emancipazione ma, a parere di Domenico Losurdo, anche coloro che, nel corso degli anni Sessanta e Settanta del Novecento, simpatizzano con tali lotte – come ad esempio Althusser – sembrano non capirle pienamente soprattutto perché non evidenziano una delle loro caratteristiche fondamentali: l’essere, cioè, essenzialmente dei movimenti di liberazione nazionale.
W. Adorno, ad esempio, in Dialettica negativa del 1966 considera “obsoleto” lo spirito nazionale e “reazionaria” e “provinciale” la tesi hegeliana dello spirito del popolo. Per Adorno “quanto più un universale è ammantato con le insegne del soggetto collettivo, tanto più i soggetti vi scompaiono senza lasciar traccia […].
Marta Mancini: La versione di Yeoshua
La versione di Yeoshua
di Marta Mancini
Come si spiega che un popolo, segnato nella sua storia più recente dall’orrore della Shoah, possa sopportare l’annientamento di un altro popolo, per giunta semita? Come si arriva a legittimare un tale paradosso che contrasta perfino con la misura vetero testamentaria della proporzionalità tra l’offesa e la vendetta?
Per quanto la domanda possa apparire ingenua e perfino grossolana, il massacro di Gaza chiama in causa una questione non solo radicale ma anche scomoda e a rischio di clamorosi fraintendimenti: l’identità ebraica e quanto di enigmatico si agita nell’anima profonda di un popolo che ha eletto l’unicità a suo tratto distintivo. E non a torto, perché la componente ebraica in ogni campo dello scibile ha contribuito nobilmente alla formazione della cultura europea nella quale ci siamo specchiati e riconosciuti. Così, parafrasando Benedetto Croce a proposito del cristianesimo, non possiamo non dirci ebrei. La schiera di personalità influenti stabilisce infatti un autentico primato, considerando che da sempre il popolo ebraico ha rappresentato un’esigua e tribolata minoranza e che anche oggi si stimano intorno ai 15 milioni di ebrei nel mondo, di cui poco meno della metà in Israele.
Mario Lombardo: Israele, fuoco sugli ostaggi
Israele, fuoco sugli ostaggi
di Mario Lombardo
L’assassinio da parte di soldati israeliani di tre loro connazionali prigionieri di Hamas potrebbe diventare un evento decisivo nella guerra scatenata dallo stato ebraico contro la popolazione palestinese a Gaza. Nel fine settimana anche un’indagine ufficiale delle forze armate sioniste ha confermato che i tre giovani si erano fatti riconoscere inequivocabilmente come prigionieri che cercavano aiuto da una squadra di militari israeliani. Questi ultimi, invece, coerentemente con le “regole di ingaggio” osservate finora, hanno aperto il fuoco uccidendoli senza il minimo indugio o scrupolo.
L’episodio, accaduto venerdì nel quartiere Shijaiyah di Gaza City, ha subito scatenato nuove proteste in Israele contro il regime di Netanyahu. Manifestanti si sono accampati all’esterno del ministero della Difesa a Tel Aviv a partire da sabato per chiedere la ripresa immediata di negoziati con la resistenza palestinese e ottenere la liberazione di tutti gli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas.
Leo Essen: Operaio Sociale. Hans Jürgen Krahl
Operaio Sociale. Hans Jürgen Krahl
di Leo Essen
I
La malinconia di molti marxisti cosiddetti occidentali, malinconia dovuta alla scoperta che nell’Unione Sovietica il comunismo non si era avverato di botto, portò a un’avversione per l’Economico che ancora alla fine degli anni Sessanta, in una persona come Krahl, non accennava a passare.
In una notarella al Che Fare?, scritta nel 1967, all’età di 24 anni, il brillante marxista tedesco, cresciuto all’ombra di Adorno, scrive quanto segue: La prassi economicista rinuncia alla sovversione e alla rivoluzione, si schiera con la riforma. La prassi economica comprende la sola attività tradunionista. La lotta meramente economica integra le masse nei rapporti di dominio economico e le costringe all’apatia.
Nonostante le analisi di primo livello, analisi che in molti punti sono in linea, per esempio, con la decostruzione francese, segno dalla magna cucuzza del ragazzo; nonostante una lettura precisa del suo tempo, Krahl subisce il fascino di quella malinconia che aveva preso le menti di quei marxisti, i quali, per età, avevano vissuto direttamente la delusione sovietica.
Non c’era bisogno che Krahl (insieme ad altri, certamente) gettasse questo discredito sull’Economico spingendo molti marxista a perdere tempo sul Politico e sul Concetto di politico – sull’autonomia del politico, eccetera.
Rimane che il suo contributo, seppur frammentario, è di primissimo livello.
II
Nel 1969, in un saggio pubblicato su Corrispondenza Socialista, Krahl insiste su questo tema.
Roberto Iannuzzi: Netanyahu, la parabola del capitalismo israeliano e la crisi di Israele
Netanyahu, la parabola del capitalismo israeliano e la crisi di Israele
di Roberto Iannuzzi
E’ ormai una “classe capitalista transnazionale” a controllare le sorti economiche, e spesso anche politiche, del paese. Ed è il premier Netanyahu ad averne supervisionato l’ascesa
A fine ottobre, un gruppo di 300 economisti israeliani ha inviato una lettera al primo ministro Benjamin Netanyahu e al ministro delle finanze Bezalel Smotrich, chiedendo loro di bloccare immediatamente tutte le voci di spesa non essenziali nel bilancio statale, e di riconsiderare le priorità di spesa per far fronte all’incombente crisi economica provocata dalla guerra in corso con Hamas.
“Non cogliete l’entità della crisi che l’economia israeliana sta per affrontare”, affermava la lettera. “Proseguire nell’attuale condotta danneggia l’economia, mina la fiducia dei cittadini nel sistema pubblico e compromette la capacità dello Stato di Israele di riprendersi dalla situazione in cui si trova”.
Tra i firmatari vi era l’ex governatore della Banca di Israele, Jacob Frenkel, ed altri economisti che avevano ricoperto ruoli di spicco nella banca, nel ministero delle finanze, e nel sistema economico e finanziario israeliano.
Ripercussioni economiche del conflitto
Secondo un sondaggio, già a fine ottobre circa il 70% delle aziende tecnologiche e delle startup israeliane si trovava a fare i conti con interruzioni delle proprie attività poiché molti dei loro dipendenti erano stati richiamati come riservisti nell’esercito.
Michel Strawczynski, economista presso l’Università Ebraica di Gerusalemme ed ex direttore del dipartimento di ricerca della banca centrale israeliana, ha affermato che due precedenti conflitti – la guerra in Libano nell’estate del 2006 e quella contro Hamas nel 2014 – erano costati a Israele fino allo 0,5% del PIL avendo colpito principalmente il settore turistico.
Giangiorgio Pasqualotto: Recensione a “La Cina al centro” di Maurizio Scarpari
Recensione a “La Cina al centro” di Maurizio Scarpari
di Giangiorgio Pasqualotto
Recensione a Maurizio Scarpari, La Cina al centro. Ideologia imperiale e disordine mondiale, Bologna, il Mulino 2023
Di Maurizio Scarpari, uno dei più importanti sinologi italiani – già docente di ”Lingua cinese classica” all’Università Ca’ Foscari di Venezia – l’editrice bolognese “il Mulino” ha appena pubblicato La Cina al centro. Ideologia imperiale e disordine mondiale, un volume importante, denso di aggiornatissime informazioni altamente qualificate, ma anche impreziosito da riflessioni di carattere strico e filosofico. Il libro si presenta in una prospettiva di continuità e di completamento rispetto al precedente Ritorno a Confucio, apparso nel 2015, sempre per i tipi dell’editrice “il Mulino”. I due volumi risaltano entrambi come strumenti indispensabili per conoscere, da un lato, i principi della grande tradizione culturale cinese e, dall’altro, l’enorme influsso che essi continuano ad avere nella storia recente della politica cinese tendente a rivendicare, con forza sempre maggiore, un ruolo egemone nel presente e nel futuro del mondo contemporaneo.
La Cina al centro si presenta in realtà come un notevole approfondimento dei problemi connessi alla ripresa e all’aggiornamento della grande tradizione culturale cinese in funzione egemonica con intenzioni globali. Le prime due parti del libro vengono dedicate a chiarire il più possibile i termini e i modi di tale ripresa e di tale aggiornamento, componendo in ‘figure’ leggibili un enorme quantità di dati ricavati sia dai documenti ufficiali cinesi sia dai commenti prodotti da alcuni dei più significativi esperti occidentali delle politiche cinesi recenti, attuali e future. Scarpari, tuttavia, regge ottimamente il peso di questo immenso materiale documentale, grazie, certo, a una collaudata esperienza di storico e di critico, ma anche grazie a un ‘pathos’ personale ben riassunto in questa considerazione: “E’ stata delusa la speranza di chi, come il sottoscritto, aveva coltivato l’idea […] che si potesse creare col tempo una forma ibrida di governance, che potremmo definire ‘morbida’.
Enrico Tomaselli: La guerra perduta
La guerra perduta
di Enrico Tomaselli
Quella che si sta combattendo in Medio Oriente, e che per via del delirio che si è impossessato delle classi dirigenti occidentali potrebbe ancora sfociare in una terribile guerra regionale-mondiale, è qualcosa che le leadership sioniste israeliane rifiutano di riconoscere come tale, e con loro l’intero occidente, che alla loro narrativa si abbevera.
Quello che Israele non sa né vuole capire, anzitutto perché ha una classe dirigente assolutamente mediocre, un mix di bigotti fanatici e grassi squali della politica, è che spezzettare la Storia, frammentarla in segmenti separati secondo il proprio comodo, non solo non serve realmente a frantumarla, ma impedisce di coglierne il senso, la direzione; misconoscere il passato inibisce la capacità di comprendere il futuro, di averne una visione.
Sin dalla fondazione dello stato di Israele – che, non va dimenticato, è uno specifico progetto del sionismo – la popolazione autoctona palestinese è sempre stata considerata esclusivamente come un problema [1], negandone in nuce l’umanità. Un problema perché possedeva la terra che loro bramavano, perché era troppo numerosa, perché non chinava abbastanza la testa. Da lì a considerarli apertamente animali il passo è stato più breve di quanto si creda.
Redazione: Gaza: la Resistenza palestinese combatte tenacemente e colpisce l’occupazione israeliana
Gaza: la Resistenza palestinese combatte tenacemente e colpisce l’occupazione israeliana
di Redazione
Abu Ubaida, portavoce delle Brigate al-Qassam, parla delle grandi perdite militari israeliane e svela le menzogne di Tel Aviv
Continuano senza interruzioni gli scontri violenti tra i combattenti della resistenza palestinese e le forze di occupazione israeliane entrate nella Striscia di Gaza, forze di occupazione inviate da Netanyahu che subiscono, nella rimozione più attenta e profonda dei fatti da parte di Tel Aviv, perdite quotidiane. L’esercito israeliano ha ammesso la morte di cinque dei suoi soldati solo nelle ultime 24 ore. Queste nuove morti portano, secondo le stesse fonti ufficiali israeliane, il numero dei soldati israeliani uccisi a 119 dall’inizio dell’incursione militare a Gaza, e a 450 dall’operazione Al-Aqsa Flood del 7 ottobre.
Nel 70° giorno dell’aggressione israeliana, le Brigate Al-Qassam (le Brigate Ezzedin al-Qassam rappresentano il braccio armato del movimento palestinese Hamas, ndr) hanno bombardato la città occupata di Al-Quds con una salva di razzi, in risposta ai massacri sionisti contro i civili a Gaza.
Michelangelo Cocco: Crescita economica e apertura al mondo: nel 2024 la Cina riparte
Crescita economica e apertura al mondo: nel 2024 la Cina riparte
di Michelangelo Cocco*
Due importanti appuntamenti – una riunione dell’ufficio politico del Partito comunista e la Conferenza centrale sul lavoro economico – hanno delineato negli ultimi giorni la strategia e le politiche economiche della Cina per il 2024.
Si cercherà in tutti i modi di stimolare la crescita, anche attraverso la spesa in deficit. La leadership cinese proverà inoltre a favorire gli investimenti stranieri e gli scambi economici, accademici e turistici con il resto del mondo, per rilanciare l’immagine di un paese aperto, e ricucire una parte di quei contatti che si sono spezzati negli ultimi anni, a causa della pandemia di Covid-19 e delle tensioni geopolitiche.
Insomma esattamente un anno dopo la riapertura delle frontiere, dopo un anno di dibattito nei vertici del partito, si prova finalmente a cambiare rotta.
* * * *
Nel 2024 il Partito comunista cinese varerà una serie di politiche con l’obiettivo di stimolare la crescita economica, rallentata dalla debolezza della domanda interna (e dall’estero), dal crollo del mercato immobiliare e dai debiti dei governi locali.
Giorgio Agamben: In memoria di Toni Negri
In memoria di Toni Negri
di Giorgio Agamben
Due notti prima che mi giungesse la notizia della morte di Antonio – di Toni – Negri, l’ho sognato a lungo e la sua presenza era così viva che, al risveglio ho sentito il bisogno di scrivergli. Il mio messaggio al vecchio email che non usavo da anni non ha potuto raggiungerlo. Quando le ho raccontato del sogno, un’amica mi ha detto: «ha voluto salutarti prima di andarsene». Pur nelle divergenze dei nostri pensieri, col tempo sempre più chiare, qualcosa ostinatamente ci legava, qualcosa che aveva innanzitutto a che fare con la sua generosa, inquieta, puntigliosa vitalità, che avvertii subito quando lo incontrai per la prima volta a Parigi nel 1987.
Con la scomparsa di Toni sento che qualcosa mi manca – dentro di me, sotto i miei piedi, forse soprattutto dietro di me, come se una parte del mio passato si facesse bruscamente presente e mi apostrofasse mancando. E questa mancanza non riguarda solo me, ma tutto il nostro paese e la sua storia, sempre più falsa, sempre più ignara, come mostrano gli odiosi necrologi, che ricordano solo il cattivo maestro e non il cattivo, atroce paese in cui gli era stato dato di vivere e che cercava, forse sbagliando, di rendere migliore.
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Andrea Zhok: Mentre lo stolto guarda l’Esselunga, in Grecia…
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