Il protezionismo, lungi dall’essere una soluzione alle crisi economiche, si rivela spesso una causa aggravante delle stesse. Peggio ancora, diventa una miccia geopolitica quando usato come arma di potere: può portare alla guerra, come accadde nel Pacifico tra USA e Giappone. Oggi, il ritorno a politiche daziarie sotto Trump rischia di ripetere tragici errori del passato.
Lo storico di Princeton Harold James, autore di Seven Crashes: the Economic Crises that Shaped Globalization (Yale University Press 2023) sostiene ad esempio che quei dazi ebbero effetti devastanti per il Giappone, il quale giusto un anno dopo, nel settembre 1931, invase la Manciuria per appropriarsi delle sue risorse minerarie, e poi la Corea e la Cina. Era di fatto l’inizio della guerra mondiale.
Quasi nessuno ha ben capito cosa vuole ottenere Trump con i suoi dazi. Far pagare ai partner commerciali le riduzioni fiscali che ha promesso ai suoi elettori? O fargliele pagare in altro modo ai consumatori americani, favorendo i ricchi? Far cassa e basta, come suggerirebbe il modo ossessivo in cui continua a vantare miliardi su miliardi di entrate aggiuntive che sarebbero dovute ai dazi?
Il sogno dichiarato del segretario al commercio di Trump, Howard Lutnick, è che “l’armata di milioni e milioni di esseri umani che avvitano vitine per fare gli iphone verrà in America”. Di Lutnick, il suo compagno di squadra di governo Elon Musk ha detto che “ha un quoziente di intelligenza pari a quello di un sacco di mattoni”. Il fattore idiozia non è mai da sottovalutare. Il Wall Street Journal, che non è proprio di sinistra, ha condotto un’inchiesta molto dettagliata su da dove vengano le diverse componenti degli Iphone di Apple. Da 40 diversi Paesi. Le parti più complesse da Cina, Taiwan, Corea del Sud, Giappone. Altro che armate di omini col cacciavitino! Nessuno può fare da solo.
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