Roberto Iannuzzi: Siria, Libano, Iran, Iraq: escalation di attentati e attacchi in Medio Oriente
Siria, Libano, Iran, Iraq: escalation di attentati e attacchi in Medio Oriente
di Roberto Iannuzzi
Una serie impressionante di attacchi, attribuiti a Israele, all’ISIS e agli USA, e rivolti invariabilmente contro l’asse iraniano in Medio Oriente, accresce i rischi di destabilizzazione regionale
Negli ultimi dieci giorni, a cavallo fra il vecchio e il nuovo anno, una progressione sconcertante di attentati ha colpito obiettivi legati all’asse iraniano in Medio Oriente. La serie ha avuto inizio con l’uccisione del generale iraniano Radhi Mousavi lo scorso 25 dicembre a Damasco, in Siria. Il 2 gennaio, un attacco missilistico (probabilmente compiuto da un drone) ha ucciso Saleh al-Arouri, uno dei principali esponenti del movimento islamico palestinese Hamas, insieme ad altri uomini del gruppo, nel sobborgo meridionale di Beirut, considerato la roccaforte del gruppo sciita libanese Hezbollah. Il giorno dopo, una doppia esplosione nei pressi della tomba del generale Qassem Soleimani, a Kerman, in Iran, ha mietuto quasi cento vittime fra i presenti giunti a commemorare il comandante assassinato quattro anni fa dagli USA in Iraq. Infine, proprio in Iraq gli Stati Uniti hanno ucciso, ancora una volta tramite un drone, il leader di una milizia filo-iraniana il 4 gennaio.
Questa sanguinosa serie di episodi infiamma ulteriormente un panorama mediorientale già profondamente scosso dal terribile conflitto in corso a Gaza e dalle sue ramificazioni regionali, fra le quali spiccano lo scontro militare fra Israele e Hezbollah (fino a questo momento limitato a reciproci bombardamenti lungo il confine libanese), e le tensioni nel Mar Rosso causate dagli attacchi alle navi mercantili dirette verso Israele da parte della formazione sciita yemenita di Ansar Allah (meglio nota come movimento degli Houthi, dal nome del suo fondatore).
Attacco al cuore del potere iraniano a Damasco
Christian Laval, Haud Guéguen, Pierre Dardot, Pierre Sauvêtre: La scelta della guerra civile
La scelta della guerra civile
di Christian Laval, Haud Guéguen, Pierre Dardot, Pierre Sauvêtre
Il testo che segue è un estratto dall’Introduzione al volume La scelta della guerra civile. Un’altra storia del liberalismo, di Christian Laval, Haud Guéguen, Pierre Dardot, Pierre Sauvêtre, edito da Meltemi
1. Le strategie di guerra civile del neoliberalismo
Il neoliberalismo muove sin dalle sue origini da una scelta effettivamente fondativa, la scelta della guerra civile. Questa scelta continua ancora oggi, direttamente o indirettamente, a comandare gli orientamenti e le politiche neoliberali, anche quando questi non implicano l’uso di mezzi militari.
È questa la tesi sostenuta da un capo all’altro del libro: attraverso il ricorso sempre più manifesto alla repressione e alla violenza contro le società, ciò che si sta realizzando oggi è una vera e propria guerra civile. Per comprendere correttamente questo fenomeno, conviene innanzitutto tornare su questa nozione. È molto diffusa l’idea che vede la guerra civile come guerra interna opporsi alla guerra interstatale come guerra esterna. In virtù di questa opposizione, la guerra civile si fa tra cittadini di uno stesso Stato. Mentre la guerra esterna è una questione di diritto, alla quale tutti i soggetti belligeranti sono sottomessi, la guerra interna è rigettata nella sfera del non-diritto. Alla rivendicazione di Courbet nell’aprile del 1871 in favore di uno statuto di belligeranti per i comunardi, che invocava “gli antecedenti della guerra civile” (la guerra di Secessione del 1861-1865) è stato opposto che “la guerra civile non è una guerra ordinaria”1. A questa antitesi bisogna aggiungerne una seconda, che raddoppia la prima, quella della politica e della guerra civile: mentre la politica è la sospensione della violenza attraverso il riconoscimento del primato della legge, la guerra civile è dispiegamento sregolato della violenza, di una collera “che mescola indissolubilmente furore e vendetta”, per dirla con Tucidide2. Tutte queste antitesi, e altre ancora, ostacolano la presa in esame del neoliberalismo a partire dalla sua stessa strategia. Adottando questo punto di vista, apprendiamo che la politica può perfettamente far suo l’uso più brutale della violenza e che la guerra civile può essere combattuta attraverso il diritto e la legge.
Giovanna Cracco: La guerra. Esperimento Terra
La guerra. Esperimento Terra
di Giovanna Cracco
L’impatto ambientale degli esperimenti nucleari. Documenti desecretati rivelano che tra il 1945 e il 1992 gli Stati Uniti hanno effettuato 1.051 test atomici esplodendo in totale 180 megatoni, pari a 11.250 bombe di Hiroshima; 12 test hanno contemplato il lancio di razzi fino a 700 km di quota, nella magnetosfera, con l’obiettivo di verificare se la struttura stessa del sistema Terra potesse essere utilizzata come arma. Quali sono state le conseguenze a lungo termine sull’equilibrio terrestre e sul clima?
Quando si imputa alle attività umane la responsabilità del cambiamento climatico, una di esse gode di un unanime e trasversale occultamento: l’attività militare. L’economia, la politica, i principali think tank, le grandi agenzie sovranazionali… nessuno ne fa citazione nei dettagliati e accalorati documenti che auspicano, o impongono, innovazioni green e transizioni ecologiche. L’industria della guerra, dalla produzione alle esercitazioni ai conflitti in giro per il pianeta, è esclusa sia dall’elenco delle cause che da quello delle soluzioni. La sua incidenza sull’ambiente è innegabile, ma la difficile quantificazione per mancanza di dati, come mostra il Report di Scientists for Global Responsibility e Conflict and Environment Observatory qui pubblicato a pag. 34, la porta, per restare nel campo semantico, ‘fuori dai radar’ della discussione.
D’altra parte, la guerra è morte e distruzione della biosfera e della vita; è bombardamenti e agenti chimici; è aviazione, carri armati, proiettili, gas… come si potrebbe discutere di rendere ecologicamente sostenibile una simile attività umana? Siamo davanti a un nonsense.
Non è l’unico. Se i danni da gas serra sono almeno conosciuti e riconosciuti, ve ne sono altri tuttora ignoti.
John Mearsheimer: Genocidio a Gaza
Genocidio a Gaza
di John Mearsheimer*
Scrivo per segnalare un documento veramente importante che dovrebbe essere ampiamente diffuso e letto attentamente da chiunque sia interessato alla guerra in corso a Gaza.
In particolare, mi riferisco alla “domanda” di 84 pagine che il Sudafrica ha presentato presso la Corte Internazionale di Giustizia (CIG) il 29 dicembre 2023, accusando Israele di commettere genocidio contro i palestinesi a Gaza.
1 Sostiene che le azioni di Israele dall’inizio della guerra il 7 ottobre 2023 “sono intese a portare alla distruzione di una parte sostanziale del gruppo nazionale, razziale ed etnico palestinese nella Striscia di Gaza.” (1) Quell’accusa rientra chiaramente nella definizione di genocidio della Convenzione di Ginevra, della quale Israele è firmatario.
2 L’applicazione è una descrizione eccellente di ciò che Israele sta facendo a Gaza. È completa, ben scritta, ben argomentata e documentata in modo approfondito. L’applicazione ha tre componenti principali.
Pino Arlacchi: Lo sterminio di Gaza e la vocazione violenta e nichilista dell’Occidente
Lo sterminio di Gaza e la vocazione violenta e nichilista dell’Occidente
di Pino Arlacchi
La condotta di guerra di Israele a Gaza può apparire aberrante secondo gli standard legali e morali sbandierati dall’ Occidente cristiano e democratico. Ma la tacita accettazione di questo quasi-genocidio da parte europea e il sostegno con finto mal di pancia degli Stati Uniti a Israele raccontano una storia totalmente differente.
Lo studioso delle religioni non può non riconoscere nel comportamento delle forze armate israeliane a Gaza il profilo inconfondibile dell’Herem biblico, il Bando Assoluto del nemico che ne comporta il suo annichilimento, la sua distruzione totale. La Bibbia cristiana e quella ebraica sono piene di brani agghiaccianti, che invocano e descrivono l’Herem: la guerra di sterminio in nome di Dio che esige l’annientamento di tutto ciò che respiri. Uomini donne, bambini, e perfino animali domestici abbattuti nel corso della devastazione di intere città e della riduzione in cenere dei manufatti artistici e culturali del nemico.
La Bibbia racconta la situazione in cui matura uno degli innumerevoli episodi di Herem. Gli israeliti si trovano sperduti in una landa desolata vicina a Gaza, a confronto con gli Amaleciti, il nemico di lingua araba simbolo del male che merita la vendetta e la distruzione complete.
Leonardo Sinigaglia: Le ragioni più profonde dell’autocolonialismo italiano e come affrontarlo
Le ragioni più profonde dell’autocolonialismo italiano e come affrontarlo
di Leonardo Sinigaglia
Con il mondo multipolare che avanza davanti ai nostri occhi spesso ci si interroga sul perché l’Italia, paese che pure fino a pochi decenni fa era la “pecora nera” dell’Occidente liberal-atlantista, sembri totalmente passiva, anchilosata in uno stato di minorità e oppressione percepito e compreso, almeno nelle sue dinamiche fondamentali, dalla gran maggioranza della popolazione, ma ciononostante sopportato fatalisticamente in nome di una rassegnazione ormai quasi totalizzante.
Le cause sono ovviamente numerose, e non basterebbero diversi saggi per descrivere le ragioni storiche, ideologiche, politiche ed economiche di questo stato di cose, ma tra tutte è innegabile che vi sia un profondo deficit organizzativo. Dagli Stati dell’Africa occidentale alla resistenza anti-sionista, dagli scioperi alle organizzazioni internazionali promotrici del multipolarismo, ogni passo in avanti nella lotta contro la piovra imperialista statunitense, le sue emanazioni e i suoi servi avviene non solo per l’entusiasmo e il supporto delle masse, ma per la presenza di strutture organizzate, che siano essi partiti politici, formazioni militari, associazioni economiche e di classe od organizzazioni internazionali interstatali. L’organizzazione è ciò che permette di governare i fenomeni, dando una razionalità strategica a sforzi che altrimenti sarebbero disorganizzati, disorganici, in ultima analisi inefficaci.
Piccole Note: Il NYT inventa lo stupro di una donna da parte di Hamas il 7 ottobre
Il NYT inventa lo stupro di una donna da parte di Hamas il 7 ottobre
di Piccole Note
Il 28 dicembre New York Times pubblicava la storia straziante della “donna vestita di nero”, vittima di uno dei tanti stupri avvenuti il 7 ottobre. La famiglia ha smentito tutto….
La narrazione che Hamas abbia usato lo stupro di massa come arma ha ormai preso piede sui media mainstream, venendo rilanciata ogni giorno da alcuni di essi con storie sempre nuove. Una narrazione iniziata molti giorni dopo l’attacco di Hamas e alimentata inizialmente da un’agenzia di investigazioni e soccorso, la Zaka, le cui rivelazioni sullo stupro di massa sono state rilanciate a piene mani dai media internazionali, oltre che da politici israeliani e statunitensi.
Mentitori seriali
A tale organismo si deve l’invenzione dei 40 bambini israeliani decapitati, rilanciata anche da Joe Biden e poi smentita dalle autorità israeliane, tanto che la Casa Bianca ha dovuto rettificare. Altre, molteplici, invenzioni della Zaka sono riferite dal sito Grayzone. Noi ci limitiamo a ricordare che essa fu fondata da Yehuda Meshi-Zahav, finito in galera per pedofilia e stupro, avendo abusato di decine di donne e bambini (era noto come l’Haredi Jeffrey Epstein, dal nome del noto pedofilo americano).
Domenico Moro: La montagna della UE e il topolino del nuovo patto di stabilità
La montagna della UE e il topolino del nuovo patto di stabilità
di Domenico Moro
Con la pandemia di Covid-19 e la forte crisi economica a essa connessa, il Patto di stabilità, basato sui vincoli del 3% al deficit e del 60% al debito, era stato sospeso fino alla fine del 2023. In circa 20 anni in cui sono stati in vigore, i vincoli al debito e al deficit hanno dato una pessima prova di sé, contribuendo a determinare la stagnazione dell’economia della Ue. La crescita europea è stata talmente risicata da determinare la perdita di posizioni economiche a livello mondiale nei confronti dei Paesi emergenti, in particolare della Cina. Ad esempio, la Ue a 27 è scesa, tra 2003 e 2022, dal 19,1% al 13,8% delle esportazioni mondiali, mentre la Cina è salita dal 7,6% al 18,3%[i].
Consci di questa situazione di decadenza economica, dovuta non solamente ma certamente almeno in parte a come era stato congegnato il Patto di stabilità, la Commissione europea e molti paesi hanno colto al balzo l’occasione della sospensione del Patto di stabilità per chiederne una modifica sostanziale. Il fronte della riforma è composto dai Paesi con maggiori difficoltà debitorie pubbliche, specialmente quelli con debito superiore al 100%: Grecia (160,9%), Italia (139,8%), Francia (109,6%), Spagna (107,5%), Belgio (106,3%) e Portogallo (103,4%). Come si può facilmente osservare si tratta di una fetta molto ampia della popolazione della UE, che comprende la seconda, la terza e la quarta economia europea. Non proprio una bazzecola. A contrastare il fronte della riforma si è eretto il solito fronte dell’austerity e della severità di bilancio, che è rappresentato dalla Germania, unica tra le grandi economie, e dai suoi satelliti, i cosiddetti “frugali”, in particolare l’Olanda, la Danimarca, l’Austria e la Finlandia.
Steve Keen: Salvare l’economia da sé stessa
Salvare l’economia da sé stessa
Jacopo Caja intervista Steve Keen
L’economista australiano Steve Keen, intervistato da Jacobin, propone una visione alternativa a quella dell’economia neoclassica che domina da cinquant’anni, per fronteggiare le disuguaglianze e scongiurare il collasso climatico
La politica economica dei paesi avanzati negli ultimi anni ha mostrato tutti i suoi limiti ed è sempre più in discussione. Da quasi cinquant’anni, l’economia è dominata dalla visione neoclassica che presuppone la razionalità degli individui e ignora il ruolo della moneta, escludendola dai modelli di previsione. Questa semplificazione, nata con l’idea di rendere più «maneggevole» l’economia, ha prodotto effetti profondi nel mondo reale, aprendo alla deregolazione dei mercati finanziari e alle politiche di austerità.
Steve Keen, professore di economia alla Western Sydney University e all’University College di Londra nel libro L’economia Nuova, da poco uscito in Italia per Meltemi, evidenzia la necessità di un’alternativa a questa visione prevalente. Un’alternativa che tenga conto delle complessità per fronteggiare realmente le disuguaglianze e scongiurare il collasso climatico.
* * * *
Lei è da sempre uno studioso del mercato monetario e del ruolo del debito privato. Ed è stato uno dei pochi economisti ad aver previsto la crisi del 2008. Come mai, invece, non l’hanno prevista gli economisti mainstream?
Gli economisti neoclassici hanno sempre sostenuto che il denaro non abbia importanza per l’economia reale. Pensano che il governo controlli l’offerta di moneta: se quest’ultimo crea troppa moneta, produce inflazione. In questa visione, i fattori monetari non influenzano il livello reale della produzione. E questo è categoricamente sbagliato. Al contrario, il denaro creato dalle banche diventa sia parte del reddito aggregato che della spesa aggregata. Quindi, il denaro ha effetti reali.
Monica Cillerai: Un mondo multipolare non sarà automaticamente un mondo nuovo
Un mondo multipolare non sarà automaticamente un mondo nuovo
di Monica Cillerai
L’ordine mondiale geopolitico regolato dal Washington Consensus, l’equilibrio internazionale figlio della Seconda guerra mondiale, è finito. L’ordine mondiale dei commerci, stabilito dagli accordi di Bretton Woods, non funziona più: già ammalato da tempo, si è indebolito in pandemia e sta ricevendo l’estrema unzione con la guerra in Ucraina. Da qualsiasi punto si guardi la faccenda globale, gli USA stanno perdendo il loro ruolo di capo e poliziotto del mondo. L’egemonia a stelle e strisce, già in declino da anni, sta definitivamente tramontando. Nuovi Stati chiedono voce in capitolo e reclamano potere. Pretendono istituzioni internazionali meno orientate verso gli Stati Uniti e i privilegi occidentali, esigono la fine del dominio del dollaro, reclamano ruoli guida ai tavoli in cui si decidono le politiche globali. Le crisi non sono la fine di tutto, sono momenti necessari di rottura per arrivare a un nuovo ordine, dopo una fase di caos. Oggi siamo nel momento del disordine. I fatti in Ucraina hanno semplicemente reso visibile a tutti la tracimazione di un vaso colmo da tempo. Gli USA cercano storicamente anche così, attraverso guerre esportate e per procura, di stabilizzare il loro potere e la loro egemonia. È dalla Cina e da numerosi Paesi ancora considerati in via di sviluppo, i famosi BRICS (Brasile, Russia, India e Sud Africa), che arriva la richiesta di un nuovo ordine internazionale. L’attacco militare da parte della Russia verso l’Ucraina e l’impossibilità di operare da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU a causa del veto imposto da Mosca hanno rimesso sul tavolo la questione di una necessaria riforma del sistema delle Nazioni Unite. Unione Europea e USA si sono impegnate nel lancio di numerosi pacchetti di sanzioni economiche contro la Russia, che hanno finito per ricadere sugli interscambi commerciali tra Mosca e varie altre economie a essa connesse, in primis quelle dei BRICS.
Enrico Tomaselli: Chi vuole allargare la guerra in Medio Oriente (e perché)
Chi vuole allargare la guerra in Medio Oriente (e perché)
di Enrico Tomaselli
Per tutta la prima fase del rinnovato conflitto palestinese, a partire dall’attacco della Resistenza del 7 ottobre, la stampa israeliana ha martellato sul pericolo costituito da Hezbollah; del resto, quando Israele tentò di invadere (nuovamente) il Libano, nel 2006, prese una bella batosta proprio dalla milizia sciita, che all’epoca era assai meno potente. Non a caso, oltre 230.000 israeliani sono stati fatti sfollare dal nord del paese, proprio per timore degli attacchi dal Libano, e l’IDF mantiene lì gran parte dei suoi sistemi antimissile Iron Dome.
Il governo israeliano è ben consapevole che un confronto con Hezbollah è potenzialmente devastante, anche perché mobiliterebbe immediatamente, a un livello ben maggiore dell’attuale, tutte le formazioni dell’Asse della Resistenza; non solo in Libano, ma anche in Iraq, in Yemen e in Siria. Già ora si ritiene che nel paese dei cedri vi siano alcune migliaia di combattenti iracheni. E chiaramente il supporto americano – che certamente non mancherebbe – non potrebbe andare molto oltre un appoggio aereo-navale: le poche migliaia di militari statunitensi presenti nell’area sono praticamente quasi ovunque circondati da forze ostili.
Emiliano Brancaccio: La «ragione» del capitalismo genera i mostri della guerra
La «ragione» del capitalismo genera i mostri della guerra
di Emiliano Brancaccio
Opinioni. La storia in corso non vede il «declino della violenza» rispetto al passato, come dice il pensiero ottimistico, ma il suo sviluppo, con più conflitti sanguinosi, armi più distruttive, più vittime
Quale futuro ci attende per gli anni a venire? Gli intellettuali di grido affrontano questo angoscioso interrogativo offrendo due tipi di risposte. Quella mistica, che affida le nostre sorti all’imperscrutabile volontà di un dio o degli astri. E quella cinica, in fondo simile, che rigetta l’intera questione riducendo la storia umana a un misterioso ammasso di imprevedibili eventi accidentali.
Per dirla con György Lukács, il fatto che questo pigro genere di risposte oggi accontenti i più, è una prova che viviamo un’epoca di grottesco irrazionalismo.
Per fortuna esiste anche un modo più serio di affrontare i grandi interrogativi sulle prospettive dell’umanità. Consiste nel seguire un’indicazione dei modernizzatori del materialismo, secondo cui la storia può essere intesa come una sorta di «scienza del futuro». In parole semplici, pur tra sussulti e rovesciamenti, si tratta di tirar fuori dagli avvenimenti passati le possibili linee di tendenza per gli anni a venire.
Israele fuori dal mondoDante Barontini:
Israele fuori dal mondo
di Dante Barontini
Analizzare una strategia militare significa sempre individuare l’obiettivo politico che la giustifica. La “morale” non c’entra.
L’attacco israeliano a Beirut, con un drone, per colpire un dirigente di Hamas – Saleh al Arouri, vicepresidente dell’ufficio politico – rivela una logica militare semplice e chiara: disarticolare la struttura di comando del nemico e quindi indebolirlo.
Da questo punto di vista è un atto di guerra “normale”, che ha la forte controindicazione di allargare a tutto il Libano (non solo ad Hezbollah) la minaccia di escalation del conflitto.
E’ la stessa logica che aveva prodotto l’attacco in Siria in cui è stato ucciso il generale iraniano Seyed Razi Mousavi, un «consigliere senior del corpo in Siria». In questo caso le controindicazioni si moltiplicano, perché il coinvolgimento nell’escalation riguarda due paesi come la Siria e soprattutto l’Iran, che hanno un peso politico e militare decisamente superiore al Libano.
Il disegno politico israeliano emergente da questi due attacchi, insomma, sembra assai meno potente della forza militare messa in campo.
Alberto Giovanni Biuso: Universalismo
Universalismo
di Alberto Giovanni Biuso
L’Europa moderna si è formata anche e in gran parte sugli esiti della Guerra dei Trent’anni (1618-1648), che sancirono il definitivo tramonto dell’universalismo imperiale a favore della sovranità delle nazioni che da quella guerra uscirono. Una sovranità politica, economica, religiosa. E tuttavia dopo più di un secolo da quegli esiti si diffuse e divenne sempre più vincente un modello che tornava alla dimensione universalista, il modello liberale e liberista del capitale che per definizione non ha patria né tollera confini.
Karl Marx riconobbe pienamente la dimensione (anche) in questo senso rivoluzionaria del capitalismo, da lui giudicato una fase necessaria per l’avvento dell’ultimo universalismo, quello comunista che avrebbe posto fine a ogni conflitto. Un’idea escatologico/messianica, assai più che politica. L’universalismo comunista ha avuto infatti breve durata e di fatto non è neppure mai nato. La «rivoluzione in un solo Paese» ha cancellato il progetto trotzkista della «rivoluzione mondiale permanente».
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