Braverman, il capitale monopolistico e l’intelligenza artificiale … rec. di J.B.Foster

Traduzione di:
Braverman, Monopoly Capital, and AI: The Collective Worker and the Reunification of Labor
by John Bellamy Foster
Monthly Review (01- 01-2024)
https://monthlyreview.org/2024/12/01/braverman-monopoly-capital-and-ai-the-collective-worker-and-the-reunification-of-labor/

Braverman, Capitale monopolistico e IA: Il lavoratore collettivo e la riunificazione del lavoro

L’automazione associata agli algoritmi progettati per i computer, che aumenta la possibilità che le macchine intelligenti sostituiscano il lavoro umano, è un problema che esiste da più di un secolo e mezzo, che risale alla Macchina delle Differenze di Charles Babbage e al famoso trattamento di Karl Marx dell'”intelletto generale” nei Grundrisse e al suo successivo concetto di “lavoratore collettivo” nel Capitale.1 Tuttavia, è stato solo con l’ascesa del capitalismo monopolistico alla fine del diciannovesimo e all’inizio del ventesimo secolo che l’industria su larga scala e l’applicazione della scienza all’industria sono state in grado di introdurre la sussunzione “reale” in contrapposizione a quella “formale” del lavoro all’interno della produzione.2 Qui la conoscenza del processo lavorativo è stata sistematicamente tolta ai lavoratori e concentrata all’interno della direzione in modo tale che il processo lavorativo potesse essere progressivamente scomposto e sussunto all’interno di una logica dominata dalla tecnologia delle macchine. Con il consolidamento del capitalismo monopolistico dopo la seconda guerra mondiale e lo sviluppo della cibernetica, dei transistor e della tecnologia digitale, l’automazione della produzione – e in particolare quella che oggi chiamiamo intelligenza artificiale (AI) – costituiva una minaccia crescente per il lavoro.

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L’eccedenza del capitalismo monopolistico e della rendita imperialista di Samir Amin MR 2012/7-8

FONTE Montly Review 1-7-2012
Samir Amin è direttore del Terzo Forum Mondiale di Dakar, in Senegal. I suoi libri includono The Liberal Virus, The World We Wish to See e The Law of Worldwide Value (tutti pubblicati da Monthly Review Press). Questo articolo è stato tradotto dal francese da Shane Mage.

Nota dell’editore

A partire dagli anni ’50 Samir Amin ha fornito una critica sistematica del sistema capitalista, a partire dal suo trattato di riferimento, L’accumulazione del capitale su scala mondiale (1957) e proseguendo fino alle sue importanti opere degli ultimi anni, in particolare La legge del valore mondiale (2010). Qui fornisce una spiegazione dell’importanza del Capitale Monopolistico di Baran e Sweezy per questa critica, mettendo in relazione il “surplus” (che egli identifica con tutte le entrate/uscite residue nel sistema dei conti nazionali al di là dei profitti e dei salari investiti) con la rendita imperiale. Per facilitare la comprensione della sua analisi, abbiamo inserito due note a piè di pagina che spiegano ulteriormente i due esempi numerici che fornisce.

il saggio di Samir Amin

Paul Baran e Paul Sweezy osarono, e poterono, continuare il lavoro iniziato da Marx. Partendo dall’osservazione che la tendenza intrinseca del capitalismo era quella di consentire aumenti del valore della forza-lavoro (salario) solo ad un tasso inferiore al tasso di aumento della produttività del lavoro sociale, essi dedussero che lo squilibrio risultante da questa distorsione avrebbe portato alla stagnazione in assenza di un’organizzazione sistematica dei modi per assorbire i profitti in eccesso derivanti da tale tendenza.

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MR 2001/12 Imperialismo e impero di J.B. Foster

Questo articolo di John Bellamy Foster si basa su una conferenza su Socialismo o barbarie di István Mészáros tenuta al Brecht Forum di New York il 14 ottobre 2001.
Il libro
Socialism or barbarism: from the American Century” to the
crossroads / Istvan Mészaros.
Includes bibliographical references and index.
ISBN 1-58367-051-3 (cloth) — ISBN 1-58367-052-1 (paper)

Solo poco più di un mese fa, prima dell’11 settembre, la rivolta di massa contro la globalizzazione capitalista iniziata a Seattle nel novembre 1999 e che stava ancora prendendo forza fino a Genova nel luglio 2001 stava mettendo a nudo le contraddizioni del sistema in un modo che non si vedeva da molti anni. Eppure la natura peculiare di questa rivolta era tale che il concetto di imperialismo era stato quasi cancellato, anche all’interno della sinistra, dal concetto di globalizzazione, suggerendo che alcune delle peggiori forme di sfruttamento e rivalità internazionale si erano in qualche modo attenuate.

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MR 2004/6 Le illusioni dell’impero di Abu-Manneh Bashir

Una serrata critica alla concezione di post-impero come lo definiscono Hardt e Negri nel loro libro Impero

(01 giugno 2004)

Bashir Abu-Manneh insegna inglese al Barnard College. Questo articolo è una versione ridotta della sua introduzione a un simposio da lui curato sull’Impero di Michael Hardt e Antonio Negri (Harvard University Press, 2000). Il simposio, “Empire and US Imperialism” è stato pubblicato per la prima volta in Interventions: International Journal of Postcolonial Studies 5, n. 2 (2003) e può essere trovato all’indirizzo www.tandf.co.uk/. È anche l’autore di “Palestine Revealed: The Liberation Cinema of Michel Khleifi”, in Dreams of a Nation: On Palestinian Cinema, a cura di Hamid Dabashi (di prossima pubblicazione). Le illusioni dell’Impero


Empire di Michael Hardt e Antonio Negri, pubblicato dalla Harvard University Press nel 2000ha preso d’assalto il mondo intellettuale. Dopo la fine dichiarata delle “grandi narrazioni” e dei progetti di emancipazione umana, ecco un libro che raccontava la più grande di tutte le storie, la totalizzazione del capitale, e anticipava il più magnifico di tutti i risultati rivoluzionari, il comunismo. I tabù postmoderni sono stati infranti, o almeno così sembrava. I profeti della moltitudine, Hardt e Negri, furono debitamente riconosciuti e celebrati dalla stampa liberale. Nel Regno Unito, il New Statesman ha pubblicato un’intervista a dal titolo “La sinistra dovrebbe amare la globalizzazione”. La globalizzazione, ha affermato, porta a una vera e propria “cittadinanza globale” democratica. Negli Stati Uniti, la recensore del New York Times Emily Eakin ha salutato Empire come la “prossima grande idea”, annunciando l’arrivo di una “teoria maestra” di cui c’è un disperato bisogno per superare il “profondo pessimismo”, la “banalità” (termine di Stanley Aronowitz), la “crisi” e il “vuoto” che hanno caratterizzato le discipline umanistiche nell’ultimo decennio. Empire (sia il libro che il concetto) è stata una buona notizia per tutti, inaugurando un periodo che, sebbene difficile da definire, è, nelle parole di Hardt, “in realtà un enorme miglioramento storico rispetto al sistema internazionale e all’imperialismo”. 1

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MR 2005/11 Impero e Moltitudine

Samir Amin conduce una serrata critica al libro Impero di Michael Hardt e Antonio Negri con ampio riferimento anche alla loro successiva opera Moltitudine

di Samir Amin

Samir Amin è direttore del Terzo Forum Mondiale di Dakar, in Senegal. I suoi libri più recenti includono The Liberal Virus: Permanent War and the Americanization of the World (Monthly Review, 2004) e Beyond US Hegemony di prossima pubblicazione per Zed Books.


Impero post-imperialista o nuova espansione dell’imperialismo?

Michael Hardt e Antonio Negri hanno scelto di chiamare “Impero” l’attuale sistema globale. * La scelta di questo termine ha lo scopo di distinguere le sue caratteristiche costitutive essenziali da quelle che definiscono l'”imperialismo”. L’imperialismo, in questa definizione, si riduce alla sua dimensione strettamente politica, cioè all’estensione del potere formale di uno Stato al di là dei suoi confini, confondendo così l’imperialismo con il colonialismo. Il colonialismo quindi non esiste più, né l’imperialismo. Questa vuota proposizione asseconda il comune discorso ideologico americano secondo il quale gli Stati Uniti, a differenza degli stati europei, non hanno mai aspirato a formare un impero coloniale a proprio vantaggio e quindi non avrebbero mai potuto essere “imperialisti” (e quindi non lo sono oggi più di ieri, come ci ricorda Bush). La tradizione materialista storica propone un’analisi molto diversa del mondo moderno, centrata sull’identificazione delle esigenze per l’accumulazione del capitale, in particolare dei suoi segmenti dominanti. Portata a livello globale, questa analisi permette quindi di scoprire i meccanismi che producono la polarizzazione della ricchezza e del potere e costruiscono l’economia politica dell’imperialismo.

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Lo spettro della “conoscenza come beni comuni”

di Sam Popowich Monthley Review (01 marzo 2024)

Prabir Purkayastha è un attivista sociale e attivista per la scienza dei popoli dell’India. Di Adv.tksujith – Opera propria, CC BY-SA 3.0Link.

Sam Popowich è bibliotecario presso l’Università di Winnipeg, in Canada.

Il 3 ottobre 2023, in una grave violazione della libertà di stampa, il fondatore della società di media progressista indiana NewsClick, Prabir Purkayastha, è stato arrestato con l’accusa inventata di aver accettato donazioni straniere in cambio della diffusione della propaganda cinese. Purkayastha è un autore di Monthly Review, commentatore politico, analista, sostenitore della scienza e della tecnologia aperta e, forse più significativamente, critico del governo indiano.1 L’arresto di Purkayastha deve essere compreso nel contesto più ampio di un giro di vite sulla libertà di stampa in India come mezzo per puntellare l’egemonia di Narendra Modi e del Bharatiya Janata Party (BJP) al governo, una questione che lo stesso Purkayastha ha analizzato sia nel suo libro sulla politica, la scienza e la tecnologia indiana, Knowledge as Commons, sia nel suo nuovo affascinante libro di memorie. Keeping Up the Good Fight (entrambi pubblicati da LeftWord Press, 2023).2 Knowledge as Commons, in particolare, delinea una visione di una nazione inclusiva e laica basata sulla condivisione aperta della conoscenza che è direttamente in contrasto con la realtà politica dell’India di oggi.

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Propaganda imperialista

Zhao Dingqi intervista Gabriel Rockhill sulla guerra fredda culturale condotta dalla CIA. Un ricco excursus sulle politiche culturali e gli intellettuali del dopoguerra e i loro rapporti con il potere.

Propaganda imperialista e ideologia dell’intellighenzia di sinistra occidentale: dall’anticomunismo e dalla politica identitaria alle illusioni democratiche e al fascismo

LINK al SITO MR (1 dicembre 2023)

Ritratto della borghesia (1939) di David Alfaro Siqueiros

Gabriel Rockhill è direttore esecutivo del Critical Theory Workshop/Atelier de Théorie Critique e professore di filosofia alla Villanova University in Pennsylvania. Attualmente sta completando il suo quinto libro monografico, The Intellectual World War: Marxism versus the Imperial Theory Industry (Monthly Review Press, di prossima pubblicazione). Zhao Dingqi è ricercatore assistente presso l’Institute of Marxism, Chinese Academy of Social Sciences, e curatore di World Socialism Studies .

Questa intervista è stata originariamente pubblicata in cinese nell’undicesimo volume di World Socialism Studies nel 2023. È stata leggermente modificata per MR .

L’intervista

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MR 2015/7-8 Il nuovo imperialismo del capitale finanziario monopolistico globalizzato

La validità di uno studio di natura storica, politica ed economica la si misura anche dalla sua resilienza temporale. Sono passati quasi 10 anni da questo articolo di Foster e ci accorgiamo che potrebbe essere stato scritto ieri. Purtroppo le cose andavano per un certo verso e continuano ad andare così anche oggi.

Un’introduzione

di John Bellamy Foster

(01 luglio 2015)

E’ ormai convinzione universale a sinistra che il mondo sia entrato in una nuova fase imperialista. Che l’imperialismo si evolva e assumesse forme nuove non è naturalmente sorprendente da una prospettiva materialistica storica. L’imperialismo, come il capitalismo stesso, è caratterizzato da un costante processo di cambiamento, che attraversa epoche più o meno concretamente definite. Già negli anni ’90 dell’Ottocento, quando in Inghilterra era in corso un intenso dibattito sull’imperialismo, la realtà storica contemporanea veniva comunemente definita “il nuovo imperialismo”, per distinguerla dalla precedente fase colonialista dell’Impero britannico. Fu il tentativo di spiegare questo nuovo imperialismo del 1875-1914 che ispirò i primi contributi marxiani alla teoria dell’imperialismo nel lavoro di V.I. Lenin, Nikolai Bukharin e Rosa Luxemburg (e, con minor successo, Rudolf Hilferding e Karl Kautsky), introducendo una serie di proposizioni che furono successivamente modificate dalla tradizione della dipendenza.

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MR 2014/9 Il ritorno del fascismo nel capitalismo contemporaneo by Samir Amin

Una riflessione di Samir Amin sul rapporto tra la crisi attuale del capitalismo, la relativa erosione dei livelli di democrazia e l’insorgere di un rinnovato fronte fasciata.
Scritta nel 2014 per la Montley Review mantiene tutta la sua attualità.

di Samir Amin

(01 settembre 2014)

Argomenti: Fascismo Filosofia Economia politica Luoghi: Ucraina globale

Samir Amin è direttore del Terzo Forum Mondiale di Dakar, in Senegal. I suoi libri pubblicati da Monthly Review Press includono The Liberal Virus, The World We Wish to See, The Law of Worldwide Value e, più recentemente, The Implosion of Contemporary Capitalism. Questo articolo è stato tradotto dal francese da James Membrez.

Non a caso il titolo stesso di questo contributo collega il ritorno del fascismo sulla scena politica con la crisi del capitalismo contemporaneo. Il fascismo non è sinonimo di un regime poliziesco autoritario che rifiuta le incertezze della democrazia elettorale parlamentare. Il fascismo è una particolare risposta politica alle sfide che la gestione della società capitalista può trovarsi ad affrontare in circostanze specifiche.

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MR 2024/1 50 anni dopo il Watergate

MR Maggio 2024 (Volume 76, Numero 1)
Magdoff e Paul M. Sweezy nel numero di maggio 1974, intitolato “Notes on Watergate: One Year Later”.
L’articolo ripercorre l’analisi che Magdoff e Sweezy fecero in piena espansione del capitalismo americano: il Watergate, benché annoverabile come episodio della lotta di classe tra capitalismi americani che si giocavano la supremazia planetaria viene colto dai due autori come un punto di svolta epocale della democrazia americana. Il saggio è importante anche per la lucidità con cui individua i limiti del capital imperialismo Usa:
1- la sconfitta in Vietnam segna la fine del mito dell’invincibilità
2- lo stato normale del capitalismo monopolistico è la stagnazione. Lo rende palese la prima grande recessione del secondo dopoguerra che ha innescato una tendenza alla stagnazione secolare, sempre più punteggiata da crisi finanziarie, che è continuata fino ad oggi.
Entrambi questi problemi – il declino dell’egemonia statunitense e la stagnazione economica (insieme al bacillo fascista) – sono al centro della crisi del capitale finanziario monopolistico di oggi.
3- i limiti ecologici del sistema di accumulazione del capitale: condannato alla forsennata produzione di merci e quindi di spazzatura condanna l’umanità all’estinzione

Monthly Review Volume 76, Numero 1 (maggio 2024)
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