Oro e titoli di Stato: l’America di Trump non è più un porto sicuro

Titolo: Oro e titoli di Stato: l’America di Trump non è più un porto sicuro
Autore: Luigi Pandolfi
Testata: Il Manifesto
Data: 20 aprile 2025
ABSTRACT con ChatGPT

Incipit
Global economy Fa un certo effetto apprendere che Bank of England vorrebbe rimpatriare il 30% delle sue riserve depositate presso la Fed di New York. Ma non è né il primo né il solo caso

Presentazione
Nell’articolo “Oro e titoli di Stato: l’America di Trump non è più un porto sicuro” pubblicato su Il Manifesto il 20 aprile 2025, Luigi Pandolfi analizza il crescente scetticismo internazionale verso la sicurezza economica e finanziaria degli Stati Uniti. Il sintomo principale di questa sfiducia è il progressivo rimpatrio dell’oro da parte di vari Paesi e il disimpegno dai titoli del Tesoro USA. Il fenomeno, che colpisce il cuore della fiducia globale nel dollaro e nella stabilità americana, è legato in particolare all’instabilità politica acuita dal ritorno sulla scena di Donald Trump e dalle sue esternazioni, oltre che alle tensioni geopolitiche e alle strategie protezionistiche messe in atto dagli USA. Tra le alternative emergenti, Pandolfi segnala la Germania come nuovo polo di attrazione finanziaria, in un contesto dove la corsa al riarmo si intreccia sempre più con le dinamiche del capitale.

1. Tesi centrale

Gli Stati Uniti stanno perdendo il loro status di “porto sicuro” per le riserve auree e gli investimenti finanziari a causa della crescente instabilità politica, della gestione caotica della politica commerciale (dazi) e delle dichiarazioni ambigue di Trump, che minano la fiducia nei confronti del sistema finanziario americano.

KW : Cina, Dedollarizzazione, Dilemma di Triffin, Finanza e armi, Germania, Guerra dei dazi, Methuselah Bonds, Multipolarità finanaziaria, Pandolfi Luigi, Riserve auree, Stati Uniti, T-Bond (Treasury Bond), Treasury Bond (T-Bond), Trump Donald,


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Il piano strampalato di Trump, sui dazi la Cina era preparata

Il piano strampalato di Trump, sui dazi la Cina era preparata
Francesco Saraceno economista
FONTE DOMANI 19 aprile 2025
ABSTRACT di ChatGPT

Il saggio di Francesco Saraceno analizza la strategia commerciale dell’amministrazione Trump in un contesto globale sempre più frammentato. Dietro i dazi e le dichiarazioni aggressive, l’economista individua una visione del mondo confusa, tra improvvisazione e obiettivi contraddittori. Saraceno smonta il protezionismo trumpiano mostrando come le misure adottate, lungi dall’essere efficaci, rischiando di indebolire gli Stati Uniti stessi, sia sul piano industriale che geopolitico. Centrale è il confronto con la Cina, potenza emergente più preparata di quanto la Casa Bianca sembri riconoscere. In chiusura, l’autore solleva interrogativi sul possibile indebolimento strutturale del dollaro e sulla tenuta dell’egemonia americana.

KW : Cina, Economisti liberali, Guerra dei dazi, Nixon shock, Politica economica, Protezionismo, Saraceno Francesco, Stati Uniti,

 Temi chiave

  • Protezionismo e mercantilismo
  • Strategia commerciale USA
  • Sistema monetario internazionale
  • Conflitto USA-Cina
  • Dollaro e ruolo di valuta di riserva
  • Industria e servizi
  • Globalizzazione e catene del valore
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DAZI CHE GIOCANO COL FUOCO

Titolo: Dazi che giocano col fuoco
Autore: Siegmund Ginzberg
Testata: Il Foglio Quotidiano
Data: 19 aprile 2025
Tema centrale:
Critica storica e teorica del protezionismo come strumento di potere che genera instabilità economica e conflitti geopolitici.
IMMAGINE Poster fascista con un samurai che distrugge le navi alleate, spalleggiato dall’Italia e dalla Germania nazista (Getty)

Un ABSTRACT di ChatGPT

Il protezionismo, lungi dall’essere una soluzione alle crisi economiche, si rivela spesso una causa aggravante delle stesse. Peggio ancora, diventa una miccia geopolitica quando usato come arma di potere: può portare alla guerra, come accadde nel Pacifico tra USA e Giappone. Oggi, il ritorno a politiche daziarie sotto Trump rischia di ripetere tragici errori del passato.

Lo storico di Princeton Harold James, autore di Seven Crashes: the Economic Crises that Shaped Globalization (Yale University Press 2023) sostiene ad esempio che quei dazi ebbero effetti devastanti per il Giappone, il quale giusto un anno dopo, nel settembre 1931, invase la Manciuria per appropriarsi delle sue risorse minerarie, e poi la Corea e la Cina. Era di fatto l’inizio della guerra mondiale.

Quasi nessuno ha ben capito cosa vuole ottenere Trump con i suoi dazi. Far pagare ai partner commerciali le riduzioni fiscali che ha promesso ai suoi elettori? O fargliele pagare in altro modo ai consumatori americani, favorendo i ricchi? Far cassa e basta, come suggerirebbe il modo ossessivo in cui continua a vantare miliardi su miliardi di entrate aggiuntive che sarebbero dovute ai dazi?

Il sogno dichiarato del segretario al commercio di Trump, Howard Lutnick, è che “l’armata di milioni e milioni di esseri umani che avvitano vitine per fare gli iphone verrà in America”. Di Lutnick, il suo compagno di squadra di governo Elon Musk ha detto che “ha un quoziente di intelligenza pari a quello di un sacco di mattoni”. Il fattore idiozia non è mai da sottovalutare. Il Wall Street Journal, che non è proprio di sinistra, ha condotto un’inchiesta molto dettagliata su da dove vengano le diverse componenti degli Iphone di Apple. Da 40 diversi Paesi. Le parti più complesse da Cina, Taiwan, Corea del Sud, Giappone. Altro che armate di omini col cacciavitino! Nessuno può fare da solo.

KW : Copeland Dale C., Ginzberg Siegmund, Grande Depressione, Guerra dei dazi, Hirschman Albert O., James Harold, Nixon shock, Politica economica, Protezionismo, Smoot-Hawley Tariff Act, Stati Uniti, Trump Donald

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Gli squilibri economici ristrutturano il mondo

Un saggio di Francesco Cappello per SEMINARE DOMANDE e pubblicato su Sinistrainrete
Qualche citazione
Parole chiave
Presentazioni sintetiche di Deepseek, Perplexity, DeepAI (ChatGPT ha trovato troppo lungo il testo)
LINK al testo
IMMAGINE dal sito su Sinistrainrete

Rimettere in primo piano l’economia interna / di Francesco Cappello

Non abbiamo bisogno di tassare a morte la nostra gente”, “Dobbiamo tassare i paesi che si approfittano di noi.” Poi Trump ha perciò avanzato l’idea di sostituire il gettito derivante dall’imposta sul reddito con entrate provenienti da dazi sulle merci importate. Questo approccio si ispira a un modello storico, quando gli Stati Uniti finanziavano il governo principalmente attraverso i dazi, prima dell’introduzione dell’imposta sul reddito nel 1913.

JP Morgan ha dichiarato che “l’oro è moneta, tutto il resto è credito

La conclusione di Fink è perentoria: se il debito non verrà riportato sotto controllo, gli Stati Uniti rischiano di perdere il ruolo di emittente della moneta di riserva internazionale a beneficio di asset digitali come Bitcoin.

L’imposizione al mondo del dollaro, una moneta nazionale facente le veci di una valuta internazionale, aveva permesso agli USA «il meraviglioso segreto di un deficit senza lacrime, che permette di donare senza prendere, di prestare senza indebitarsi e di comprare senza pagare», parole queste del già ministro delle finanze francese e consulente di De Gaulle J. Rueff.

KW –

Bretton Woods 2.0, BRICS plus, Chips Act, Cina, Conflitto tra paesi debitori e paesi creditori, Criptovalute, Dedollarizzazione, Dilemma di Triffin, Draghi Mario, e-CNY (Yuan Digitale), Federal Reserve, Genius Act (GA – Guiding and Establishing National Innovation for US Stablecoins), Globalismo, Globalizzazione, Guerra economica USA-CINA, Imposta sul reddito, Inflaction Reduction Act, Multipolarità valutaria, Stablecoin, Stati Uniti, Svalutazione del dollaro, SWIFT (sistema occidentale di pagamenti), Treasury, Trump Donald, Unione Europea, Yuan Digitale (e-CNY)

VAI AL TESTO Gli squilibri economici ristrutturano il mondo
Seguono le schede sintetiche di Deepseek, Perplexity, DeepAI
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La classe dirigente statunitense e il regime di Trump / di J.B.Foster

FONTE Monthly Review. 2025, Volume 76, Numero 11 (Aprile 2025)
TRADUZIONE DI The U.S. Ruling Class and the Trump Regime
by John Bellamy Foster
PRECEDUTA DA UN ABSTRACT
LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE
https://monthlyreview.org/2025/04/01/the-u-s-ruling-class-and-the-trump-regime/

Monthly Review. 2025, Volume 76, Numero 11 (Aprile 2025)

ABSTRACT

L’articolo “La classe dirigente statunitense e il regime di Trump” di John Bellamy Foster (aprile 2025) offre una riflessione critica sullo stato attuale della politica e dell’economia negli Stati Uniti, con particolare attenzione al ruolo della classe capitalista e all’ascesa di Donald Trump come simbolo di un cambiamento politico radicale verso destra.

Presentazione sintetica:

L’autore analizza come, storicamente, la classe capitalista statunitense abbia detenuto un enorme potere economico, ma che fino a poco tempo fa si sosteneva che questo potere non si traducesse direttamente in controllo politico, mantenendo così una separazione tra economia e Stato, fondamentale per la democrazia liberale. Tuttavia, questa visione è oggi superata: la crisi strutturale del capitalismo e il declino della democrazia liberale hanno portato a una crescente influenza diretta dell’oligarchia economica sul governo, incarnata nell’amministrazione Trump, definita dall’autore come neofascista e dominata da interessi capitalistici concentrati.

Analisi sintetica:

  • L’articolo ripercorre il dibattito teorico sul rapporto tra classe dominante e Stato, evidenziando come la teoria marxista e i suoi sviluppi abbiano mostrato la complessità della “relativa autonomia” dello Stato rispetto agli interessi capitalistici, ma senza negare che la classe capitalista eserciti un controllo decisivo sulle istituzioni politiche.
  • Foster sottolinea che la democrazia americana è stata a lungo giustificata dall’ideologia pluralista, secondo cui il potere politico è distribuito tra varie élite e gruppi di interesse, non monopolizzato da una classe dominante. Questa narrazione è però oggi messa in crisi dalla realtà di un governo sempre più direttamente controllato da una ristretta oligarchia economica.
  • L’ascesa di Trump rappresenta, secondo l’autore, la manifestazione politica di questo processo, con un governo che promuove una ristrutturazione regressiva degli Stati Uniti, basata su una postura di guerra permanente e un controllo statale centralizzato da parte della classe capitalista più concentrata.
  • La crisi del capitalismo statunitense e la polarizzazione politica sono quindi elementi chiave per comprendere il passaggio da una democrazia liberale pluralista a un regime autoritario di destra, in cui la classe dominante non solo influenza, ma governa direttamente lo Stato.

In sintesi, l’articolo offre una critica approfondita e teoricamente informata del declino della democrazia liberale negli Stati Uniti, mettendo in luce come la classe capitalista abbia assunto un ruolo dominante e diretto nel governo, con Trump come espressione politica di questa trasformazione.


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Il vero piano di Trump

SINTESI del saggio “Il vero piano di Trump” di Maurizio Novelli pubblicata su Sinistrainrete il 18-4-25
SEGUE un articolo di Piero Orteca I debiti americani che Trump vuol far pagare al mondo
IMMAGINE REDAZIONALE

di Maurizio Novelli*

SINTESI del saggio “Il vero piano di Trump” di Maurizio Novelli pubblicata su Sinistrainrete il 18-4-25


LINK AL TESTO SU SINISTRAINRETE

📘 Presentazione del saggio

Nel saggio “Il vero piano di Trump”, l’analista finanziario Maurizio Novelli esplora la trasformazione in corso nella politica economica e finanziaria statunitense, prefigurando una strategia radicale dell’amministrazione Trump per “mettere in sicurezza” un’economia americana che, secondo l’autore, si trova sull’orlo della bancarotta.

Attraverso un’analisi documentata e volutamente fuori dalla narrazione mainstream, Novelli descrive il tentativo di Trump di ristrutturare il sistema finanziario globale partendo da cinque pilastri fondamentali:

  1. Svalutazione del dollaro
  2. Controllo strategico della supply chain
  3. Amministrazione dei tassi d’interesse
  4. Riduzione dei costi energetici
  5. Uso di dazi e sanzioni come leva di pressione internazionale

L’articolo mette in luce il ruolo crescente del Tesoro USA rispetto alla Federal Reserve, la crescita anomala del settore dello Shadow Banking, l’utilizzo dell’Exchange Stabilisation Fund e l’uso dei Century Bonds come nuova forma di finanziamento pubblico.

L’autore fa riferimento al documento strategico “A User’s Guide to Restructuring the Global Trading System” di Stephen Miran, illustrando come le politiche di Trump siano parte di un piano globale di salvataggio che intende riscrivere le regole del commercio, della finanza e delle relazioni geopolitiche.


🧠 Analisi critica e sintetica

1. Verso un “Trump Standard”?

Il cuore del saggio è la descrizione di una strategia sistemica che mira a modificare l’architettura del sistema finanziario globale: dalla riforma della Fed alla gestione della curva dei tassi d’interesse, fino all’introduzione di un nuovo regime di cambi fissi ancorato al dollaro. Il piano ipotizzato sembra voler salvare l’attuale ordine (Bretton Woods II) attraverso controllo, manipolazione e redistribuzione del rischio globale, piuttosto che tramite liberalizzazione.

2. Ruolo centrale del Tesoro USA

L’erosione delle funzioni della Federal Reserve a vantaggio del Tesoro segna un cambio paradigmatico nella governance economica americana: Powell, secondo Novelli, è ormai subordinato a Kevin Hassett sul piano della vigilanza bancaria. La gestione dei tassi a lunga scadenza viene descritta come ormai “amministrata”, introducendo un vero e proprio controllo statale del mercato obbligazionario.

3. La trappola dello Shadow Banking

Il saggio denuncia con forza la crescente esposizione al rischio “fuori bilancio” tramite veicoli opachi come Private Equity e Private Credit. Come nel 2008, gli attivi tossici vengono nascosti in circuiti non regolati, mettendo a rischio la trasparenza e la solidità del sistema finanziario.

4. Geopolitica dei dazi e della moneta

Novelli evidenzia come i dazi non siano solo protezionismo commerciale, ma una leva per ottenere un accordo sulla svalutazione competitiva del dollaro. L’analisi coglie il cambio di approccio: da negoziati multilaterali a misure coercitive unilaterali, rivelando l’isolazionismo aggressivo dell’amministrazione Trump.

5. Century Bonds e mutualizzazione dei costi

L’idea dei bond secolari riservati alle banche centrali alleate è una mossa per assicurarsi liquidità a basso costo e lungo termine, in cambio della continuazione della protezione militare USA. È un tentativo di trasferire parte del peso del debito americano su un sistema multilaterale basato su rapporti di forza.

6. La nuova rotta energetica e il riavvicinamento alla Russia

Una parte suggestiva ma controversa riguarda il presunto riposizionamento verso la Russia, motivato dall’interesse americano a far rientrare petrolio russo sul mercato per abbassare i costi dell’energia. In questa prospettiva, l’abbandono dell’Ucraina sarebbe una conseguenza economica più che geopolitica.

7. La Cina come partner (condizionato)

Secondo Novelli, la Cina potrebbe accettare l’accordo globale per proteggere le sue riserve e la stabilità interna, a patto che gli Stati Uniti riconoscano la sovranità cinese su Taiwan. In cambio, Pechino avvierebbe un programma di stimoli interni per espandere la sua influenza regionale.


🔚 Conclusioni

Il saggio offre una visione coerente, radicale e anti-convenzionale del progetto economico e geopolitico statunitense post-2024. Pur assumendo una posizione fortemente critica verso la narrazione mainstream, il lavoro di Novelli ha il merito di mettere in discussione i dogmi del libero mercato, dell’indipendenza delle banche centrali e dell’ordine multilaterale.

Sebbene alcune ipotesi siano speculative e discutibili (come l’automatismo del riavvicinamento USA-Russia o l’accettazione cinese su Taiwan), il testo funziona come provocazione intellettuale e strumento utile per leggere i segnali deboli dell’economia globale.

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I debiti americani che Trump vuol far pagare al mondo / di Piero Orteca

FONTE REMOCONTRO 28 Gennaio 2025

I debiti americani che Trump vuol far pagare al mondo

Il primo a denunciarlo fu Charles de Gaulle: «gli americani vivono al di sopra di quanto producono, a spese del resto del Mondo, meno ricco di loro». La bilancia dei pagamenti Usa è in cronico disavanzo dagli anni Settanta. Nel 2024 il deficit ha sfiorato il trilione di dollari (prossimi all’85% del Pil). Le passività americane possedute dall’estero (depositi, prestiti, titoli, azioni) si è retto sull’accettazione del dollaro strumento di transazione e di riserva internazionale. Autarchia e protezionismo di Trump la cura giusta?

Le nuove guerre nei mercati finanziari

Ormai lo ripetiamo da un pezzo: le nuove guerre dell’era Trump, saranno combattute nei mercati finanziari. E le vittime, innumerevoli, verranno sotterrate da sanguinose risse commerciali e assalti all’arma bianca, fatti di dazi e tariffe doganali. Sarà un calderone granguignolesco, dove un risorgente protezionismo soffocherà quello che resta della globalizzazione. Inutile farsi illusioni.

La perduta ‘Età dell’oro’

Il nuovo Presidente americano è stato chiaro nel suo primo discorso, all’atto dell’insediamento. «Trump – come scrive il Wall Street Journal – ha paragonato il suo approccio a quello di un altro Presidente, William McKinley, un leader repubblicano durante un’epoca nota come ‘Gilded Age’. Un periodo di rapida industrializzazione dopo la guerra civile, che creò un’enorme ricchezza per gli Usa, ma fu caratterizzato da una dilagante disuguaglianza». Tuttavia, il vero problema, che si trova davanti oggi il ‘sistema-America’, non è quello di una ricetta che resusciti una specie di autarchia del Terzo millennio. La questione è più profonda e riguarda l’etica stessa di un capitalismo malato. Di un modello, cioè, che mentre si dà delle regole, studia nello stesso tempo anche il modo per aggirarle. Perché il profitto non conosce ostacoli.

Fine del libero scambio

Dunque, Trump ha già deciso, con la sua squadra, di dare un colpo mortale ai principi del libero scambio. Attenzione: le sue ragioni sono squisitamente finanziarie e hanno la priorità. Quelle geopolitiche vengono solo dopo. Il nuovo Presidente ha già annunciato ulteriori tariffe del 10%, sulle importazioni in arrivo dalla Cina e, addirittura, del 25% sui prodotti canadesi e messicani. E qui dobbiamo aprire una larga parentesi, spiegando le ragioni di un simile approccio, che ricorda misure da emergenza bellica. E, in effetti, secondo i sacri libri di testo della teoria economica, gli Stati Uniti hanno un piede e mezzo nella fossa (finanziaria). Pensate, a novembre scorso (Amministrazione Biden) hanno battuto tutti i record di indebitamento pubblico, arrivando in rosso per la bazzecola di 37 mila miliardi di dollari. Come vanno avanti? Facendo debiti, cioè emettendo titoli di Stato. Danno carta (garantita, per carità) e ricevono soldi, che poi spendono. E diverse volte spandono. Ma questa è solo una parte del discorso. Perché, se l’economia non gira bene, se c’è inflazione o semplicemente se i risparmiatori ‘non si fidano’, allora bisogna alzare i tassi di interesse, e ripagare il debito costerà di più. Quindi, la situazione di «rosso cronico» è determinata da come va l’economia nel suo complesso.

Bilancia commerciale a colpi di dazi

In questo senso, un’importanza fondamentale hanno la bilancia commerciale e la differenza tra import ed export di beni, servizi e capitali. Bene, è questo il problema numero uno dell’America: di Biden, di Trump, o di chi volete voi. Stiamo parlando di una cifra che, alla fine del 2024, arrivava quasi a toccare i 1000 miliardi di dollari. Si può esportare di più, producendo bene e vendendo meglio, rendendo i prodotti competitivi grazie al rapporto prezzo-qualità. Oppure puoi scegliere la strada di Trump. Imponendo dazi doganali a casaccio, per proteggere i tuoi prodotti, anche se costano assai e, magari, sono fatti male. L’obiettivo è quello di costringere gli americani a comprare ‘Made in Usa’, delocalizzare con incentivi le fabbriche europee o di altri Paesi e, in ultima analisi, invertire a poco a poco il trend negativo della bilancia commerciale. Secondo alcuni economisti di scuola reaganiana, questo metterebbe in moto un circuito (noto agli specialisti come ‘curva di Laffer’) che preconizza un allargamento del volume del gettito fiscale, nonostante il taglio delle tasse. Insomma, il protezionismo all’estero consentirebbe all’Amministrazione repubblicana di cominciare a fare ‘campagna’ con due anni di anticipo, sulle elezioni di Mid term.

Privilegi da Stati Uniti d’America

D’altro canto, è questo il punto, non è che Trump debba preoccuparsi più di tanto del deficit federale. Se gli Usa si fossero chiamati in un altro modo, il Fondo monetario internazionale avrebbe già spedito i suoi ispettori a commissariare Ministeri e bilanci. La verità è che i conti dell’America sono allo scasso e non si procede al pignoramento perché la finanza internazionale è prigioniera del dollaro. Che vuol dire, che gli Usa possono fallire? No, ma ci marciano, come fa ora Trump. Il loro debito pubblico è la principale fonte di finanziamento valutario, grazie al dollaro, per il resto del mondo. Quasi tutte le transazioni avvengono in dollari, e chi cerca di farlo in qualche altra valuta è guardato di traverso.

In tempi non sospetti, Giscard d’Estaing, allora Ministro delle Finanze della Francia, disse che Washington godeva di questo “privilegio esorbitante”, che le consentiva di fare debiti, sapendo che qualcuno avrebbe comunque comprato il dollaro, indipendentemente dalle sue oscillazioni. Oggi, Trump non fa altro che approfittare, furbescamente, di un potere finanziario senza limiti, che il suprematismo americano ha saputo costruire nell’ultimo secolo. Ci sono molti modi di fare le guerre, anche senza dover sparare un colpo.

Paul Krugman Tariffe! Tariffe! Tariffe! conversazione con Mary Lovely

FONTE Paul Krugman
Notes on economics and more
https://paulkrugman.substack.com/
IMMAGINI REDAZIONALE

NOTA

La discussione affronta in maniera argomentata l’attuale politica dei dazi iniziata dal Governo di Donald Trump.

Paul Robin Krugman è un economista statunitense, premio Nobel per l’economia 2008, specializzato in economia internazionale e del commercio, geografia economica. Ha studiato cause e conseguenza della crisi del 2008 paragonandola ad una nuova Grande Depressione. Propone politiche neo-keynesiane
VEDI la voce su Wikipedia

Mary Elizabeth Lovely è una professoressa emerita di economia presso il Maxwell School of Citizenship and Public Affairs della Syracuse University. È una senior fellow del Peterson Institute for International Economics a Washington, D.C. Lovely appare spesso nei media nazionali come esperta di commercio tra Cina e Stati Uniti, integrazione economica internazionale ed economia pubblica.
Vedi la voce su Wikipedia

Testo pubblicato sul suo blog

Testo inglese e filmato della conversazione

Come racconterò nella conversazione che segue, quando frequentavo la scuola di specializzazione e decisi di lavorare nel commercio internazionale, alcune persone cercarono di dissuadermi, dicendo che era un campo noioso in cui non succedeva mai nulla.

Come si è scoperto, da allora sono successe molte cose. Ma le ultime 5 settimane hanno visto zigzag politici come nessuno aveva mai visto prima: enormi tariffe sui nostri partner commerciali più cruciali, annullate all’ultimo minuto, ripristinate un mese dopo, poi annullate di nuovo dopo due giorni.

Fortunatamente, abbiamo degli esperti che hanno cercato di tenere il passo. Così ho registrato una conversazione con Mary Lovely, un’esperta di tariffe e commercio associata al Peterson Institute, un think tank boutique specializzato in economia internazionale; lei e i suoi colleghi hanno cercato di pensare e modellare i vertiginosi cambiamenti di politica. Conversazione e trascrizione di seguito.

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La contro rivoluzione di Trump

Chi era Donald Trump. Le analisi del primo mandato per un confronto con quelle della seconda presidenza.

Bolt Rasmussen, Mikkel
La contro rivoluzione di Trump : fascismo e democrazia / Mikkel Bolt Rasmussen. – Milano : Agenzia X, 2019. – 150 p. ; 21 cm. – [ISBN] 978-88-98922-98-7.

Il report contiene: Scheda dell’editore italiano ed Indice

Scheda editore

Il fascismo non è l’opposto della democrazia ma nasce, cresce e trionfa nel suo stesso seno quando una crisi esige di restaurare l’ordine e prevenire l’emergere di vere alternative. Sotto la pressione di una crisi come quella attuale, la forma politica del turbocapitalismo può scivolare dalla democrazia al fascismo, poiché l’aspetto più importante per entrambi è quello di salvaguardare la proprietà privata, rinforzare gli interessi delle grandi aziende e tenere a freno quel proletariato che non può essere integrato nel metabolismo del sistema. In questo modo, la democrazia liberale e il fascismo non sono l’una l’opposto dell’altro: i loro tratti comuni sono più importanti dei loro punti di divergenza. Un libro che analizza l’esercizio del potere di Donald Trump per decifrare la formazione di un’ideologia nemica di ogni cambiamento sociale. Dopo quarant’anni di sviluppo estremo e diseguale, Trump mescola cultura pop e ultranazionalismo nel tentativo di rinnovare la vecchia alleanza tra la classe operaia bianca e quella dominante. All’indomani della crisi finanziaria del 2008, delle primavere arabe, dei movimenti come Occupy e Black Lives Matter, si vuole proiettare l’immagine di un’America minacciata, ma capace di riconfigurarsi come una comunità unita, bianca e patriarcale: Make America great again. Un semplice slogan nel quale il razzismo e il protezionismo si combinano in una forma di fascismo postmoderno, una controrivoluzione globale dotata di un immaginario, un linguaggio e una strategia comune che vede in Matteo Salvini uno dei suoi più fedeli interpreti.

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Imperialismo e colonialismo dei coloni bianchi nella teoria marxista

Traduzione di: Imperialism and White Settler Colonialism in Marxist Theory
by John Bellamy Foster
Montly Review 2025, Volume 76, Numero 09 (Febbraio 2025)
https://monthlyreview.org/2025/02/01/imperialism-and-white-settler-colonialism-in-marxist-theory/

Il concetto di colonialismo di insediamento è sempre stato un elemento chiave della teoria marxista dell’imperialismo, il cui significato si è gradualmente evoluto nel corso di un secolo e mezzo. Oggi il riemergere di potenti movimenti indigeni nelle lotte per la sopravvivenza culturale, la terra, la sovranità e il riconoscimento, oltre alla resistenza al genocidio inflitto dallo Stato israeliano al popolo palestinese nei territori occupati, hanno portato la nozione di colonialismo di insediamento alla ribalta del dibattito globale. In queste circostanze, un recupero e una ricostruzione della comprensione marxista della relazione tra imperialismo e colonialismo di insediamento è un passo cruciale per aiutare i movimenti indigeni e la rivolta mondiale contro l’imperialismo.

Un tale recupero e ricostruzione delle analisi marxiste in questo settore è tanto più importante in quanto un nuovo paradigma di studi coloniali di insediamento, sperimentato in Australia da illustri figure intellettuali come Patrick Wolfe e Lorenzo Veracini, è emerso nell’ultimo quarto di secolo. Questo costituisce ora un campo distinto a livello globale, uno che, nella sua attuale forma dominante nell’accademia, è focalizzato su una pura “logica di eliminazione”. In questo modo, il colonialismo di insediamento come categoria analitica basata su collettivi autonomi di coloni è separato dal colonialismo più in generale, e dall’imperialismo, dallo sfruttamento e dalla classe.1 Il colonialismo di insediamento, in questo senso, è spesso considerato una forza planetaria prevalente in sé e per sé. Nelle parole di Veracini, “Era una potenza coloniale di insediamento che divenne un egemone globale… Le molte occupazioni americane in tutto il mondo sono occupazioni “coloniali”. Ora ci viene detto che non solo le colonie di coloni “pure” o idealmente tipiche degli Stati Uniti, del Canada, dell’Australia, della Nuova Zelanda e di Israele possono essere viste come tali, come originariamente concepite da Wolfe, ma anche “tutta l’Africa”, più gran parte dell’Asia e dell’America Latina, sono state “modellate” in misura considerevole dalla “logica dell’eliminazione”. ” in contrapposizione allo sfruttamento. Piuttosto che vedere il colonialismo di insediamento come parte integrante dello sviluppo del sistema mondiale imperialista, è diventato, in alcuni resoconti, la sua stessa spiegazione completa.2

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Liquidità gratuita, fusioni e fuoriuscite di capitale, di Craig Medlen

Traduzione di Free Cash, Mergers, and Capital Spillage by Craig Medlen
Monthly Review 2025, Volume 76, Numero 08 (Gennaio 2025)
https://monthlyreview.org/2025/01/01/free-cash-mergers-and-capital-spillage/

(01 gennaio 2025)

La lunga stagnazione iniziata tra la metà e la fine degli anni ’70 e che continua fino ai giorni nostri è evidenziata da un declino secolare a lungo termine del tasso di crescita della produzione, del tasso di crescita dei nuovi investimenti e dell’utilizzo della capacità. Questa stagnazione è stata accompagnata da mezzo secolo di appiattimento dei salari reali per i lavoratori non supervisori e da un drammatico aumento della ricchezza delle classi superiori e delle élite manageriali.1

Associata a questa stagnazione è stata una crescente concentrazione di imprese in un’intera panoplia di contesti industriali e finanziari. Oltre a numerose industrie manifatturiere, potremmo elencare: petrolio, banche, produzione, distribuzione e vendita al dettaglio di prodotti alimentari, compagnie aeree tradizionali, carte di credito, servizi high-tech (compresi motori di ricerca e strutture informatiche), consegna di musica, servizi telefonici e vendita al dettaglio su Internet.2 Questa crescente concentrazione ha consolidato il potere di monopolio in tutta l’economia e, in conformità con la tendenza del potere di monopolio a rallentare la crescita degli investimenti, aiuta a spiegare il generale rallentamento della crescita negli ultimi cinquant’anni.3

Lo scopo di questo articolo è quello di raccontare come questa stagnazione strisciante abbia aggiunto la propria forza nel contribuire al potere monopolistico associato al consolidamento e alle attuali disparità di ricchezza. L’argomento corre lungo due direttrici. Il primo riguarda il modo in cui l’imperativo per la crescita delle imprese incanala i fondi nelle fusioni quando le prospettive di nuovi investimenti rallentano. Il secondo (e relativo aspetto) riguarda la generazione di fondi aziendali in eccesso rispetto ai nuovi investimenti (definiti free cash) che, insieme al debito, finanziano le fusioni. Il denaro libero deriva dai deficit federali derivanti in gran parte da: (1) riduzioni delle aliquote fiscali sui ricchi e (2) sforzi per contrastare la stagnazione e gli episodi di disfacimento finanziario. Fondi di liquidità gratuiti per fusioni e acquisizioni, ma non si è limitato a tali.4 La liquidità libera ha agito come garanzia per l’espansione del debito societario per fornire mega-fondi da riversare sui mercati azionari. Oltre alle fusioni, questa fuoriuscita consiste in dividendi ampliati e riacquisti di azioni. Pari a trilioni di dollari, questa sboccatura di denaro è stata una forza importante per espandere le posizioni di ricchezza dei ricchi.

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