Lo spettro della “conoscenza come beni comuni”

di Sam Popowich

Monthley Review (01 marzo 2024)

Argomenti: DemocraziaMovimento, Repressione di StatoLuoghi: Asia India

Prabir Purkayastha è un attivista sociale e attivista per la scienza dei popoli dell’India. Di Adv.tksujith – Opera propria, CC BY-SA 3.0Link.

Sam Popowich è bibliotecario presso l’Università di Winnipeg, in Canada.

Il 3 ottobre 2023, in una grave violazione della libertà di stampa, il fondatore della società di media progressista indiana NewsClick, Prabir Purkayastha, è stato arrestato con l’accusa inventata di aver accettato donazioni straniere in cambio della diffusione della propaganda cinese. Purkayastha è un autore di Monthly Review, commentatore politico, analista, sostenitore della scienza e della tecnologia aperta e, forse più significativamente, critico del governo indiano.1 L’arresto di Purkayastha deve essere compreso nel contesto più ampio di un giro di vite sulla libertà di stampa in India come mezzo per puntellare l’egemonia di Narendra Modi e del Bharatiya Janata Party (BJP) al governo, una questione che lo stesso Purkayastha ha analizzato sia nel suo libro sulla politica, la scienza e la tecnologia indiana, Knowledge as Commons, sia nel suo nuovo affascinante libro di memorie. Keeping Up the Good Fight (entrambi pubblicati da LeftWord Press, 2023).2 Knowledge as Commons, in particolare, delinea una visione di una nazione inclusiva e laica basata sulla condivisione aperta della conoscenza che è direttamente in contrasto con la realtà politica dell’India di oggi.

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Cina: una economia in crescita?

* un articolo sulla crescita economica della Cina scritto da Michael Roberts il 30 gennaio 2024 su Canadian Dimension, dal titolo “Has China really reached the end of its economic boom?
* una breve nota sullo stesso tema toccato da David Insaidi dal titolo La Cina potrebbe fare l’en… plenum in LABORATORIO per il socialismo del XXI secolo e pubblicato su Sinistrainrete che sintetiza l’ultimo Plenum del PCC con i dati e le strategie nell’economia
* un articolo di Matteo Bortolon pubblicato su Il Manifesto del 3 agosto 2024 dal titolo Ascesa delle destre e declino dell’Unione europea
* articolo di Lorenzo Lamperti su Il Manifesto del 18 luglio 2024 dal titolo Nel futuro della Cina le nuove tecnologie

La Cina ha davvero raggiunto la fine del suo boom economico?

di Michael Roberts

L’economia statunitense è cresciuta del 2,5% nel 2023 rispetto al 2022, secondo la prima stima del PIL reale per il quarto trimestre pubblicata questa settimana. Questo è stato accolto con entusiasmo dagli economisti mainstream occidentali: gli Stati Uniti stanno andando a gonfie vele e i “previsori di recessione” si sono sbagliati di grosso. All’inizio della settimana, è stato annunciato che l’economia cinese è cresciuta del 5,2% nel 2023. A differenza degli Stati Uniti, questo è stato condannato dagli economisti mainstream occidentali come un fallimento totale (con la Cina che ha comunque utilizzato dati probabilmente falsi) e ha dimostrato che la Cina è in guai seri. Quindi la Cina cresce a un ritmo doppio rispetto agli Stati Uniti, l’economia di gran lunga più performante del G7, ma è la Cina che sta “fallendo” mentre gli Stati Uniti sono “in piena espansione”.

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MR 2015/7-8 Il nuovo imperialismo del capitale finanziario monopolistico globalizzato

La validità di uno studio di natura storica, politica ed economica la si misura anche dalla sua resilienza temporale. Sono passati quasi 10 anni da questo articolo di Foster e ci accorgiamo che potrebbe essere stato scritto ieri. Purtroppo le cose andavano per un certo verso e continuano ad andare così anche oggi.

Un’introduzione

di John Bellamy Foster

(01 luglio 2015)

E’ ormai convinzione universale a sinistra che il mondo sia entrato in una nuova fase imperialista. Che l’imperialismo si evolva e assumesse forme nuove non è naturalmente sorprendente da una prospettiva materialistica storica. L’imperialismo, come il capitalismo stesso, è caratterizzato da un costante processo di cambiamento, che attraversa epoche più o meno concretamente definite. Già negli anni ’90 dell’Ottocento, quando in Inghilterra era in corso un intenso dibattito sull’imperialismo, la realtà storica contemporanea veniva comunemente definita “il nuovo imperialismo”, per distinguerla dalla precedente fase colonialista dell’Impero britannico. Fu il tentativo di spiegare questo nuovo imperialismo del 1875-1914 che ispirò i primi contributi marxiani alla teoria dell’imperialismo nel lavoro di V.I. Lenin, Nikolai Bukharin e Rosa Luxemburg (e, con minor successo, Rudolf Hilferding e Karl Kautsky), introducendo una serie di proposizioni che furono successivamente modificate dalla tradizione della dipendenza.

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MR 2014/9 Il ritorno del fascismo nel capitalismo contemporaneo by Samir Amin

Una riflessione di Samir Amin sul rapporto tra la crisi attuale del capitalismo, la relativa erosione dei livelli di democrazia e l’insorgere di un rinnovato fronte fasciata.
Scritta nel 2014 per la Montley Review mantiene tutta la sua attualità.

di Samir Amin

(01 settembre 2014)

Argomenti: Fascismo Filosofia Economia politica Luoghi: Ucraina globale

Samir Amin è direttore del Terzo Forum Mondiale di Dakar, in Senegal. I suoi libri pubblicati da Monthly Review Press includono The Liberal Virus, The World We Wish to See, The Law of Worldwide Value e, più recentemente, The Implosion of Contemporary Capitalism. Questo articolo è stato tradotto dal francese da James Membrez.

Non a caso il titolo stesso di questo contributo collega il ritorno del fascismo sulla scena politica con la crisi del capitalismo contemporaneo. Il fascismo non è sinonimo di un regime poliziesco autoritario che rifiuta le incertezze della democrazia elettorale parlamentare. Il fascismo è una particolare risposta politica alle sfide che la gestione della società capitalista può trovarsi ad affrontare in circostanze specifiche.

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Capitale, egemonia, sistema : studio su Giovanni Arrighi by G.Azzolini

Uno studio approfondito del pensiero di Giovanni Arrighi e del suo apporto nell’analisi del moderno capitalismo, della sua trasformazione e delle forme del moderno imperialismo analizzato attraverso la comparazione degli specialisti di settore. Una particolare attenzione l’A. la rivolge all’approccio di Arrighi, non proprio storico, neppure economico, in parte sociologico: citando la Premessa di Azzolini: Arrighi si considerava fedele a una sola disciplina, la «macrosociologia storica»

Il report contiene

Scheda del libro
Indice
Premessa di Azzolini
Recensione di Paolo Missiroli
Sintesi della recensione

Scheda del libro

Azzolini, Giulio <1987- >
Capitale, egemonia, sistema : studio su Giovanni Arrighi / Giulio Azzolini. – Macerata : Quodlibet, 2018. – 171 p. ; 22 cm. – (Quodlibet studio. Filosofia e politica).) – [ISBN] 978-88-229-0144-6. – [BNI] 2019-4625.

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MR 2024/1 50 anni dopo il Watergate

MR Maggio 2024 (Volume 76, Numero 1)
Magdoff e Paul M. Sweezy nel numero di maggio 1974, intitolato “Notes on Watergate: One Year Later”.
L’articolo ripercorre l’analisi che Magdoff e Sweezy fecero in piena espansione del capitalismo americano: il Watergate, benché annoverabile come episodio della lotta di classe tra capitalismi americani che si giocavano la supremazia planetaria viene colto dai due autori come un punto di svolta epocale della democrazia americana. Il saggio è importante anche per la lucidità con cui individua i limiti del capital imperialismo Usa:
1- la sconfitta in Vietnam segna la fine del mito dell’invincibilità
2- lo stato normale del capitalismo monopolistico è la stagnazione. Lo rende palese la prima grande recessione del secondo dopoguerra che ha innescato una tendenza alla stagnazione secolare, sempre più punteggiata da crisi finanziarie, che è continuata fino ad oggi.
Entrambi questi problemi – il declino dell’egemonia statunitense e la stagnazione economica (insieme al bacillo fascista) – sono al centro della crisi del capitale finanziario monopolistico di oggi.
3- i limiti ecologici del sistema di accumulazione del capitale: condannato alla forsennata produzione di merci e quindi di spazzatura condanna l’umanità all’estinzione

Monthly Review Volume 76, Numero 1 (maggio 2024)
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Capitali reali e Capitali finanziari

Sintesi del saggio pubblicato su MACHINA e Sinistrainrete in cui
Andrea Pannone sviluppa coerentemente il tema indicato nel titolo. E’ interessante per due motivi: per la sintesi che riesce a fare di un tema complesso e dibattuto e per il tentativo di porre le basi di un nuovo approccio teorico.
La sintesi è stata realizzata con l’aiuto della IA.

Una teoria da ripensare? di Andrea Pannone

Sul rapporto tra ricchezza finanziaria e ricchezza reale nell’epoca della speculazione di Andrea Pannone

Premessa
* Presentazione del concetto di ricchezza reale e ricchezza finanziaria e sua rilevanza nell’economia politica
* Rilevazione della complessità della questione nella modernità, caratterizzata da inflazione finanziaria e speculazione

Segue sintesi elenco argomenti e link all’articolo
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MR “Perché il socialismo?” e la “Rassegna mensile” di Einstein: un’introduzione storica

PROVVISORIO
Albert Einstein è il fisico di fama mondiale. Questo articolo fu originariamente pubblicato nel primo numero di Monthly Review (maggio 1949). È stato successivamente pubblicato nel maggio 1998 per commemorare il primo numero del cinquantesimo anno di MR. Oggi la MR con le parole di Foster commemora …
—La Redazione

di John Bellamy Foster

Questa è l’introduzione ad Albert Einstein, Why Socialism?: Texts and Commentaries, di prossima pubblicazione presso la Monthly Review Press.

Un memorandum della primavera del 1949 nell'”Albert Einstein File” del Federal Bureau of Investigation, parte del Vault of Vault dell’FBI rilasciato ai sensi del Freedom of Information Act, afferma:

Nell’aprile del 1949 fu distribuita una circolare nella zona di Nashua, nel New Hampshire, che annunciava l’apertura di una nuova rivista intitolata “Monthly Review”, “una rivista socialista indipendente”. Il primo numero era datato per uscire come l’edizione del maggio 1949. Il primo numero conteneva articoli di Albert Einstein: “Perché il socialismo”; Paul M. Sweezy – “Recenti sviluppi nel capitalismo americano”; Otto Nathan – “Transizione al socialismo in Polonia”; Leo Huberman – “Socialismo e lavoro americano”… Re: Rapporto di New York, datato 3-15-51 Espionage-CH.1

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MR 2024/1 Il FMI e la lotta di classe in America Latina: svelare il ruolo del FMI

I principi del liberismo imperiale basato su: liberalizzazione del mercato, deregolamentazione, privatizzazione delle imprese pubbliche ha mostrato la sua inadeguatezza già nei paesi ad economia avanzata e vede forti ripensamenti anche in Europa. L’articolo evidenzia come a maggior ragione la critica ai postulati neoliberisti sia applicabile ai paesi in via di sviluppo.

di David Barkin e Juan Santarcángelo

(01 maggio 2024)

KW

Manifestazione contro le pratiche della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale domenica 26 aprile 2009 a Washington, D.C. Di Ben Schumin da Montgomery Village, Maryland, USA – Dimostrazione della Banca Mondiale/FMI [06], CC BY-SA 2.0Link.

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da Blogger

Globalizzazione delle disuguaglianze e delle ingiustizie / Michele Blanco

lantidiplomatico

Globalizzazione delle disuguaglianze e delle ingiustizie

di Michele Blanco*

Michele Blanco: Globalizzazione delle disuguaglianze e delle ingiustizie (sinistrainrete.info)

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Argomenti

Negli anni Ottanta del secolo scorso si descriveva il futuro prossimo della globalizzazione come di una età di crescita del benessere diffuso per tutta l’umanità, in tutti i paesi del mondo, ma «Oggi, invece, la crescente disuguaglianza non ha prodotto alcun conflitto di classe che minacci il sistema capitalistico, e ciò sebbene nelle economie avanzate questa si sia accompagnata con la deindustrializzazione e la schiavitù del debito.

La <globalizzazione> oggi è certamente e identificata come causa di ingiustizie e tensioni sociali. Nel mondo contemporaneo possiamo parlare di tanti tipi di disuguaglianze, ma certamente, da un punto di vista economico, si può parlare della disuguaglianza tra tenori di vita, distinguendo fondamentalmente tra due tipi di tali disuguaglianze, quella mondiale (tra le nazioni) e quella all’interno delle singole nazioni. Quando si dice ad esempio che il 10% più povero ha un tenore di vita pari a un decimo del 10% dei più ricchi ovviamente non ha lo stesso significato in India e in Svizzera. Conviene allora aggiungere una regola generale quando si valuta la disuguaglianza: stabilire una soglia assoluta di povertà e il valore più utilizzato oggi è quello di circa un euro al giorno pro capite.

Considerando la <disuguaglianza tra stati>, dopo un secolo circa di continuo aumento, la disuguaglianza tra stati da più di vent’anni a questa parte ha iniziato a diminuire, se nel 1989 il tenore di vita in Francia e in Germania era di venti volte superiore a quello della Cina o dell’India, oggi questo divario si è dimezzato. D’altra parte la disuguaglianza all’interno di molti paesi è invece andata aumentando. Una spiegazione della diminuzione della disuguaglianza tra stati negli ultimi 20 anni è dovuta alla innovazione tecnologica, al miglioramento dell’istruzione, alla formazione della manodopera, alle conoscenze tecniche e scientifiche. Ovviamente non tutti i paesi in via di sviluppo stanno conoscendo questo processo di crescita.

Per quanto riguarda l’altro tipo di disuguaglianza, quella all’interno dei singoli stati, questa è leggermente aumentata nel corso del 19° secolo, per poi ridursi notevolmente tra la prima guerra mondiale e il secondo dopoguerra, fino agli anni Settanta del secolo scorso. La realizzazione di grandi sistemi di redistribuzione e anche l’egualitarismo imposto dalle rivoluzioni russa e cinese sui propri territori ha portato a ridurre tale disuguaglianza nella maggior parte dei paesi sviluppati. Dalla fine degli anni ottanta del secolo scorso la disuguaglianza interna agli stati occidentali è andata aumentando. Lo sviluppo dei paesi emergenti e, in misura minore, di quelli in via di sviluppo contribuisce a ridurre la disparità tra i tenori di vita degli abitanti dell’intero pianeta, ma l’aumento delle disuguaglianze interne tende, al contrario, ad aumentarla.

Dato che il problema delle disuguaglianze è abbastanza uniforme, è difficile non collegarlo a cause comuni, e in particolare alla globalizzazione. Essa ha favorito la formazione di un mercato finanziario globale in cui le tecnologie della comunicazione consentono il trasferimento in pochi secondi di enormi capitali da un continente all’altro. L’informazione non ha limiti, quindi la crisi della borsa di un paese si riflette, nel giro di pochi minuti sulle borse degli altri paesi.

Il termine “<villaggio globale>”, che ormai è di uso comune, esprime bene la velocità e la diffusione della comunicazione nel mondo, per cui le notizie e le conoscenze non sono più ristrette a un numero limitato di individui ma diffuse e condivise in tutto il globo. Il potere della conoscenza delle tecnologie: le innovazioni tecnologiche non sono più necessariamente nei beni e nei servizi scambiati, ma sono incorporate nelle menti degli individui. In altre parole, per trarre vantaggio, in termini tecnico-scientifici, dalla conoscenza, occorre aver superato una determinata soglia di sapere, in modo da poter dialogare con tale conoscenza. <Iperconcorrenza>: la <legge della competitività> portata alle estreme conseguenze. Perdita costante di rilevanza della società statale, dello stato o del sistema nazionale. Formazione di una cultura globale, fortemente ispirata al consumismo e diretta dalla comunicazione del marketing.

La globalizzazione si rivela come un fenomeno dalle caratteristiche   assolutamente ambivalenti: c’è chi la mitizza e ne mette in luce gli aspetti positivi, come le differenze nella ricchezza delle nazioni si siano alquanto livellate, portando il tenore di vita medio dei cittadini di <paesi emergenti> come il Brasile, la Cina e l’India ad avvicinarsi a quello di nordamericani ed europei, ma riguarda solo le classi medie di tali paesi, e chi la demonizza, pensandola causa di tanti mali.

Quello che sappiamo è che all’interno dei paesi occidentali ha invece certamente contribuito all’aumento delle disuguaglianze, infatti attraverso la globalizzazione viene diminuita la remunerazione relativa del lavoro scarsamente qualificato, che subisce la concorrenza diretta della manodopera a buon mercato delle economie emergenti, e vengono aumentati eccessivamente i profitti del capitale. Questo ci sembra evidente e innegabile. In molti inoltre ritengono che la globalizzazione sia un fenomeno che impoverisce ancora di più i già poveri e arricchisce ancora di più i ricchi.  Ma il fenomeno fondamentale che ha caratterizzato il periodo della globalizzazione neoliberista è il taglio delle tasse pagate da chi ha redditi più elevati. Infatti dal punto di vista della distribuzione, le riforme più importanti sono state le modifiche alla tassazione, in particolare i tagli alle imposte sul reddito.

La giustificazione fornita era che le aliquote marginali sui redditi più alti erano praticamente confiscatorie scoraggiavano l’imprenditorialità e gli investimenti, incentivando l’evasione e l’ottimizzazione. Aliquote fiscali più basse erano intese a ripristinare questi incentivi e per ridurre l’evasione fiscale, mantenendo al contempo le entrate fiscali ai livelli esistenti. L’aliquota marginale più elevata è scesa dal 70% al 40% negli Stati Uniti durante l’amministrazione Reagan. Nel Regno Unito, è precipitato dall’83% al 60% nel primo anno del governo Thatcher mentre, contemporaneamente l’imposta sul valore aggiunto è salita dal 6% al 15%, come è facile vedere una riforma profondamente regressiva.

Più tardi, molti altri paesi adotterebbero misure simili, anche se non del tutto di vasta portata: la Germania nel 1986-1990, poi dì nuovo nel 2003, Francia nel 1986 e nel 2002. Un esempio drammatico di questo è stata la “<riforma fiscale del secolo” della Svezia nel 1991>. In questo paese tradizionalmente egualitario con un sistema fiscale fortemente redistributivo, l’aliquota marginale più alta è scesa dal 70% al 45%, mentre è aumentata l’aliquota fiscale indiretta per compensare almeno parte delle entrate perse. Come nel Regno Unito, la disuguaglianza aumentata in modo sostanziale. Le variazioni delle aliquote marginali più elevate sono solo una piccola parte delle riforme fatte in nome della liberalizzazione economica. Una caratteristica importante di queste riforme pro globalizzazione, anche essa legata alla crescente mobilità del capitale nel contesto della globalizzazione è stata l’introduzione della distinzione tra <tassazione del reddito da capitale e risparmio> e la <tassazione del reddito da lavoro>. Nel corso del tempo si è evoluto un sistema duale in cui i reddito da risparmio erano tassati a tassi forfettari non progressivi che erano destinati a essere più o meno simili tra i paesi e comunque inferiori alle più elevate aliquote marginali sul reddito da lavoro. Poiché la quota dei redditi da capitale tende ad aumentare del reddito, le aliquote d’imposta medie per le fasce di reddito molto alte sono effettivamente diminuite.

Questo era vero in Francia, negli Stati Uniti e nella maggior parte dei paesi sviluppati. Allo stesso modo, le aliquote fiscali sugli utili societari sono state ridotte anche nella maggior parte delle economie sviluppate, con l’ovvio risultato che la tassazione diretta è diventata sempre più meno progressiva. Negli Stati Uniti, ad esempio, un’analisi che teneva conto delle imposte federali su reddito, profitti, eredità e costi del personale ha mostrato che l’aliquota effettiva dell’1% più ricco diminuiva di circa 15 punti percentuali tra il 1970 e il 2004, spesso diminuendo sotto quello pagato dalla borghesia.

All’altro estremo della scala, c’è stata una generale riduzione della redistribuzione alla fascia di popolazione a più basso reddito, con tagli siano avvenuti al welfare in molti paesi. Il welfare state nel Regno Unito ha subito gravi tagli sotto il governo Thatcher e la crisi economica in Svezia nei primi anni ’90 ha portato il paese a riformare il suo sistema di protezione sociale. In entrambi i casi, le riforme hanno portato a un aumento della disuguaglianza rispetto a un sistema di tassazione meno progressista. In altri paesi, la spesa sociale è stata allo stesso modo ridotta. Tutto questo è continuato nel mondo occidentale in modo costante fino ai nostri giorni.

Secondo alcuni economisti, si dice efficiente una situazione in cui non è possibile aumentare il benessere di un soggetto senza diminuire quello di un altro. Ma oggi di sicuro, sappiamo che troppa disuguaglianza ostacola il funzionamento dell’economia e in modo particolare la crescita economica, tanto decantata dagli economisti come la panacea di tutti i mali. Come quando in una nazione ci sono alunni dotati che però non hanno accesso all’istruzione superiore perché le loro famiglie non possono permetterselo, e viceversa vanno all’università ragazzi anche non particolarmente dotati, nati in ambienti privilegiati: questo ci sembra un chiaro esempio di economia non efficiente. Così, ad esempio, uno stato in cui c’è una violenza endemica, come in tantissime nazioni africane per esempio, non potrà avere un’economia efficiente perché la popolazione e lo stato saranno costretti a destinare gran parte del loro bilancio alla sicurezza.

François Bourguignon in La globalizzazione della disuguaglianza, Torino, Cortina, 2013, afferma che in questo contesto un dato positivo è la comparsa di una <coscienza mondiale> del legame che collega globalizzazione e disuguaglianze. La necessità attuale sarebbe sufficiente che i paesi sviluppati ed emergenti fossero in grado di controllare l’incremento delle disuguaglianze interne alle proprie economie per fermare la globalizzazione della disuguaglianza conservando al contempo i lati positivi della globalizzazione. La <lotta alle disuguaglianze> deve diventare impresa comune. Evitare la globalizzazione della disuguaglianza passa attraverso una globalizzazione della redistribuzione.

Infatti ci troviamo in un mondo globalizzato, in un villaggio globale, veniamo a conoscenza continuamente di ciò che avviene nella altre parti del pianeta e quindi non possiamo ignorarlo, dobbiamo sentircene responsabili. Tuttavia quello che noi veniamo a conoscere è selezionato non secondo nostre scelte, ma secondo ciò che taluni decidono di farci conoscere, questo accade sempre di più. Inoltre la <manipolazione dell’informazione> riesce a confezionare le notizie riuscendo a far passare un crimine efferato come un bombardamento sulle popolazioni civili in uno Stato sovrano e indipendente come una guerra umanitaria. Se a bombardare sono gli occidentali e i loro alleati diventa “un intervento umanitario” se sono altri è un “efferato crimine contro l’umanità”. E magari quando non fa più notizia, queste informazioni si spengono, anche se i problemi e le tragedie restano. Ciò significa che siamo, sì, globali, ma non siamo un “villaggio”: in un villaggio ci si guarda negli occhi, ci si conosce, si condividono le gioie e le pene di tutti. In definitiva, la globalizzazione deve essere per l’uomo. Si spera che lo sia per l’umanità intera ma deve iniziare dal considerare tutte le persone con gli stessi diritti e opportunità, senza distinzione alcuna, ma gli avvenimenti del mondo contemporaneo dimostrano chiaramente che esistono persone che hanno un valore e altre che ne hanno, purtroppo di meno. Basta guardare il valore dato alla vita e alle sofferenze di un bambino palestinese, o del Sud Sudan, confrontata con il valore dato alla vita e alle sofferenze dei bambini europei, che devono assolutamente essere la stessa cosa. Tutto queste ignobili differenze non sono tollerabili ne ammissibile in nessun caso, in nessuna parte del mondo.


*Questo articolo è stato pubblicato su https://www.eguaglianza.it/
Recensione di Chat GPT

L’articolo affronta la questione della globalizzazione e delle disuguaglianze sociali ed economiche, evidenziando come la visione ottimistica degli anni Ottanta sulla crescita del benessere globale non si sia realizzata. La crescente disuguaglianza, sia tra nazioni che all’interno di singoli paesi, è associata alla deindustrializzazione e al debito nelle economie avanzate. Si sottolinea che una nuova generazione di miliardari ha abbracciato la filantropia, mentre la società sembra affidarsi sempre più alle donazioni di chi è estremamente ricco, anziché al ruolo dello Stato nell’affrontare le ingiustizie sociali.

Il testo evidenzia che, nonostante la diminuzione della disuguaglianza tra le nazioni, quella all’interno degli stati è in aumento, in particolare nei paesi occidentali. La globalizzazione è identificata come una causa principale di questa disuguaglianza, poiché ha favorito la formazione di un mercato finanziario globale, la crescita della comunicazione globale e la creazione di una cultura globalizzata incentrata sul consumismo.

L’articolo sottolinea che la globalizzazione ha avuto impatti ambivalenti, contribuendo ad avvicinare i livelli di vita medio nei paesi emergenti a quelli delle nazioni sviluppate, ma anche generando crescenti disuguaglianze all’interno dei paesi occidentali. Si evidenziano le riforme fiscali orientate alla liberalizzazione economica, con tagli alle imposte sul reddito per i più ricchi, come una delle principali cause dell’aumento delle disuguaglianze interne.

Infine, l’autore sottolinea la necessità di una consapevolezza globale sulla connessione tra globalizzazione e disuguaglianze, invitando i paesi sviluppati ed emergenti a controllare la crescita delle disuguaglianze interne per fermare la globalizzazione delle disuguaglianze. Si conclude sottolineando che la globalizzazione dovrebbe essere orientata a considerare tutti gli individui con gli stessi diritti e opportunità, ma attualmente, il valore dato alla vita e alle sofferenze varia notevolmente in base al contesto geografico e culturale.

Abstract di Copilot

L’articolo di Michele Blanco, intitolato “Globalizzazione delle disuguaglianze e delle ingiustizie”, discute l’impatto della globalizzazione sulle disuguaglianze economiche e sociali. Ecco un riassunto dei punti chiave:

  • Negli anni ’80, la globalizzazione era vista come un mezzo per diffondere la prosperità in tutto il mondo. Tuttavia, oggi, l’aumento delle disuguaglianze non ha portato a conflitti di classe che minacciano il sistema capitalista, nonostante la deindustrializzazione e l’indebitamento nelle economie avanzate.
  • In questo contesto, una nuova generazione di miliardari si è rivolta alla filantropia, poiché lo Stato non può più affrontare le ingiustizie sociali e la povertà. Tuttavia, la filantropia serve solo a mantenere inalterato il sistema che ha generato le disuguaglianze.
  • La globalizzazione è ora vista come una causa di ingiustizie e tensioni sociali. Esistono due tipi principali di disuguaglianze economiche: quelle tra nazioni e quelle all’interno delle singole nazioni.
  • La disuguaglianza tra stati, dopo un secolo di aumento, ha iniziato a diminuire negli ultimi vent’anni, grazie all’innovazione tecnologica, al miglioramento dell’istruzione, alla formazione della manodopera, e alle conoscenze tecniche e scientifiche. Tuttavia, non tutti i paesi in via di sviluppo stanno sperimentando questa crescita.
  • D’altra parte, la disuguaglianza all’interno dei singoli stati è aumentata. Questo è dovuto in parte allo sviluppo dei paesi emergenti e, in misura minore, dei paesi in via di sviluppo, che contribuisce a ridurre la disparità tra i tenori di vita a livello globale, ma l’aumento delle disuguaglianze interne tende ad aumentarla.
  • Poiché il problema delle disuguaglianze è abbastanza uniforme, è difficile non collegarlo a cause comuni, in particolare alla globalizzazione. Quest’ultima ha favorito la formazione di un mercato finanziario globale, in cui le tecnologie della comunicazione consentono il trasferimento in pochi secondi di enormi capitali.

KW

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